Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15210 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15210 Anno 2015
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 20301-2012 proposto da:
RUFOLI S.O.A R. L. P.I. 085536081006, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86,
presso lo studio dell’avvocato EMILIO STERPETTI, che
la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrenti –

2015

contro

822

CALVANESE LUIGI;
– intimato –

avverso la sentenza n. 124/2011 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 21/07/2015

di SALERNO, depositata il 07/03/2012 r.g.n. 1573/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/02/2015 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

per l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli
altri.

Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso

20301.12
Pres.
Est.

A. Lamorgese
V. Di Cerbo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

Luigi Calvanese ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno, in
funzione di giudice del lavoro, la s.c.a.r.l. Rufoli, della quale era stato dipendente,
per ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli in data 6
marzo 2009 a seguito di una procedura di riduzione del personale conclusa il 27
febbraio 2009, procedura motivata con il “graduale esaurirsi dell’unica commessa
che, allo stato attuale, non consente il mantenimento dei livelli occupazionali”. A
sostegno della domanda il lavoratore ha dedotto la violazione della procedura
prevista dagli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223 del 1991 e, in particolare, l’erroneo
computo del punteggio attribuitogli in applicazione dei criteri di scelta dei
dipendenti da licenziare.

2.

Costituitosi contraddittorio il Tribunale adito ha rigettato il ricorso.

3.

La Corte d’appello di Salerno, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato
l’illegittimità del licenziamento con conseguente ordine di reintegrazione nel posto
di lavoro e condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla
data del licenziamento alla data della reintegrazione ai sensi dell’art. 18 legge n.
300 del 1970.

4.

La Corte di merito, premesso che al momento del licenziamento la società era
ancora in attività avendo una forza lavoro di circa 70 operai, ha ritenuto che il
lavoratore fosse stato selezionato fra coloro che dovevano essere licenziati sulla
base di una erronea applicazione dei criteri di scelta previsti dall’accordo sindacale
del 27 febbraio 2009, con riferimento al nucleo familiare. Osservava in proposito
che il suddetto accordo, nell’individuare il parametro della composizione del nucleo
familiare che prescinde dal numero dei soggetti “a carico”, legittimamente
derogava al criterio fissato dall’art. 5 della legge n. 221 del 1991. Peraltro, tenuto
conto che al Calvanese il primo giudice aveva attribuito quattro punti (in luogo dei
6 spettanti) e che su questo punteggio non era stata proposta impugnazione
concludeva che il punteggio complessivo allo stesso spettante era 6,09
(comprensivo di 2,09 punti per anzianità di servizio) punteggio comunque
superiore a quello spettante ad altro lavoratore (2,08) che era peraltro rimasto in
servizio. In base a tale rilievo doveva ritenersi l’illegittimità del licenziamento.
Sotto altro profilo affermava che la fattispecie in esame non rientrava nell’ambito
di quelle sottratte all’applicazione della legge n. 223 del 1991 riferita alle ipotesi di
fine lavoro in edilizia (art. 24, comma 4, della legge n. 221 del 1991).
Quest ‘ultima disposizione, nel prevedere tale esclusione, costituisce infatti norma
di carattere eccezionale e non suscettibile di applicazione analogica per cui non
può essere estesa a settori differenti rispetto a quelli previsti. Nel caso di specie si
tratta infatti di aziende che operano nel settore della realizzazione di autostrade.

3

.

Udienza 18 febbraio 2015

5.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società affidato ad un unico,
complesso, motivo. Il lavoratore è rimasto intimato.

6.

Con l’unico motivo di ricorso la società datrice di lavoro censura la sentenza
impugnata denunciando l’esistenza di vizi di motivazione concernenti fatti decisivi
e controversi per il giudizio. Tale vizio di motivazione è riferito in primo luogo alla
ritenuta estraneità della fattispecie in esame all’ambito di applicazione della
clausola prevista dall’art. 24 legge n. 223 del 1991 concernente la fine lavori nel
settore edile; sotto altro profilo il suddetto vizio viene attribuito al punteggio
relativo ai carichi familiari; infine si deduce il vizio di motivazione anche con
riferimento all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui era
passato in giudicato il punteggio di quattro punti per carichi familiari assegnato
dal primo giudice e non impugnato in appello.

7.

Il primo profilo evidenziato nel motivo di ricorso, basato sull’inapplicabilità al caso
di specie della disciplina dei licenziamenti collettivi – profilo che, in sostanza, al di
là della terminologia adoperata dal ricorrente, si sostanzia in una denuncia di
violazione di legge e, più esattamente, dell’art. 24, della legge n. 223 del 1991
nella parte in cui dispone che le disposizioni ivi previste non si applicano nei casi
di fine lavoro nelle costruzioni edili – è privo di pregio.

8.

Premesso che a norma dell’art. 24 della legge n. 223 del 1991 Le disposizioni del
presente articolo (che disciplina in particolare l’ambito di applicazione della
disciplina della riduzione di personale) non si. applicano nei casi … omissis … di fine
lavoro nelle costruzioni edili, deve osservarsi che secondo la giurisprudenza di
questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 6 febbraio 2008 n. 2782),
che in questa sede deve essere pienamente confermata, l’esclusione dell’obbligo
di osservare le procedure dettate per i licenziamenti collettivi, prevista dal citato
art. 24, comma quarto, della legge n. 223 del 1991, fra l’altro, per la fine lavoro
nelle costruzioni edili, motivata dall’impossibilità assoluta di un’ulteriore
utilizzazione dei lavoratori destinatari dei provvedimenti di recesso, non opera
quando la fase lavorativa non sia ultimata, ma sia in corso di graduale
esaurimento, atteso che in tal caso si rende necessaria una scelta fra lavoratori da
licenziare e lavoratori da adibire all’ultimazione dei lavori, scelta che deve seguire
le regole di cui agli artt. 4 e 5 della legge da ultimo citata.

9.

Nel caso di specie la sentenza impugnata ha evidenziato che al momento in cui fu
intimato il licenziamento era ancora operativa una forza lavoro di 70 operai e
pertanto non ricorre l’ipotesi di fine lavori invocata dalla società ricorrente.

10. Sulla base di tale rilievo deve considerarsi assorbito l’argomento utilizzato dalla
sentenza impugnata, e peraltro superato dalla giurisprudenza citata, secondo cui
l’attività svolta dalla società ricorrente (realizzazione di tratti di autostrada) non
rientrerebbe comunque nell’attività edilizia e sarebbe quindi sottratto all’ambito di
applicazione della disciplina derogatoria sopra richiamata. Ed infatti, anche ove si
dovesse ritenere fondata la tesi della società ricorrente basata sul rilievo che il
contratto collettivo del settore edilizio del 20 maggio 2004, nell’individuare il
proprio ambito oggettivo di applicazione, comprende anche le costruzioni stradali i
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MOTIVI DELLA DECISIONE

11. Per quanto concerne la doglianza concernente il punteggio relativo ai carichi
familiari sulla base dell’accordo sindacale, la società ricorrente deduce che la
statuizione della corte di merito sarebbe errata in quanto fondata sul riferimento,
quale parametro per l’attribuzione del punteggio, al nucleo familiare senza tener
conto del diverso parametro costituito dal numero delle persone a carico del
dipendente. Ad avviso della ricorrente tale statuizione, in quanto basata
sull’accordo sindacale intervenuto tra le parti, deve ritenersi errata atteso che
l’accordo sindacale non può porsi in contrasto con la disposizione di cui all’art. 5,
comma 1, lett. a), della legge n. 223 del 91 nella parte in cui si riferisce ai carichi
di famiglia. L’espressione adoperata dal legislatore intende individuare
evidentemente i soggetti a carico del lavoratore stesso e non già soltanto quelli
che fanno parte del nucleo familiare. Una diversa interpretazione dell’accordo
sindacale attribuirebbe a tale accordo un significato derogatorio e non già
integrativo della disposizione normativa, ciò che non è consentito.
Tale censura, che contiene anche essa, in effetti, una denuncia di violazione di
legge nonostante il riferimento al vizio di motivazione è infondata. Ed infatti,
contrariamente a quanto sostiene la società ricorrente, gli accordi sindacali
possono legittimamente derogare, in tema di criteri di scelta dei lavoratori da
sottoporre alla procedura di riduzione di personale, ai criteri previsti dall’art. 5
della legge n. 223 del 1991. In tal senso si è costantemente pronunciata la
giurisprudenza della Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 19 maggio 2006
n. 11886; Cass. 7 giugno 2003 n. 9153; Cass. 24 marzo 1998 n. 3133), secondo
la quale, infatti, in tema di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi di
cui alla legge n. 223 del 1991, con accordo sindacale possono essere determinati
criteri di scelta dei lavoratori diversi da quelli stabiliti per legge. Nel caso di specie
l’accordo sindacale ha previsto, quale criterio di scelta, quello del nucleo familiare,
in deroga (legittima, secondo la giurisprudenza sopra citata) al criterio dei carichi
di famiglia previsti dall’art. 5 della legge n. 223 del 1991. Poiché non è contestata
la corretta applicazione, da parte della Corte territoriale, del criterio del numero
dei componenti del nucleo familiare previsto dall’accordo sindacale, la censura
deve ritenersi infondata.
12. Anche il terzo profilo di censura, col quale la ricorrente contesta l’affermazione
della sentenza impugnata secondo cui si era formato il giudicato sull’affermazione
dei primo giudice secondo cui al lavoratore era stato assegnato un punteggio di
quattro punti per il nucleo familiare, è infondata. Ed infatti la questione
dell’esistenza, o meno, di un giudicato su suddetto profilo è assorbita dal fatto
che, come rilevato nella sentenza impugnata, il nucleo familiare del lavoratore
era composto da tre persone per cui in applicazione dell’accordo sindacale (che
assegna due punti per ogni elemento del nucleo familiare), sulla base di questo
criterio al lavoratore spettavano sei punti, oltre ai 2,09 punti per l’anzianità di
servizio, per cui in ogni caso, in base ai criteri di scelta suddetti, il Calvanese non
rientrava nell’ambito dei lavoratori da licenziare.
13.11 ricorso deve essere in definitiva rigettato.
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ponti e viadotti e i lavori in galleria, per cui la realizzazione e manutenzione di un
lotto autostradale rientra nell’ambito del lavoro edile, la conclusione non cambia
non sussistendo il presupposto “fine lavori” richiesto dalla norma.

14.Nulla deve essere disposto in materia di spese legali concernenti il giudizio di
cassazione atteso il mancato svolgimento di attività processuale da parte del
lavoratore, rimasto intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 febbraio 2015.

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