Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15215 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. I, 16/07/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 16/07/2020), n.15215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12074/2019 proposto da:

K.Y., rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSIA PONTENANI

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO depositato il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, sezione di Monza e Brianza, respingeva l’istanza del ricorrente, cittadino della Costa d’Avorio, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Il Tribunale di Milano, con il decreto impugnato, respingeva il ricorso avverso detto provvedimento reiettivo.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto K.Y. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,5 e 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il Tribunale avrebbe denegato il riconoscimento della tutela umanitaria aderendo acriticamente alla motivazione resa dalla Commissione territoriale.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti di vulnerabilità richiesti per la concessione della protezione umanitaria.

Le due doglianze, che meritano un esame congiunto poichè la condizione del Paese di origine del richiedente viene esaminata tanto ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria che di quella umanitaria, sono fondate.

Dal decreto impugnato risulta che la storia del richiedente non è stata ritenuta credibile in quanto lo stesso non aveva saputo indicare nulla circa l’attività politica dello zio, che avrebbe militato nel partito (OMISSIS) e sarebbe stato quindi ucciso per mano dei sostenitori dell’opposto partito (OMISSIS). Inoltre, secondo il giudice ambrosiano, dalle fonti informative consultate (cfr. pag. 4 del decreto) risulterebbe che il partito (OMISSIS) sarebbe “… portatore di un concetto e di un’ideologia xenofoba – la cd. Ivoritè – secondo la quale veniva statuita la preminenza dei nativi ivoriani a scapito non solo degli immigrati, ma anche dei gruppi minoritari, tra cui proprio i (OMISSIS), cui appartenevano sia lo zio del ricorrente che il ricorrente medesimo” (cfr. pag. 5). Su tale dato il Tribunale ha ritenuto “inverosimile che in un simile contesto socio-politico a un soggetto di etnia (OMISSIS) fosse stata data la possibilità di militare nelle fila di un partito che propugnava l’inferiorità della sua stessa etnia”. Inoltre il Tribunale ha affermato che la Costa d’Avorio si troverebbe in una fase di assestamento e che tutte le fonti internazionali evidenzierebbero un progressivo miglioramento del contesto socio-politico interno al Paese “… con la recente emanazione di una Costituzione, con la diminuzione degli arresti arbitrari e degli episodi di violenza ingiustificata, con la prosecuzione dei procedimenti penali contro i responsabili della crisi del Paese e con la fine della missione di peace keeping, portata a termine dalle Nazioni Unite nel giugno 2017” (cfr. pagg. 9 e 10 del decreto).

Innanzitutto occorre evidenziare che il provvedimento impugnato contiene stralci di motivazione redatti in lingua diversa da quella italiana, che costituisce l’unica lingua ufficiale utilizzabile negli atti processuali. In proposito, è necessario ribadire che tutti gli atti processuali devono necessariamente essere redatti in italiano e l’uso di lingua diversa da quella nazionale – nella specie, la lingua inglese – è limitato alla sola indicazione delle fonti o documenti consultati per la redazione dell’atto processuale. In tal senso va interpretato quanto affermato da Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 22979 del 16/09/2019, Rv. 655333, la quale ha affermato che “Non viola il principio dell’obbligatorietà dell’uso della lingua italiana negli atti processuali il provvedimento del giudice (nella specie, decreto di diniego di riconoscimento della protezione internazionale a rifugiato) che rechi in motivazione citazioni di fonti di conoscenza in lingua inglese di facile comprensibilità, tali da non recare pregiudizio al diritto di difesa delle parti”, facendo espresso riferimento, in motivazione (cfr. pag. 6) al precedente costituito da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6093 del 12/03/2013, Rv. 625480, che a sua volta aveva ritenuto non affetta da nullità una consulenza tecnica di ufficio regolarmente redatta in lingua italiana ma fondata su pubblicazioni in inglese e quindi recante bibliografia e citazioni di fonti in lingua inglese.

Inoltre la motivazione resa dal giudice di merito non si confronta con l’attuale condizione del Paese di origine del richiedente la protezione. Le valutazioni di segno moderatamente positivo che si rinvengono nelle fonti internazionali sulla situazione della Costa d’Avorio sono infatti incentrate sul fatto che i disordini conseguenti alle elezioni del 2010 – nelle quali prevalse l’attuale presidente O.A.D., esponente del Raggruppamento dei Repubblicani ((OMISSIS)), già primo ministro dal 1990 al 1993 – legati al mancato riconoscimento del risultato elettorale da parte del precedente presidente/dittatore G.L., rimasto al potere fino al 2011 – il quale si rifiutò di cedere il potere e venne arrestato – sono cessati a seguito di una serie di iniziative internazionali, tra cui l’invio nel Paese di una forza di interposizione multinazionale e l’avvio del processo contro G. di fronte alla Corte penale internazionale (C.I.C.) per crimini contro l’umanità.

E’ un fatto notorio che in Costa d’Avorio si siano verificate terribili violenze post-elettorali tra il 2010 e il 2011, che provocarono oltre tremila morti e proprio in conseguenza delle quali G. è stato sottoposto a processo internazionale.

Del pari notorio è che la Corte penale internazionale abbia, con sentenza del 15 gennaio del 2019 – le cui motivazioni sono state in seguito depositate il 16 luglio 2019 – assolto G. da tutte le accuse di crimini contro l’umanità che gli erano state contestate, con particolare riferimento a cinque specifici episodi contestati, avvenuti tra dicembre 2010 ed aprile 2011 (informazioni rinvenibili sul sito internet ufficiale della I.C.C.).

Al riguardo, va ribadito che “Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6299 del 19/03/2014, Rv. 629937; negli stessi termini, cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 33154 del 16/12/2019, Rv. 656301).

Va considerato dunque notorio il fatto storico che presenti le riferite caratteristiche di generale conoscenza e certezza, a condizione che esso non implichi acquisizioni specifiche di natura tecnica nè elementi speculativi o valutativi che presuppongano cognizioni particolari o richiedano il preventivo accertamento di particolari dati, e che non rientri nella cd. “scienza privata” del giudice, poichè questa, proprio in ragione della sua natura essenzialmente personale, non può essere ritenuta universale e, quindi, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie.

Il mancato ricorso, da parte del giudice del merito, alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza costituenti notorio dev’essere specificamente spiegato ed è suscettibile di essere apprezzato dal giudice di legittimità (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5644 del 10/04/2012, Rv. 622282). L’interpretazione di segno contrario, secondo la quale “… la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità” (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 7726 del 20/03/2019, Rv. 653445) è stata in seguito precisata nel senso che la censura per violazione di legge deducibile in sede di legittimità comprende comunque anche il vizio di “… assunzione da parte del giudice di merito di una inesatta nozione di fatto notorio, da intendersi come fatto oggettivamente conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 3550 del 07/02/2019, Rv. 652392, che ha cassato la decisione impugnata, nella quale il giudice di merito aveva erroneamente ricondotto nel concetto di fatto notorio la circostanza che in un dato momento storico le banche erogassero mutui per somme superiori rispetto a quelle necessarie ad acquistare il bene e, sulla base di tale assunto, disconosciuto i maggiori ricavi imputati alla parte venditrice in ragione dei considerevoli scostamenti tra il prezzo riportato negli atti di vendita e gli importi concessi nei collegati contratti di mutuo).

Orientamento, quest’ultimo, ribadito ancora di recente, sempre nel senso dell’ammissibilità, in sede di legittimità, della censura di inesatta applicazione del notorio (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 4428 del 20/02/2020, Rv. 657345).

In materia di protezione internazionale e umanitaria il ricorso alla categoria del fatto notorio, generalmente escluso da questa Corte fino al 2008 (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26822 del 20/12/2007, Rv. 601014; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25028 del 25/11/2005, Rv. 584328; ma vedi anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18353 del 23/08/2006, Rv. 591535, che, pur ribadendo l’onere della prova della persecuzione a carico del richiedente, già ammetteva un’attenuazione dello stesso “… in funzione dell’intensità della persecuzione” affermando la sufficienza della prova della credibilità dei fatti allegati “… anche in via indiziaria”) va oggi rimeditato, alla luce dei principi del cd. “onere attenuato della prova” e del dovere di collaborazione istruttoria chiaramente affermati da Cass. Sez. U., Sentenza n. 27310 del 17/11/2008, Rv. 605498. Con quest’ultima decisione, infatti, si è stabilito che “Secondo il legislatore comunitario, l’autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria. Pertanto, in considerazione del carattere incondizionato e della precisione del contenuto di queste disposizioni, ed in virtù del criterio dell’interpretazione conforme elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, tali principi influenzano l’interpretazione di tutto il diritto nazionale anche se non di diretta derivazione comunitaria”.

Deve pertanto ammettersi, nell’attuale contesto normativo ed alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale consolidatasi in tema di cooperazione istruttoria e di onere della prova attenuato, da un lato la possibilità del ricorrente di invocare il fatto notorio, e dall’altro il corrispondente dovere del giudice di non ignorarlo. In tal senso va data continuità all’orientamento secondo cui le risultanze delle fonti informative aggiornate sul Paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria (le cd. C.O.I.) costituiscono fatto notorio, proprio in ragione della loro diretta disponibilità da parte della collettività e della loro capillare diffusione mediante i canali informatici disponibili alla pluralità dei consociati (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6280 del 05/03/2020, non massimata).

Nel caso di specie, quindi, il Tribunale avrebbe dovuto considerare la posizione del ricorrente sulla base dei fatti notori relativi alla situazione della Costa d’Avorio, apprezzando quindi il timore di essere ucciso dai seguaci del partito (OMISSIS), che il K. aveva dedotto, alla luce delle informazioni desumibili dalle fonti internazionali successive all’assoluzione di G.. Tale evento, infatti, non poteva essere ignorato dal giudice di merito, posto che lo scenario di violenza generalizzata che aveva innegabilmente afflitto la Costa d’Avorio tra il 2010 ed il 2011 si era creato proprio in conseguenza del rifiuto di G. di lasciare il potere. La decisione della Corte internazionale di assolvere G., dunque, ha un rilievo centrale nell’apprezzamento della condizione interna del Paese; nè, d’altro canto, tale circostanza poteva essere tralasciata dal Tribunale, in considerazione del dovere di esercitare la cooperazione istruttoria in primo luogo mediante l’acquisizione di informazioni aggiornate sull’area di provenienza del richiedente la protezione. Tutte le fonti indicate nel provvedimento impugnato, invero, risalgono a prima dell’assoluzione di G. e riportano soltanto il suo deferimento alla Corte penale internazionale; essendo questo fatto ormai superato dalla sentenza di assoluzione, è evidente la non attualità delle C.O.I. utilizzate dal Tribunale e la correlata violazione del principio di cooperazione istruttoria previsto e declinato del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

In definitiva, il ricorso va accolto con affermazione del seguente principio di diritto: “Le informazioni relative alla situazione esistente nel Paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle C.O.I. o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità dei consociati, alla stregua del fatto notorio. Il dovere di cooperazione istruttoria che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, pongono a carico del giudice, nella materia della protezione internazionale o umanitaria, impone allo stesso di utilizzare, ai fini della decisione, C.O.I. ed altre informazioni relative alla condizione interna del Paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione della loro oggettiva notorietà, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2”.

La decisione impugnata va di conseguenza cassata e la causa rinviata al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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