Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15211 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/07/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 22/07/2016), n.15211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29441-2014 proposto da:

CONCORDE S.P.A., c.f. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 53,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPAOLO ROSSI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato TOMMASO TOMMESANI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

P.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DEGLI AMMIRAGLI 46, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA

CAPUTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO

ANDREA GALLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1414/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 14/10/2014 R.G.N. 679/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato ROSSI GIAMPAOLO;

udito l’Avvocato CAPUTO GIANLUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Si controverte del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato il 28/6/2012 dalla società Concorde s.p.a. a P.A..

Il Tribunale di Bologna ha integralmente confermato l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria attraverso la quale era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento per insussistenza del giustificato motivo oggettivo.

Con sentenza del 7/10 – 14/10/2014, la Corte d’appello di Bologna ha respinto il reclamo della società dopo aver escluso, ai fini della verifica del requisito dimensionale, che la sede di lavoro del P., coincidente con la sua abitazione in Milano, fosse distinta dalla sede aziendale in (OMISSIS) e dopo aver accertato che la reclamante società aveva allegato in giudizio, a sostegno del provvedimento di recesso, la circostanza della ristrutturazione della rete commerciale, mentre nell’atto di licenziamento era stata indicata la diversa causale della previsione dei risultati negativi dell’andamento commerciale dell’azienda e del mercato.

Per la cassazione della sentenza ricorre la società Concorde s.p.a. con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c…

Resiste con controricorso P.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, formulato per violazione delle norme di cui all’art. 2103 c.c., comma 1, parte 3 e L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 35, comma 1, la ricorrente solleva la questione dell’incidenza della singola unità produttiva, coincidente nella fattispecie con l’abitazione del lavoratore in luogo diverso da quello della sede aziendale, ai fini della sussistenza del requisito dimensionale dell’impresa, necessario per l’applicazione della tutela reale invocata dalla controparte.

In particolare si contesta l’esclusione, da parte della Corte d’appello, della riconoscibilità di un’unità produttiva della società Concorde s.p.a., quale quella utilizzata dal P., staccata e distinta dalla sede aziendale, oltre che la rilevata mancanza di operatività della suddetta unità nella zona di appartenenza di quest’ultimo per ritenuta insussistenza del dedotto requisito di autonomia. In pratica, si sostiene che la Corte territoriale avrebbe offerto un’interpretazione errata del concetto di unità produttiva ex art. 2103 c.c., comma 1, parte 3 e L. n. 300 del 1970, art. 35, comma 1, in quanto non avrebbe considerato che si era in presenza di un’articolazione aziendale caratterizzata da indipendenza tecnica ed amministrativa, così pervenendo erroneamente al riconoscimento del requisito dimensionale per l’applicazione della tutela reale nella formulazione anteriore alla L. n. 92 del 2012, mentre questa sarebbe stata esclusa una volta individuata esattamente per il P. un’unità produttiva coincidente con la sua zona di operatività e, quindi, diversa dalla sede della società Concorde s.p.a. di (OMISSIS). Al riguardo la difesa della ricorrente fa presente che il P. svolgeva continuativamente per conto della società, che si occupava della commercializzazione di prodotti di telefonia mobile ed accessori, l’attività commerciale nell’ambito di una zona geografica identificabile nell’area milanese nella quale avevano sede sia i fornitori che i clienti, mentre il medesimo operava sporadicamente presso i locali della sede societaria in (OMISSIS).

Il motivo è infondato.

Invero, l’indirizzo di legittimità richiamato nell’impugnata sentenza, è nel senso che agli effetti della tutela reintegratoria del lavoratore ingiustamente licenziato, per unità produttiva deve intendersi non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale. Ne consegue che deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa. (v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 19837 del 4/10/2004 e Cass. sez. lav. n. 19614 del 26/9/2011).

Si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav. n. 7989 del 21/5/2012) che “in tema di licenziamento individuale, ai fini dell’accertamento del requisito dimensionale richiesto per l’applicabilità dell’art. 18 stat. Lav., ove un’articolazione aziendale sia priva di autonomia, il numero dei relativi dipendenti va sommato a quello dei lavoratori operanti presso la unità produttiva a cui la medesima fa capo, anche se ubicata in altro comune”.

Orbene, la Corte territoriale non si è discostata da tali principi allorquando, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede, ha ritenuto che il reclamo non conteneva elementi fattuali trascurati dal primo giudice nel pervenire al convincimento dell’insussistenza di un’autonomia produttiva presso l’abitazione del P. rilevante ai fini dell’applicazione della norma di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 35.

2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riferimento al rimborso delle spese in occasione delle presenze del P. ad (OMISSIS), circostanza, questa, che sarebbe emersa dalle risultanze istruttorie che avrebbero consentito, altresì, di appurare che non esisteva presso la sede della società, sita in quest’ultima località, un ufficio dedicato al predetto lavoratore il quale aveva, invece, la disponibilità di un’attrezzatura aziendale a Milano finalizzata all’espletamento dell’attività lavorativa, con la conseguenza che tali elementi erano idonei e sufficienti ad identificare una unità produttiva della società Concorde s.p.a. distinta dalla sede aziendale di (OMISSIS) e priva del requisito numerico L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18.

Il motivo è inammissibile.

Anzitutto, corre obbligo rilevare che lo stesso, benchè impostato come vizio di motivazione contiene, in realtà, una riproposizione del vizio di violazione di legge di cui alla prima censura nel momento in cui finalizza la specifica doglianza dell’omesso esame della questione di fatto del rimborso spese alla soluzione della questione giuridica della ritenuta insussistenza di un’unità produttiva autonoma in Milano ai fini della configurazione del dibattuto requisito dimensionale, a sua volta necessario per l’applicazione della tutela reale.

Tra l’altro, per quel che concerne il vizio motivazionale, va ricordato che, con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dalla D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Pertanto, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Ma è evidente che nella specie la valutazione della insussistenza di un’autonoma attività produttiva presso l’abitazione del P., rilevante L. n. 300 del 1970, ex art. 35, non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento sulla insussistenza del predetto requisito ai fini della verifica del requisito dimensionale dell’impresa.

3. Col terzo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, la ricorrente contesta la decisione attraverso la quale la Corte d’appello ha ritenuto che la sua difesa aveva operato in giudizio una inammissibile “mutatio libelli” della contestazione rispetto a quella addotta a sostegno dell’intimato licenziamento attraverso la prospettazione della causale della “ristrutturazione della rete commerciale in cui era inserito il lavoratore in dipendenza della modifica del target di mercato col passaggio dal sistema di vendita ordinario a quello operatori determinato da andamenti sviluppatisi dal 2008” in luogo di quella della “riduzione in atto e preventivata del fatturato e riorganizzazione della rete di vendita (a parità ma con diversa composizione del fatturato)” posta a base del recesso. Ritiene, invece, la ricorrente che in giudizio erano state dedotte solo circostanze confermative o integrative che non mutavano l’oggettiva consistenza storica dei fatti addebitati.

Il motivo è infondato in quanto i giudici d’appello hanno ben evidenziato, con argomentazione logico-giuridica immune da rilievi di legittimità, che sussisteva una chiara diversità ontologica tra l’ipotesi della riduzione in atto e preventivata del fatturato e quella della riorganizzazione della rete di vendita, diversità che non poteva non tradursi in una inammissibile deduzione di ragioni nuove non consentita, in quanto tale, per il rispetto del principio dell’immutabilità della contestazione.

Invero, in tema di risoluzione del rapporto di lavoro il principio della immutabilità della contestazione riguarda le circostanze di fatto su cui è fondato il licenziamento e non già la qualificazione dell’infrazione addebitata al lavoratore e nella fattispecie è stata adeguatamente posta in rilievo la differenza sostanziale tra le circostanze di fatto sulla base delle quali era stato intimato il licenziamento per motivo oggettivo e quelle esplicitate nel corso della difesa attuata in giudizio, per cui correttamente la Corte di merito ha rilevato la inammissibilità della relativa deduzione in quanto nuova.

4. Col quarto motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dorme di diritto con riferimento al sindacato giudiziale sul merito della scelta organizzativa L. n. 604 del 1966, ex art. 3 dell’impresa in contrasto con la previsione di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 1.

Il motivo è infondato in quanto in base ad un percorso argomentativo logico la Corte d’appello ha ritenuto che il rigetto del secondo motivo del reclamo, basato sulla asserita validità delle ragioni illustrate in giudizio a sostegno del licenziamento per motivo oggettivo, comportava l’assorbimento del terzo, che era incentrato sulla prova della effettività della ristrutturazione della rete commerciale dovuta alla diversa incidenza assunta dai canali di vendita ordinaria ed “operatori”, circostanza, questa, che, come si è appena detto, è stata considerata inammissibile in quanto dedotta per la prima volta in giudizio rispetto ai motivi ricompresi nella sommaria enunciazione dell’intimato licenziamento, a loro volta ritenuti destituiti di fondamento, per cui veniva ribadita l’illegittimità di tale provvedimento.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate a suo carico come da dispositivo unitamente al contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4000,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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