Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15212 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. I, 23/06/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 23/06/2010), n.15212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20000/2006 proposto da:

B.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

NOVENIO BUCCHI 7, presso l’avvocato CANNIZZARO FRANCO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 693/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’08/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7.02-2.07.2003, il Tribunale di Roma dichiarava lo scioglimento del matrimonio contratto il (OMISSIS) dal ricorrente B.C. e da M.M., affidava al primo il figlio P. (nato il (OMISSIS)) e la figlia secondogenita Ca. (nata il (OMISSIS)) alla M., alla quale assegnava la casa familiare ed attribuiva, con decorrenza dalla pronuncia, l’importo mensile, aggiornabile dal febbraio 2004, di complessivi Euro 660,00, di cui Euro 260,00 quale assegno divorzile ed Euro 400,00, da integrare con il rimborso del 50 % delle spese straordinarie, quale contributo per il mantenimento della figlia affidatale.

Con sentenza del 7.12.2005 – 8.02.2006, la Corte di appello di Roma respingeva il gravame del B., che condannava al pagamento delle spese del grado.

La Corte osservava e riteneva in sintesi:

– che con il gravame il B. aveva censurato l’attribuzione all’ex coniuge dell’assegno divorzile, sostenendo che non ne ricorrevano i presupposti di legge;

– che, invece, la M. aveva diritto all’avversata somministrazione, stante la mancanza da parte sua di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con riguardo al pregresso tenore di vita goduto durante il matrimonio, desumibile dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali;

– che nella specie era emerso che il B. esercitava attività imprenditoriale nel settore della produzione e del commercio di porte blindate, con la competenza e l’esperienza che discendevano da un impegno ultraventennale in tale settore merceologico;

– che l’andamento fallimentare delle due società a r.l. già amministrate dal B. (l’una costituita nel (OMISSIS), in liquidazione volontaria nel (OMISSIS) e dichiarata fallita nel (OMISSIS), l’altra costituita nel (OMISSIS) e dichiarata fallita nel (OMISSIS)), aveva indotto quest’ultimo a continuare la sua attività attraverso un’impresa individuale, la “Lady Porta”, costituita nel (OMISSIS) e di cui figurava titolare la sua nuova compagna di vita, L.P., convivente con lui e con il figlio P. che dalla nuova unione affettiva era nato nel (OMISSIS) un altro figlio;

– che l’impresa individuale versava in buone condizioni economiche, come emergeva dal volume dei ricavi per valori ingenti, realizzati negli ultimi anni, oltre che dai movimenti registrati sul conto corrente bancario intestato alla L., pari a circa L. 400 milioni nel ^000, come da documentazione bancaria acquisita nel primo giudizio che successivamente l’impresa aveva confermato la progressiva evoluzione economica positiva, evidenziata nelle denunce dei redditi della L. negli anni 2002, 2004 e 2005 che in particolare il reddito dell’impresa, che per esplicita ammissione del B. era da riferire soprattutto a lui quale effettivo reggente, si era attestato nel 2004 su valori di circa Euro 30.000,00, con ricavi (dichiarati) che ascendevano ad Euro 393.932,00 che, di contro, la M. aveva dichiarato un reddito annuo netto, quale dipendente ASL, pari nel 2004 ad Euro 17.040,00 e versava in precaria condizione abitativa e patrimoniale, avendo prestato fideiussione a garanzia dei debiti del marito, poi fallito, e perciò assoggettata a procedure esecutive in corso, sia con riguardo alla casa coniugale in comproprietà con l’ex coniuge che con riguardo ad altro immobile, da lei ereditato dai genitori;

– che quindi sussisteva un evidente divario a favore del B., tra le condizioni economiche delle due parti, non colmabile dalla M. per ragioni legate anche a sopravvenuti problemi di salute;

– che seppure non contestata, l’entità dell’apporto stabilita dai primi giudici, pari ad Euro 3.120,00 ad anno, si rivelava congrua, corrispondendo a poco più di 1/10 del reddito annuo prodotto dall’impresa individuale.

Avverso questa sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 26.06.2006, fondato su un unico motivo. La M. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il B. denunzia “Violazione ed erronea applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, così come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, precisando conclusivamente ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., peraltro non applicabile ratione temporis, che “il fatto controverso in relazione al quale appare assolutamente contraddittoria la motivazione e, comunque, insufficiente ed inidonea a giustificare la decisione è costituito dall’esame dei redditi delle parti che doveva essere svolta depurando dal reddito del nucleo familiare del B. (rectius il reddito della Lady Porta) l’importo che è chiamato a corrispondere mensilmente alla signora M. per contribuire al mantenimento della figlia Ca. ed integrando, di contro, il reddito della signora M. con la somma che ella percepisce mensilmente dal B. a titolo di contributo per il mantenimento della figlia”.

Nell’illustrazione del motivo il ricorrente si duole che la Corte distrettuale abbia erroneamente applicato i pacifici principi di diritto da^^ richiamati e, comunque, adottato una motivazione viziata, essenzialmente ed in sintesi addebitando ai giudici di merito:

– di non avere accertato il pregresso tenore della vita coniugale, essendosi limitati a verificare le capacità economiche attuali delle parti, senza attribuire rilievo al fatto che all’epoca aveva subito due fallimenti ed un esproprio completo di beni immobili, sicchè non poteva concludersi per un tenore particolarmente agiato;

– di non avere considerato i suoi documentati oneri alloggiativi;

– di avere adottato una determinazione incongrua alla luce della comparazione dei redditi annui fruiti da ciascuna parte, rispettivamente integrati e decurtati delle disposte somministrazioni, in rapporto anche alla diversa composizione numerica dei nuclei familiari di rispettiva pertinenza, conclusivamente non ravvisando la perfetta parità di condizioni economiche tra gli stessi.

Il motivo non è fondato.

La Corte distrettuale risulta essersi ineccepibilmente attenuta al dettato normativo ed avere diffusamente, logicamente e puntualmente esposto le ragioni del proprio convincimento, dal momento che ben poteva desumere dalle condizioni economiche delle parti il tenore della pregressa vita matrimoniale, non smentito dalle vicende fallimentari del B., dati i relativi tempi ed il contestuale avvio di analoghe iniziative imprenditoriali, e che ha giustamente dato non implausibile rilievo agli incrementi reddituali, in progressiva evoluzione, di cui il B. si poteva giovare e che costituivano naturale espressione e sviluppo della sua pregressa capacità lavorativa (cfr., tra le altre, Cass. 200413169; 200624496; 200715610), nonchè alla più che consistente entità dei ricavi, già valorizzati dal primo giudice, in rapporto ai dichiarati redditi tratti dalla sua nuova impresa, verificando altresì la capienza con quest’ultimi dell’entità dell’imposto assegno divorzile, il tutto in rapporto alle condizioni personali, anche abitative, ed economiche della Morelli oltre che ai rispettivi carichi familiari, e, dunque, conclusivamente compiuto un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali, tenuta anche presente la lunga durata del matrimonio, è pervenuta a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze.

Di contro, le ulteriori censure rivolte dal ricorrente all’iter motivazionale, essenzialmente si risolvono in inammissibili, generici rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi assunti, da cui non è dato desumere illogicità o carenze motivazionali decisive, e che sostanzialmente appaiono volti ad un non consentito in questa sede di legittimità, più favorevole ed aderente alla sua tesi apprezzamento dei medesimi dati (cfr, ex plurimis, Cass. 200520332; 200700828; 20072972), ovvero nel mero richiamo di una circostanza di fatto (acquisto da parte della M. di una casa in località marina) nuova, come tale non valutabile per la prima volta in sede di legittimità.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità dato l’esito del giudizio ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata, che non si è costituita nè ha partecipato alla discussione orale, ma si è limitata a depositare in data 6 marzo 2007 invalida procura al difensore, apposta in calce alla copia a lei notificata del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

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