Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15215 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15215 Anno 2015
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 22534-2012 proposto da:
DELICATO

ALESSANDRO

c.f.

DLCLSN73E03C034G,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 122,
presso lo studio dell’avvocato FABIO MICALI, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

ir
2015
1875

contro

RENO DE MEDICI S.P.A. P.I. 00883670150, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
,
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo
STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa

Data pubblicazione: 21/07/2015

..

..,

dagli avvocati SALVATORE TRIFIR0′, PAOLO ZUCCHINALI,
giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6173/2011 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/10/2011 R.G.N.
1384/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/04/2015 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato MICALI FABIO;
udito l’Avvocato GIUA LORENZO per delega verbale
TRIFIRO’ SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6173 del 2011, pronunciando
sull’impugnazione proposta da Delicato Alessandro nei confronti della società Reno
De’ Medici spa, avverso la sentenza n. 849 del 2006 emessa tra le parti dal Tribunale di
Cassino, rigettava l’appello.
2. Il Delicato aveva adito il Tribunale esponendo di avere prestato la propria
attività lavorativa alle dipendenze della suddetta società, ove era stato assunto in sede di

collocamento obbligatorio al lavoro, in quanto disabile.
Aggiungeva che, per le mansioni svolte, le patologie dalle quali era affetto in
precedenza si erano aggravate, e che detto aggravamento era imputabile al
comportamento del datore di lavoro che non aveva adottato le necessarie precauzioni
previste dalla disciplina in materia antinfortunistica.
Deduceva l’illegittimità del licenziamento irrogatogli per superamento del
periodo di comporto, asserendo che la malattia contratta non poteva essere considerata
malattia ordinaria, perché causalmente ricollegabile alle mansioni svolte. Sosteneva,
altresì, di aver subito danno biologico.
Il Delicato chiedeva che il Tribunale accertasse: l’omessa adozione da parte
della società delle cautele necessarie a preservare la propria salute; che le assenze
avevano determinato il superamento del periodo comporto erano conseguenza diretta
dello svolgimento di mansioni inadeguate; l’illegittimità del licenziamento, con
conseguente condanna della convenuta a reintegrare esso ricorrente nel posto di lavoro e
al pagamento delle retribuzioni arretrate e del danno biologico, come quantificato in
ricorso.
3. Il Tribunale di Cassino rigettava la domanda.
4. La Corte d’Appello, esperita consulenza tecnica d’ufficio, rigettava
l’impugnazione in ragione delle risultanze della CTU che, dopo aver dedotto che, in
ragione della documentazione sanitaria, specificamente illustrata e valutata,
anteriormente all’inizio del rapporto di lavoro il Delicato era affetto da due ernie L4-L5
e L5-S1, ed aver considerato le mansioni svolte in relazione alla sintomatologia e alle
condizioni di salute del medesimo lavoratore, concludeva nel senso di non essere in
grado di definire, stante la impossibile correlazione temporale tra lo svolgimento di
dette peculiari mansioni e le singole assenze dal lavoro, i periodi di assenza imputabili
alla specifica attività lavorativa, da quelli conseguenti ad altre sollecitazioni, o di per sé,
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alla patologia vertebrale. Il lavoratore non aveva offerto prova in merito a tale
..

correlazione. 5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre
Alessandro Delicato prospettando due motivi di ricorso.
6. Resiste la società Reno De’ Medici spa con controricorso, assistito da
memoria depositata in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Occorre premettere che è pacifico in atti che il ricorrente, invalido civile,

veniva assunto dal 16 marzo 1994 al 10 febbraio 2000 con contratto di formazione
lavoro per il conseguimento della qualifica di addetto alle lavorazioni di taglio ed
allestimento cartario, svolgendo le mansioni di aiuto tagliere/aiutante taglierina, e che
ciò implicava movimentazione delle bobine (sul punto le parti espongono modalità non
coincidenti) di peso rilevante, 20/30-60/70 quintali.
La CTU espletata in grado di appello premetteva alle conclusioni già sopra
riportate che, in considerazione delle condizioni di salute del Delicato, lo stesso non
doveva essere assegnato alla movimentazione manuale delle bobine, ma andava escluso
che la mancata adozione di detta misura precauzionale potesse avere aggravato la
condizione invalidante permanente, potendo ricondursi all’attività lavorativa in
questione solo la momentanea riacutizzazione della sintomatologia dolorosa.
2. I motivi di ricorso deducono rispettivamente vizio di motivazione e
violazione di legge.
3. Con il primo motivo la decisione della Corte d’Appello è censurata, da un
lato, per omessa carente ed insufficiente motivazione; dall’altro per motivazione
contraddittoria, con riguardo alla ritenuta mancanza di collegamento causale tra la
malattia che determinava le assenze dal lavoro e le mansioni espletate.
In ordine al primo punto della suddetta doglianza, il Delicato espone che il
giudice di appello avrebbe fondato la propria decisione solo sulla base delle
v

dichiarazioni del CTU, che, tra l’altro, riteneva probabile che l’attività lavorativa
connessa alla movimentazione delle bobine, valutata l’entità intrinseca del peso e delle
caratteristiche obiettive delle operazioni effettuate dal lavoratore, fosse stata
effettivamente in grado di determinare un valido sovraccarico biomeccanico della
colonna vertebrale rendendo possibile una riacutizzazione della sintomatologia dolorosa
della colonna vertebrale. Il ricorrente deduce, quindi, che anche le altre mansioni svolte,
peraltro in modo non sporadico, quali quella di “conduttore di macchine e conduttore di
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forno”, l’attività di “imballaggio dei pallets”, o “addetto alle ribaltatrici”, avrebbero
dovuto essere valutate in quanto idonee ad aggravare tale sintomatologia, dal momento
che costringevano il lavoratore ad una posizione eretta continuativa durante l’intero
svolgimento del turno lavorativo, ovvero per 8 ore al giorno, nonché allo spostamento e
sollevamento anche di ingenti pesi.
in ordine al secondo punto del motivo di ricorso, il Delicato espone di ravvisare
contraddittorietà della motivazione della sentenza laddove si statuisce che il CTU, da un

lato affermava che il ricorrente non doveva essere assegnato alla movimentazione
manuale delle bobine; dall’altro escludeva che la mancata adozione di misure
precauzionali potesse aver aggravato la condizione invalidante dello stesso.
Infine, deduce il ricorrente, che in presenza della mancata determinazione da
parte del CTU delle assenza dal lavoro dovute alle peculiarità delle mansioni, la Corte
d’Appello avrebbe dovuto riconoscere che l’attività lavorativa svolta aveva aggravato le
infermità da cui era affetto.
3.1. È inammissibile, perché verte su questione non esaminata dalla Corte
d’appello e quindi nuova non avendo il lavoratore dedotto che la questione era già stata
posta con l’atto d’appello, la censura relativa alla sussistenza di altre mansioni svolte
che avrebbero dovuto essere valutate al fine della sussistenza del nesso causale tra
malattia e attività lavorativa.
Sono, altresì inammissibili, le censure sopra riportate che contestano la CTU, in
quanto si sostanziano, essenzialmente, in censure di fatto ed esprimono un dissenso
valutativo del lavoratore con riguardo alle risultanze della consulenza tecnica.
I giudici di merito, con un apprezzamento ad essi devoluto e non censurabile in
sede di legittimità perché assistito da motivazione sufficiente e non contraddittoria
hanno ritenuto di condividere le conclusioni cui era giunto il CTU, adeguatamente
motivate in ragione della documentazione sanitaria relativa al lavoratore, ed esenti da
errori o contraddizioni apparenti e che non erano state oggetto di specifiche censure da
parte del Delicato. Tale statuizione relativa alla mancanza di osservazioni critiche alla
CTU nel giudizio di appello, peraltro, non è stata impugnata dal ricorrente.
Né è ravvisabile la prospettata contraddittorietà atteso che la Corte d’Appello,
facendo propria la CTU, con congrua motivazione, ha escluso l’aggravamento della
condizione invalidante permanente in ragione delle mansioni svolte, ritenendo, però
probabile la diversa ipotesi di una riacutizzazione della sintomatologia dolorosa;
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quest’ultima, a cui si ricollegavano le assenze dal lavoro per malattia, tuttavia, poteva
avere più cause, quali altre sollecitazioni o la patologia vertebrale ex sé, e non era
possibile una imputazione specifica, per cui la Corte d’Appello, argomentatamente,
riteneva che mancava la prova dell’attribuibilità alla condotta colposa del datore di
lavoro del superamento del periodo di comporto che aveva dato luogo al licenziamento
del lavoratore.
4. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di violazione ed errata

applicazione di norme di diritto, non essendo stato correttamente applicato dalla Corte
d’Appello l’art. 2087 cc, che onera il datore di lavoro dell’ adozione delle misure
adeguate a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Nella specie il datore di lavoro pur avendo assunto esso ricorrente perché
invalido, non lo aveva adibito a mansioni compatibili con il suo stato di salute e aveva
ignorato la richiesta formulata in tal senso, anche in ragione della limitazione a
movimentare pesi maggiori di 25 Kg.
Il ricorrente concludeva l’esposizione della censura deducendo che il
licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto avrebbe violatogli
artt. 32 e 38 Cost., sia sotto il profilo del diritto alla salute, che del diritto dei lavoratori,
in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria, a che
siano loro assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita.
4.1. Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 20142 del 2012) ha più volte
affermato che l’art. 2087 cc opera come norma di chiusura del sistema delle disposizioni
di prevenzione degli infortuni sul lavoro, imponendo al datore di lavoro, anche dove
faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche
di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e
di esperienza, a tutelare l’integrità fisica del lavoratore assicurato, sempre che sussista il
nesso causale tra la violazione della misura di cautela e l’evento lesivo patito dal
lavoratore. Peraltro, è ben riconducibili agli artt. 32 e 38 della Costituzione la disciplina
dettata in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in cui si inscrive il citato art.
2087 ce.
Nella specie, tuttavia, come si è rilevato nell’esaminare il primo motivo di
ricorso, la Corte d’Appello, nel ritenere la legittimità del licenziamento, ha ravvisato,
con congrua motivazione, la non riconducibilità del superamento del periodo di
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comporto alle mansioni svolte, e ha ritenuto correttamente che incombeva sul lavoratore
l’onere di provare il collegamento causale tra la malattia che aveva determinato le
assenze e le mansioni espletate, in mancanza del quale doveva ritenersi legittimo il
licenziamento, prova che il Delicato non aveva fornito (Cass., n. 7946 del 2011, n.
19234 del 2011).
5. Il ricorso deve essere rigettato.

PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro tremila per compenso professionale,
oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma il 28 aprile 2015
Il Presidente

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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