Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15216 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. I, 23/06/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 23/06/2010), n.15216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA SEZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.L., M.L., M.R., M.M.

A., elettivamente domiciliate in Roma, via Riccardo Grazioli

Lante 76, presso l’avv. Stefania Iasonna, rappresentate e difese

dall’avv. Procaccini Ernesto giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

Fallimento S.I.D.A.M. Società Italiana di Appalti Morelli s.r.l. in

persona del curatore, elettivamente domiciliato in Roma, via Ludovisi

16, presso l’avv. Federico Vecchio, rappresentato e difeso dall’avv.

Errichiello Giuseppe giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1124/04 del

31.3.2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19.5.2010 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Giovanni Attingenti su delega per le ricorrenti e

Errichiello per il fallimento;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 30.6 – 1 – 6.7.99 il fallimento della S.I.D.A.M. s.r.l. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli T.L., M.L., M.R., M.M.A., M.F., per sentir dichiarare l’inefficacia dei pagamenti di L. 266.000.000 corrisposti ai soci in data (OMISSIS), ai sensi dell’art. 65, L. Fall..

I convenuti, costituitisi (ad eccezione di M.F. che rimaneva contumace), contestavano la fondatezza della domanda, che il giudice rigettava ritenendo provata l’effettuazione da parte dei soci di un finanziamento per L. 465.000.000 in favore della società nonchè “della storica veridicità della solutio”, ma non dimostrata la scadenza dell’obbligazione restitutoria in data coincidente o successiva a quella del fallimento, intervenuto il (OMISSIS).

La decisione, impugnata in via principale dal fallimento e incidentale dagli originari convenuti, veniva riformata dalla Corte di Appello di Napoli, che rilevava come fosse certo l’avvenuto finanziamento dei soci per L. 465.000.000 (la circostanza risulterebbe dai bilanci relativi al 1993 e 1994 con la annotazione “soci c/finanziamento”, e sul punto si sarebbe comunque formato il giudicato) e come risultasse altresì certa la parziale restituzione di detto importo, alla luce della indicazione contenuta nel libro giornale alle date del (OMISSIS), attestanti l’uscita rispettivamente di L. 209.000.000 e L. 57.000.000, con l’analoga annotazione “soci c/finanziamento”.

Quanto al termine di adempimento, sarebbe stato da escludere che questo coincidesse con le date del (OMISSIS), atteso che l’importo di L. 465.000.000 oggetto del finanziamento sarebbe stato annotato nei bilanci al 31.12.1993 e al 31.12.1994 tra le voci “debiti oltre esercizio successivo”, e ciò avrebbe comprovato il fatto che il termine dell’adempimento non potesse cadere entro il 1995; inoltre la società avrebbe manifestato una costante situazione di crisi aziendale tra il 31.12.1994 e la data della dichiarazione di fallimento, circostanza che, tenuto conto del rapporto esistente fra i convenuti e la società, avrebbe impedito di ritenere scaduto il termine dell’obbligazione al 31.12.95, quando cioè il rimborso avrebbe compromesso la gestione sociale. Avverso la sentenza T. L. e M.L., R., M.A. proponevano ricorso per cassazione affidato a due motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso il fallimento.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 19.5.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di impugnazione le ricorrenti hanno denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, rispettivamente sotto i seguenti aspetti: 1) con riferimento all’art. 65, L. Fall., artt. 2709, 2710, 2724, 2729 e 2697 c.c., artt. 99, 112 e 343 c.p.c.. La Corte avrebbe infatti errato nel ritenere provato il pagamento di L. 266.000.000 in loro favore, per diverse ragioni individuate: a) nel fatto che nessuna delle ricorrenti avrebbe rivestito la qualifica di imprenditore commerciale, sicchè le scritture contabili, sulle cui risultanze era stata basata l’azione revocatoria, non sarebbero state loro opponibili; b) nella circostanza che a torto sarebbe stato operato il richiamo alla presunzione, sia per difetto dei requisiti richiesti (gravita, precisione e concordanza), sia per la non rilevata inammissibilità conseguente a quella concernente la prova testimoniale (art. 2729 c.c., comma 2); c) nella irrilevanza probatoria delle scritture contabili, se dedotte a favore dell’imprenditore;

2 ) in relazione agli artt. 1183, 2709, 2710, 2724, 2729 e 2697 c.c. art. 65, L. Fall., in quanto il fallimento non avrebbe fornito alcuna prova in ordine alla coincidenza ovvero alla scadenza successiva alla dichiarazione di fallimento dell’obbligazione restitutoria in questione. Le censure sono infondate.

Quanto al primo motivo si osserva infatti che è errata la prospettiva da cui muovono le ricorrenti, secondo cui le scritture contabili sarebbero state fatte valere nei confronti di soggetti non imprenditori. E’ invero sufficiente rilevare in senso contrario che nella specie è stata proposta dal curatore fallimentare azione di condanna al pagamento ai sensi dell’art. 65, L. Fall., con riferimento ad una restituzione anticipata da parte della società poi dichiarata fallita di un debito restitutorio a suo carico.

Si tratta dunque di pretesa di un terzo (curatore del fallimento), basata su scritture provenienti dall’imprenditore e finalizzata all’acquisizione di utili per la massa, circostanza questa che implicitamente supera l’ulteriore rilievo secondo cui l’utilizzazione probatoria delle dette scritture sarebbe stata effettuata in favore (e non contro) dell’imprenditore.

Per di più occorre considerare che la Corte di appello ha precisato che il fatto del pagamento dei due importi di L. 209.000.000 e L. 57.000.000 “viene desunto ai sensi dell’art. 2729 c.c., prescindendo dagli artt. 2709 e 2710 c.c.” (p. 4), e quindi in ragione di un presupposto diverso da quello censurato sotto il profilo sopra indicato.

Con il primo motivo di doglianza, per vero le ricorrenti hanno anche sostenuto l’erroneità del richiamo alle presunzioni operato dal giudice del merito, in quanto precluso dal divieto di prova testimoniale asseritamente ricorrente nella specie (art. 2729 c.c.).

Tuttavia giova rilevare che il fatto in sè del versamento di somme di denaro non incontra alcun limite probatorio; che il ricorso alla prova per presunzioni, nonchè la valutazione in ordine alla sussistenza dei requisiti di precisione, gravita e concordanza richiesti dalla legge, non sono sindacabili in questa sede essendo espressione di giudizio di merito; che la motivazione adottata al riguardo, incentrata sul fatto noto delle risultanze di libri e scritture contabili (p. 4), risulta sufficiente e non viziata sul piano logico.

Venendo quindi al secondo motivo, le ricorrenti con la relativa censura hanno lamentato, come sopra detto, che il fallimento non avrebbe dato alcuna prova in ordine alla data di scadenza dell’obbligazione.

Gli argomenti addotti della Corte di appello a sostegno dell’originaria scadenza dell’obbligazione in data successiva al fallimento possono essere così rappresentati: a) il contenuto dei bilanci al 31.12.93 e 31.12.94, in cui l’importo di L. 465.000.000 oggetto del finanziamento risulta annotato fra le voci “debiti oltre esercizio successivo”, che attesterebbe conseguentemente una scadenza del termine di adempimento successiva alla data del 31.12.1995; b) la certa esistenza di una grave crisi aziendale; c) la ragionevole convinzione che il finanziamento fosse collegato al sostegno della gestione sociale, sicchè una restituzione anticipata rispetto al 31.12.95, quando la crisi era ancora in atto, avrebbe frustrato ogni possibilità di recupero.

In particolare, per quanto concerne il punto sub c) la Corte di Appello ha ritenuto che per effetto della natura dell’operazione, essenzialmente consistente in un finanziamento da parte dei soci per fronteggiare le gravi difficoltà finanziarie manifestatesi, l’originario termine di scadenza dell’obbligazione fosse legato al superamento delle condizioni di precarietà verificatesi (ovvero, correlativamente ed al contrario, alla constatazione dell’impossibilità di pervenire al risanamento della società), e quindi, implicitamente, ben oltre la data di effettuazione dei pagamenti restitutori.

Anche in tale ipotesi si tratta dunque di valutazione di merito, sufficientemente e logicamente motivata, incensurabile pertanto in queste sede di legittimità. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali dei giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in via solidale, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

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