Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15208 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 16/07/2020), n.15208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. Riverso Roberto – Consigliere –

Dott. Marchese Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4362-2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIOVANNA COGO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA 97103880585, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1873/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Presidente Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Milano, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, in parziale riforma della decisione di primo grado che aveva accertato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra M.A. e Poste Italiane s.p.a. per ragioni di carattere sostitutivo, confermava la statuizione in punto di nullità del termine e, in parziale accoglimento dell’appello, applicava lo ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, quantificando in tre mensilità il risarcimento dei danni e condannando la lavoratrice a restituire gli eventuali importi percepiti in eccedenza sulla scorta delle precedenti decisioni;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione M.A. sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria;

resiste con controricorso Poste Italiane S.p.a.;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 414 c.p.c., in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 7, della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13 e dell’art. 2099 c.c., in quanto la gravata sentenza aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna al pagamento delle retribuzioni successive alla sentenza di conversione del rapporto di lavoro, pure esplicitata nella memoria di costituzione a seguito di riassunzione, anche se la statuizione di primo grado conteneva, come riportato a pg. 3 del ricorso, la condanna al pagamento in favore della lavoratrice delle retribuzioni maturate dalla messa in mora e sino all’esecuzione della sentenza, le quali non potevano ritenersi tutte ricomprese nell’indennità ex art. 32 cit. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4);

con il secondo motivo rileva violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 8, nonchè vizio di omesso esame di fatti rilevanti ai fini della decisione della causa e di motivazione illogica, contraddittoria e apparente (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), poichè la Corte d’appello, ai fini della determinazione dell’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, aveva utilizzato solo il parametro dell’anzianità aziendale, ritenendola peraltro breve perchè riferita alla sola durata del contratto a tempo determinato e non all’intervallo tra la data della stipula e quella della sentenza di primo grado che aveva disposto la conversione;

con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè vizio di motivazione illogica, contraddittoria ed apparente su un aspetto rilevante della domanda (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) perchè, nonostante l’esito finale del giudizio fosse stato favorevole alla lavoratrice, come espressamente riconosciuto in sentenza, era stata ritenuta equa la compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione agli artt. 1, 4 e 5 della tabella 12 del D.M. 55714 e dell’art. 2223 c.c., nonchè vizio di motivazione assente, illogica e contraddittoria in relazione ai criteri in base ai quali è stata determinata la liquidazione del compenso (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), poichè la liquidazione riferita a più fasi del giudizio accorpate non consente la verifica del quantum delle voci di liquidazione e, inoltre, l’importo è inferiore rispetto ai minimi tariffari di cui al DM

55/2014; in ordine alla prima censura, va preliminarmente disatteso il rilievo d’inammissibilità avanzato dalla controricorrente, in ragione dell’articolazione in più profili di censura, poichè la formulazione permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate (Cass. S. U. n. 9100 del 06/05/2015), riassunte in precedenza nella sintesi del motivo;

tanto premesso, va rilevata la fondatezza della stessa;

si osserva, in primo luogo, che, poichè il pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora e sino all’esecuzione della sentenza, comprensive, quindi, di quelle di cui si discute in questa sede, avevano costituito oggetto di accoglimento in primo grado, non si rendeva necessaria la proposizione di appello incidentale condizionato affinchè la questione fosse esaminata dalla Corte d’appello, come pretenderebbe la controricorrente, essendo la parte appellata totalmente vittoriosa (Cass. n. 9889 del 13/05/2016);

tanto premesso, va rilevato che l’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, pur avendo carattere onnicomprensivo, interviene a compensare il danno del lavoratore da perdita della retribuzione (ed accessori) nel periodo compreso tra l’allontanamento e la sentenza di merito che accerta la nullità del contratto e dichiara la conversione del rapporto (vedi Cass. n. 151 del 09/01/2015, n. 14461 del 10/07/2015, Cass.n. 23270 del 2015), sicchè l’applicazione dello ius superveniens non consente di ritenere assorbita la questione attinente alla spettanza delle retribuzioni maturate dopo la sentenza di conversione del rapporto, in relazione alla quale è richiesta una specifica statuizione;

il secondo motivo, per quanto attiene al profilo di censura inerente alla violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile poichè la Corte d’appello ha tenuto conto dei parametri per liquidare l’indennità, mutuati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, valorizzando quello della esigua durata del contratto unitamente ad altri elementi, quale la tempestiva reazione del lavoratore, e prendendo in considerazione anche gli indicatori di cui si assume omessa la valutazione (dimensioni della società), senza che nessuno dei predetti fatti possa assumersi trascurato;

lo stesso è infondato per quanto attiene alla denunciata motivazione mancante o apparente, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, esclusivamente entro i limitati confini segnati da Cass. 8053/2014, essendo comprensibile l’iter logico che ha condotto alla decisione;

il terzo motivo è infondato, posto che la disposta compensazione delle spese, limitata al solo giudizio di legittimità, si risolve in una compensazione parziale, sicchè non contrasta con il principio della soccombenza, da intendere nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa (e tale non può essere ritenuta la ricorrente, in ragione della parziale riforma della sentenza) non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese (vedi, specificamente Cass. n. 19613 del 04/08/2017);

poichè la liquidazione delle spese risulta effettuata unitariamente per le fasi di appello e di rinvio, risulta fondato, infine, il quarto motivo, in base al principio in forza del quale “In tema di spese processuali, in applicazione del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, i compensi dei professionisti, quando sono riferiti a più fasi del giudizio, devono essere liquidati distinguendo ciascuna fase di esso, in modo da consentire la verifica della correttezza dei parametri utilizzati ed il rispetto delle relative tabelle.” (Cass. n. 6306 del 31/03/2016, conforme Cass. 19482 del 23/07/2018);

conclusivamente vanno accolti il primo e il quarto motivo, rigettati il secondo e terzo, e la sentenza va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che provvederà a statuire con riguardo alle retribuzioni maturate nel periodo successivo alla sentenza di conversione del rapporto di lavoro, oltre alla corretta liquidazione delle spese processuali per le fasi per le quali è intervenuta condanna.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il quarto motivo, rigetta il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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