Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15208 del 01/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 01/06/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 01/06/2021), n.15208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22286/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Gruppo Iniziative Ristoro G.I.R. s.r.l., in persona del l.r.p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Valentina De Pasquale, presso cui

elettivamente domicilia in Roma alla via La Spezia n. 95;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.151/8/15 della Commissione tributaria regionale

della Sardegna, sezione staccata di Sassari, pronunciata in data 23

marzo 2015, depositata in data 13 aprile 2015 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 febbraio

2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate ricorre con cinque motivi avverso il Gruppo Iniziative Ristoro G.I.R. s.r.l. per la cassazione della sentenza n. 151/8/15 della Commissione tributaria regionale della Sardegna, sezione staccata di Sassari, pronunciata in data 23 marzo 2015, depositata in data 13 aprile 2015 e non notificata, che, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di recupero del credito d’imposta indebitamente utilizzato per investimenti nelle aree svantaggiate L. n. 388 del 2000, ex art. 8, ha accolto l’appello principale della società, rigettando quello incidentale dell’Agenzia delle entrate ed annullando l’avviso dl recupero del credito;

a seguito della notifica del ricorso, la società resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio dell’11 febbraio 2021, ai sensi degli artt. 375 c.p.c., u.c., e 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., della L. 23 dicembre 2000 n. 388, art. 8 (calcolo dell’investimento netto in riferimento all’unità – punto vendita di (OMISSIS)) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 (calcolo dell’investimento netto in riferimento all’unità – punto vendita di (OMISSIS) staz. (OMISSIS)) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

a seguito di controllo fiscale della società G.I.R. – Gruppo Iniziative Ristoro s.r.l., l’Agenzia delle entrate aveva notificato un atto di recupero del credito d’imposta, di cui la società aveva usufruito L. n. 388 del 2000, ex art. 8, per investimenti effettuati nelle unità locali di nuova apertura in (OMISSIS) e (OMISSIS);

in particolare la società aveva stipulato con la proprietaria 2C COSTRUZIONI dei contratti di affitto di locali commerciali adibiti a fast-food successivamente affidati in franchising alla società marchio Mc-Donalds;

i nuovi investimenti erano consistiti nell’allestimento delle attrezzature dei locali ristoranti affittati dalla società (quindi investimenti effettuati su beni di terzi);

l’ufficio aveva riscontrato che, per l’unità di (OMISSIS), l’investimento lordo relativo, esposto nel Modello CVS, era pari a Lire 1.040.709.920 e che nel calcolo dell’investimento era confluita una fattura, emessa dalla “DR ENGINERING”, relativa à “forniture in opera di impianti tecnologici come da computo metrico allegato”, destinati all’attività di ristorazione oggetto dell’investimento;

poichè il locale destinato all’attività era di proprietà di terzi (2C COSTRUZIONI), l’Ufficio verificava che gli impianti indicati in fattura rispettassero i requisiti previsti, ai fini dell’agevolazione richiesta, dalle Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate nn. 257/02 e 55/03, nelle quali è stabilito che i costi sostenuti su beni non di proprietà dell’impresa, ai fini dell’agevolazione, devono concretizzarsi in beni autonomi rispetto al bene del terzo e devono essere riferiti a beni materiali che hanno una loro autonoma funzionalità;

l’esame effettuato dai verificatori aveva evidenziato come una parte degli impianti descritti nel computo metrico (“canalizzazioni e tubazioni, linee dorsali ed interconnessioni, distribuzione impianto f.m. prese, distribuzione impianto illuminazione, opere varie, regolazione automatica impianti; impianto idrico sanitario e fognario”, così testualmente al foglio n. 2 del p.v.c.) non fossero agevolabili in quanto privi di autonoma funzionalità e da considerarsi come migliorie su beni di proprietà di terzi;

quindi, su tali presupposti, l’Agenzia delle entrate dal totale indicato in fattura considerava non agevolabili quei beni per un ammontare di L.. 110.754.000 e riduceva l’ammontare complessivo dell’investimento lordo indicato nel Mod. CVS da Lire 1.040.709.920 a Lire 929.955.921;

per l’unità di (OMISSIS) l’investimento lordo, esposto nel Modello (OMISSIS), era pari a Lire 963.099.921;

l’ufficio aveva rilevato che nel calcolo dell’investimento era confluita una fattura, emessa dalla “SIECI SRL”, per un imponibile di Lire 386.459.200 relativa a “contratto per la costruzione del Nuovo ristorante in (OMISSIS)- stazione (OMISSIS)”;

il rapporto fra la conduttrice G.I.R. e la proprietaria (OMISSIS) era regolato da un contratto di locazione dell’area destinata all’attività di ristorazione;

una parte delle opere eseguite dalla SIECI e indicate in fattura non erano state inserite nel calcolo dell’investimento agevolato, in quanto destinate alla stazione (OMISSIS) e trasferite in proprietà alla stessa;

tuttavia, i verificatori avevano ritenuto la non agevolabilità anche di tutte le altre opere e lavori indicati in fattura, poichè dall’esame del contratto di locazione fra la G.I.R. e l'(OMISSIS), era emerso che, al punto 9) – Ripristino e restituzione dei locali -, veniva stabilito che: ” resta inteso che se gli impianti da installare e le relative opere risultassero compatibili e funzionali con l’autostazione (OMISSIS), gli stessi al termine del contratto di locazione potranno non essere rimossi e resteranno di proprietà dell'(OMISSIS) senza che la G.I.R. possa richiedere alcun riconoscimento economico”;

pertanto l’ufficio aveva escluso dal calcolo dell’investimento lordo tutte le opere relative all’importo fatturato dalla SIECI s.r.l. in quanto si trattava di migliorie su beni di terzi per un ammontare di Lire 386.459.200 e l’ammontare complessivo dell’investimento lordo indicato nel Mod. (OMISSIS) veniva ridotto da Lire 983.099.890 a Lire 589.161.213;

sui rilievi esposti la C.t.r. aveva ritenuto che, sia con riferimento al punto vendita di (OMISSIS) che a quello di (OMISSIS) C/ (OMISSIS), gli investimenti riguardavano beni autonomi funzionalmente (quindi asportabili e rientranti nella previsione del credito d’imposta L. n. 388 del 2000, ex art. 8), in quanto legati all’attività specificamente esercitata dalla GIR. s.r.l.;

in particolare per quanto riguarda il punto vendita (OMISSIS)-(OMISSIS), la C.t.r riteneva erronea l’esclusione dal finanziamento agevolato della somma di Lire 386.459.200, perchè la previsione contrattuale rappresentava una mera facoltà, in quanto in caso di trasferimento dell’attività di ristorazione in altri locali, gli impianti sarebbero stati sicuramente rimossi, non essendo ipotizzabile che la G.I.R. s.r.l. regalasse impianti costati centinaia di milioni;

il giudice di appello rilevava, inoltre, che gli investimenti esclusi (quadri elettrici, impianti di illuminazione, fornitura e posa in opera di controsoffitti vari, ecc) erano necessari per il contratto di franchising con la Mc Donald’s ed erano relativi a beni strettamente connessi all’esercizio dell’attività di ristorazione, pertanto non qualificabili quali miglioramenti di beni di terzi;

i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti;

la L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 1, recita: “1. Alle imprese che operano nei settori delle attività estrattive e manifatturiere, dei servizi, del turismo, del commercio, delle costruzioni, della produzione e distribuzione di energia elettrica, vapore ed acqua calda della pesca e dell’acquacoltura, della trasformazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura di cui all’allegato I del Trattato che istituisce la Comunità Europea, e successive modificazioni, che, fino alla chiusura del periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006, effettuano nuovi investimenti nelle aree ammissibili alle deroghe previste dal citato Trattato, art. 87, paragrafo 3, lettere a) e c), individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006, è attribuito un contributo nella forma di credito di imposta nei limiti massimi di spesa pari a 870 milioni di Euro per l’anno 2002 e pari a 1.725 milioni di Euro per l’anno 2003, 1.740 milioni di Euro per l’anno 2004, 1.511 milioni di Euro per l’anno 2005, 1.250 milioni di Euro per l’anno 2006, 700 milioni di Euro per l’anno 2007 e 300 milioni di Euro per l’anno 2008 “;

il successivo comma 2 chiarisce: ” 2. Per nuovi investimenti si intendono le acquisizioni di beni strumentali nuovi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, artt. 67 e 68, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusi i costi relativi all’acquisto di “mobili e macchine ordinarie di ufficio” di cui alla tabella approvata con decreto del Ministro delle finanze 31 dicembre 1988, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 2 febbraio 1989, concernente i “coefficienti di ammortamento”, destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nelle aree territoriali di cui al comma 1, per la parte del loro costo complessivo eccedente le cessioni e le dismissioni effettuate nonchè gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta, relativi a beni d’investimento della stessa struttura produttiva”;

come è stato detto “in tema di agevolazioni fiscali per le aree svantaggiate, il credito d’imposta previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 8, per i soggetti titolari di reddito d’impresa che, nel periodo ivi indicato, abbiano effettuato nuovi investimenti, spetta per i beni strumentali, materiali e immateriali, che siano nuovi e fiscalmente ammortizzabili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 67 e 68 (oggi artt. 103 e 104) sicchè le spese incrementative relative ad un immobile (nella specie detenuto, all’epoca dell’utilizzo dell’agevolazione fiscale, a titolo locatizio) rilevano, ai fini del credito d’imposta suddetto, solo se il contribuente dimostri che i relativi costi possano essere contabilizzati in bilancio tra le “immobilizzazioni materiali”, in quanto, trattandosi di opere aventi una loro autonoma funzionalità ed individualità, a prescindere dal bene altrui cui accedono, possono essere, al termine della locazione, rimossi ed utilizzati separatamente dall’investitore, a differenza delle spese incrementative riguardanti opere prive di tali caratteristiche rispetto al bene cui accedono, da classificarsi nell’attivo dello stato patrimoniale tra le “altre immobilizzazioni immateriali”, che non costituiscono beni autonomi ma, stante l’accessione su beni di terzi, meri costi deducibili. ” (Cass. civ. sez. trib., 06/09/2017, n. 20814; vedi anche Cass. civ. sez. trib., 27/07/2016, n. 15572; Cass. civ. sez. trib., 20/12/2013, n. 28535);

i beni agevolabili strumentali (destinati dunque ad essere utilizzati dall’imprenditore per più esercizi), oltre al requisito della novità e della riferibilità all’attività d’impresa, devono avere la caratteristica di essere ammortizzabili fiscalmente;

ove i beni insistano su suolo altrui, deve essere fornita prova dal contribuente, che invoca il diritto di fruire dell’agevolazione fiscale, in merito alla amovibilità dei beni che configurino beni autonomi rispetto all’immobile di terzi cui accedono (Sez. 5, Sentenza n. 21813 del 6/7/2016; Sez. 5, Sentenza n. 15572 del 26/5/2016; Sez. 5, Sentenza n. 21411 del 30/11/2012);

dunque, ai fini della fruizione dell’agevolazione, non è sufficiente che gli investimenti riguardino beni riferibili all’attività d’impresa, ma occorre anche, ove tali investimenti accedano a beni di terzi, che l’opera, avendo una sua autonoma funzionalità ed individualità, al termine del periodo di locazione o di comodato possa essere rimossa ed utilizzata separatamente dall’investitore;

nel caso di specie, il giudice ha attribuito rilievo determinante alla riferibilità dei beni all’attività della società appellante, senza considerare l’ulteriore requisito della loro autonomia funzionale ed amovibilità, affermato dalla C.t.r. solo aprioristicamente, senza alcun riferimento alla natura dei beni stessi (per lo più impianti elettrici e di illuminazione, idraulici, sanitari, fognari, controsoffittature, tubazioni, ed opere varie) o alla prova fornita in tal senso dalla società contribuente;

sul punto, la sentenza impugnata non dà alcuna contezza in ordine alle prove che la società asserisce di aver prodotto, nè alla perizia di parte richiamata nel controricorso;

per quanto riguarda poi lo stabilimento di (OMISSIS) – stazione (OMISSIS), come rilevato dalla ricorrente, il giudici di appello hanno sottovalutato la portata della clausola contrattuale, che chiaramente prevede che gli impianti possano rimanere in sito, senza che la G.I.R. possa chiedere alcun riconoscimento economico, semplicemente sulla valutazione della loro “compatibilità” e “funzionalità” rispetto ai locali dell’autostazione (OMISSIS), valutazione evidentemente rimessa al soggetto proprietario dell’immobile;

dunque, anche la considerazione della C.t.r., secondo cui non sarebbe plausibile che la società contribuente lasciasse impianti con costi elevati alla proprietà dell’immobile, contrasta con la clausola contrattuale che prevede appunto tale possibilità;

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia l’omessa pronunzia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

l’ufficio, nell’avviso di accertamento relativo alla stazione di (OMISSIS) (OMISSIS), aveva rilevato che gli investimenti relativi alle fatture emesse da “ORIGLIA” erano stati erroneamente considerati nel mod. CVS al lordo dell’IVA;

la C.t.r. nell’accogliere l’appello della contribuente, ha annullato l’avviso di recupero del credito di imposta, senza considerare l’eccezione, avanzata in primo grado e riproposta in appello dall’ufficio, secondo cui, come rilevato nell’atto di recupero, nella quantificazione degli investimenti agevolabili erano state incluse due fatture (Origlia) erroneamente considerate nel mod. CVS al lordo dell’Iva;

il motivo è fondato e va accolto;

a conclusione della motivazione della sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato che “alla luce di quanto sopra l’avviso di recupero del credito d’imposta notificato dall’Ufficio deve essere annullato. Restano con ciò assorbite tutte le altre questioni trattate”;

la questione relativa alla quantificazione degli investimenti agevolabili, con riferimento all’inclusione di due fatture (Origlia), erroneamente considerate nel mod. CVS al lordo dell’Iva, non poteva ritenersi assorbita in quella relativa alla fruibilità dell’agevolazione;

invero, il giudice di appello, una volta ritenuto che la società potesse fruire dell’agevolazione per i finanziamenti indicati, avrebbe dovuto affrontare specificamente la questione dell’entità di tali finanziamenti ed esaminare l’eccezione dell’ufficio sull’erronea indicazione degli importi al lordo dell’Iva per due fatture;

ciò in quanto, “l’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio è ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 12193 del 22/06/2020);

dunque nel caso di specie, l’assorbimento della questione, erroneamente dichiarato dal giudice di appello, ha comportato un’omissione di pronuncia;

con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 (calcolo dell’investimento netto in riferimento

all’unità – punto vendita di (OMISSIS) staz. (OMISSIS)) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

con il quinto motivo, la ricorrente denunzia l’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti;

con l’atto di recupero, l’attenzione dell’Ufficio si era focalizzata sul calcolo dell’investimento netto operato dalla società contribuente ai fini della determinazione del credito d’imposta spettante;

in particolare dall’esame del modello CVS e dai prospetti di calcolo forniti, era emerso che la società aveva considerato le due unità quali autonome strutture produttive e pertanto, per la determinazione dell’investimento netto, non erano stati dedotti ammortamenti;

riteneva l’ufficio che dall’esame della documentazione esibita era emerso che la società contribuente operava nell’ambito della ristorazione veloce nelle città di (OMISSIS) (Auchan (OMISSIS) e (OMISSIS), stazione (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) e che dette unità non erano considerate come delle “strutture produttive indipendenti”;

infatti, “nel registro dei beni ammortizzabili non era stata tenuta in separata evidenza la destinazione dei cespiti ammortizzabili”;

l’esame del registro dei beni ammortizzabili aveva evidenziato che nella descrizione del bene veniva riportato il numero della fattura d’acquisto e il valore complessivo senza distinguerne la destinazione;

inoltre, per quanto riguarda l’unità produttiva di (OMISSIS) (stazione (OMISSIS)) l’ufficio aveva rilevato che essa non poteva costituire un’autonoma struttura produttiva, secondo la definizione contenuta nella Circolare 41/E 2001, dal momento che non rappresentava l’unica unità locale facente capo al medesimo soggetto giuridico localizzata nello stesso comune o nel medesimo perimetro aziendale;

pertanto, l’amministrazione finanziaria aveva emesso l’atto di recupero oggetto di impugnazione, considerato che, ai fini dell’agevolazione e per non incorrere nel campo d’applicazione della norma antielusiva L. n. 388 del 2000, ex art. 8, comma 7, i beni acquistati devono comunque essere destinati a una struttura produttiva e non possono essere trasferiti, pena decadenza dall’agevolazione, entro il quinto periodo d’imposta successivo a quello nel quale sono entrati in funzione;

secondo la C.t.r., nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate -Direzione Centrale Normativa e Contenzioso 9 maggio 2002, n. 38, nella risposta alla domanda 4.3, l’Agenzia ha precisato che “rappresenta una struttura produttiva a sè stante anche un ramo d’azienda (inteso come autonomo centro di costo e di profitto), anche se è situato nello stesso comune o nel medesimo perimetro aziendale di un’altra unità produttiva riconducibile al medesimo soggetto giuridico. Al contrario, un reparto (o linea di produzione) non costituisce autonoma struttura produttiva se nel comune o nel perimetro aziendale esiste un’altra unità locale del medesimo soggetto giuridico”;

dunque, il giudice di appello ha ritenuto che, alla luce della prassi amministrativa richiamata, il punto vendita di (OMISSIS) (OMISSIS), come tutti gli altri punti di vendita della società, costituiva una struttura produttiva (e non un reparto o linea produttiva), per la quale la destinazione dei beni strumentali era evidenziata nel Libro Cespiti, dove, per ogni categoria di beni, veniva indicato il totale degli acquisti effettuati per il suddetto punto vendita ed allegate le relative fatture;

pertanto, i giudici di appello concludevano nel senso di riconoscere che “gli ammortamenti da decurtare dal finanziamento lordo per la sede di (OMISSIS) devono essere calcolati (cosi come correttamente ha proceduto la Società ricorrente) escludendo quelli riferiti alle altre strutture della Società non interessate al finanziamento di che trattasi;

sul punto, la ricorrente (quarto motivo di ricorso), richiamando la Circolare 41/E 2001, menzionata anche nella sentenza impugnata (secondo cui “per la determinazione separata delle dismissioni e degli ammortamenti, riferiti a ciascuna struttura produttiva, non si richiede necessariamente la tenuta di una contabilità separata per ognuna delle medesime strutture, essendo sufficiente tenere separata evidenza della destinazione dei singoli cespiti”), si duole del fatto che la C.t.r. avrebbe sottovalutato l’obbligo di tenere separati, nel registro cespiti dei beni ammortizzabili, i beni agevolabili dagli altri posseduti dall’impresa, come prescrizione conseguente all’applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7, norma con funzione antielusiva;

inoltre, secondo la ricorrente (quinto motivo di ricorso), la C.t.r. avrebbe omesso, ritenendola assorbita, ogni pronuncia circa la destinazione dei beni strumentali della struttura di (OMISSIS), nonostante anche per tale struttura l’ufficio avesse evidenziato che nel registro dei beni ammortizzabili non era stata tenuta in separata evidenza la destinazione dei cespiti ammortizzabili;

questa Corte ritiene che l’individuazione specifica dei beni agevolabili nel registro cespiti dei beni ammortizzabili e la distinzione dagli altri beni posseduti dall’impresa sia una prescrizione essenziale ai fini dello stesso riconoscimento dell’agevolazione;

in più, come rilevato dall’amministrazione, tale obbligo necessariamente consegue alla previsione della L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7, secondo cui i beni acquistati devono comunque essere destinati ad una struttura produttiva e non possono essere trasferiti, pena decadenza dell’agevolazione, entro il quinto periodo d’imposta successivo a quello nel quale sono entrati in funzione;

nè la circostanza che, per lo stabilimento di (OMISSIS) – (OMISSIS), nel libro cespiti della G.I.R. s.r.l. fosse indicato il totale degli acquisti effettuati per ogni categoria di beni vale a superare il mancato rispetto degli obblighi di tenuta del registro dei beni ammortizzabili, funzionale all’effettiva identificazione dei beni per consentire il rispetto della norma antielusiva di cui al citato art. 8, comma 7;

pertanto, a questa Corte appare condivisibile l’affermazione della C.t.r., con il relativo richiamo alla prassi amministrativa secondo cui, per la determinazione separata delle dismissioni e degli ammortamenti, riferiti a ciascuna struttura produttiva, non si richiede necessariamente la tenuta di una contabilità separata per ognuna delle medesime strutture, essendo sufficiente tenere “separata evidenza della destinazione dei singoli cespiti”;

da tale premessa, però, il giudice di appello ha tratto una conclusione dissonante rispetto alla norma agevolatrice, in quanto non ha tenuto conto del fatto che, come rilevato dall’Ufficio nel controllo effettuato, dall’esame della documentazione fornita dalla parte (registro beni ammortizzabili) era emerso che nel registro dei beni ammortizzabili non era stata tenuta in separata evidenza la destinazione dei cespiti ammortizzabili;

tale profilo assume rilevanza decisiva anche nell’accertamento relativo alla struttura di (OMISSIS), per la quale l’amministrazione finanziaria aveva evidenziato, appunto, che “nel registro dei beni ammortizzabili non era stata tenuta in separata evidenza la destinazione dei cespiti ammortizzabili” e che, nella descrizione dei beni contenuta nel registro dei beni ammortizzabili, era indicato il numero ed il valore complessivo della fattura, riferibile all’acquisto di più beni per diversi stabilimenti;

la C.t.r., decidendo solo in merito allo stabilimento di (OMISSIS), ha erroneamente ritenuta assorbita ogni altra questione, quindi anche quella riguardante il calcolo dell’investimento netto dell’unità produttiva di (OMISSIS), incorrendo in un’omissione di pronuncia;

in conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.t.r. della Sardegna, sezione staccata di (OMISSIS), in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. della Sardegna, sezione staccata di (OMISSIS), in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2021

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