Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15207 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. U Num. 15207 Anno 2015
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

Data pubblicazione: 21/07/2015

SENTENZA
sul ricorso 28967-2012 proposto da:
Rete Ferroviaria Italiana Società per Azioni, in
2015

persona dell’institore, elettivamente domiciliata in

264

ROMA, VIA TOPINO 13, presso lo studio dell’avvocato
NICOLA PALOMBI, che la rappresenta e difende, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

BIANCHI MARIA TERESA, in proprio e quale unica erede di
Cresta Rosetta, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio
dell’avvocato MARIO CONTALDI, che la rappresenta e

delega a margine del controricorso;
controri corrente –

avverso la sentenza n. 1564/2011 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 31/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/06/2015 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
udito l’Avvocato NICOLA PALOMBI e l’Avvocato STEFANIA
CONTALDI per delega dell’avvocato MARIO CONTALDI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO.

difende unitamente all’avvocato GIORGIO ROSSO, giusta

-,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il presente giudizio è stato promosso da Rosetta Cresta e da Maria

z- Teresa Bianchi innanzi al Tribunale di Alessandria nei confronti della RFI
(Rete Ferroviaria Italiana) s.p.a. per l’eliminazione o la riduzione di
immissioni di rumore e vibrazioni causati all’immobile di loro proprietà dal
traffico ferroviario diurno e notturno in transito sulla linea AlessandriaPiacenza-Bologna nel tratto adiacente la loro abitazione, nonché per il

Con il presente ricorso la RFI s.p.a. impugna per cassazione, svolgendo
cinque motivi e in primis deducendo il difetto di giurisdizione del G.O., la
sentenza n. 1564 in data 31.10.2011, con la quale la Corte di appello di
Torino, rigettando l’appello dell’odierna ricorrente, ha confermato la
sentenza del Tribunale di Alessandria n. 121/2009 che, in accoglimento delle
domande attrici, aveva condannato la RFI s.p.a. all’adozione delle misure
necessarie per ridurre le rilevate immissioni entro i limiti della tollerabilità,
nonché al risarcimento dei danni materiali e da immissioni.
Ha resistito Maria Teresa Bianchi, in proprio e nella qualità di erede di
Rosetta Cresta, depositando controricorso.
Sono state depositate memorie da entrambe le parti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 nn.1 e
3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli artt. 33 e 35 del d.Lgs.
n. 80 del 1998, dell’art. 1 della L. 146/1990, degli artt. 2, 3 e 5 dei d.p.r. n.
459/1998 e dell’art. 3 della L. 447/1995. Al riguardo parte ricorrente
lamenta che la Corte di appello – pur muovendo dalla corretta premessa
della qualificazione della RFI s.p.a. come concessionaria di pubblico servizio
essenziale – non ne abbia tratto le corrette conseguenze in punto di difetto
della giurisdizione ordinaria; non abbia altresì considerato che si vedeva in
materia di giurisdizione esclusiva del G.A. e non abbia, infine, rilevato che le
domande attoree interferivano con le decisioni assunte dalla P.A. in ordine
all’attuazione del piano pluriennale di risanamento acustico di cui alla L. n.
447 del 1995 e al d.p.r. n. 459 del 1998.
1.1. Il motivo è infondato.
Va premesso che la giurisprudenza costituzionale ha chiaramente definito
i confini della giurisdizione amministrativa esclusiva, esigendo, ai fini della

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risarcimento dei danni conseguenti.

.t.

compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie
alla detta giurisdizione, che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto

t soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse; che il legislatore
assegni al giudice amministrativo la cognizione non di “blocchi di materie”,
ma di materie determinate; e che l’amministrazione agisca, in tali ambiti
predeflniti, come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri
amministrativi, che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e

purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico
e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale
esercizio.
In tale prospettiva costituisce ormai principio acquisito che – non
essendo neppure ipotizzabile che la gestione pubblica di un bene o di un
servizio si risolva nel compimento di atti costituenti illeciti, istantanei o
permanenti, che siano – i comportamenti posti in essere nella gestione di un
pubblico servizio dalla P.A. (o dalla sua concessionaria) in violazione di
regole tecniche o dei canoni fondamentali di prudenza e diligenza
costituiscono attività soggette al rispetto del principio del neminem laedere
e non già riconducibili all’esercizio di poteri autoritativi della P.A., dovendo,
quindi, escludersi che la relativa controversia possa spettare alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi
pubblici, ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (e oggi dall’art.
133 lett. c> C.P.A.).
1.2. Ciò premesso e considerato che il criterio discretivo della
giurisdizione è costituito dal petitum sostanziale, identificato anche, se non
soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura
della posizione soggettiva dedotta in giudizio), si osserva che l’odierna
ricorrente e la sua dante causa – deducendo il danno identificato nei gravi
disagi e nei fastidi, derivanti dalle immissioni acustiche provenienti dalla rete
ferroviaria e dalle vibrazioni conseguenti al transito ferroviario, con effetti
pregiudizievoli sia per la salute di esse istanti, sia per l’immobile di loro
proprietà e chiedendo la rimozione (o riduzione) delle lamentate immissioni
– hanno richiesto una tutela che in relazione al medesimo fatto, siccome di
carattere permanente, è nel contempo risarcitoria (per il passato) e
inibitoria (per il futuro). In altri termini sono state esercitate due azioni

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autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti,

.„

concorrenti: l’azione ex art. 844 cod. civ., quale azione negatoria di natura
reale intesa ad accertare, in via definitiva, l’illegittimità delle immissioni e ad

$. ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per
farle cessare e l’azione per responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ.,
intesa ad ottenere il risarcimento del danno anche in forma specifica, per
lesione dei diritti soggettivi (proprietà e salute), che si assumono lesi.
Invero la questione della lesione del diritto alla salute presuppone una

domande, dirette ad ottenere la tutela dei differenti diritti soggettivi
(proprietà e salute), che si assumono lesi (Cass. Sez. Unite, 29 luglio 1995,
n. 8300).
Risulta, dunque, applicabile il principio acquisito nella giurisprudenza di
questa Corte (cfr. ex multis: Cass. Sez. Unite, 06 settembre 2013, n.
20571, riguardante immissioni acustiche provenienti dagli spazi esterni,
adibiti a fini ludici, di pertinenza di un edificio scolastico; Cass. Sez. Unite 27
febbraio 2013, n. 4848 relativa ad un caso di immissioni acustiche
provenienti da un’area giochi, realizzata in un parco comunale; Cass. (ord.),
Sez. Unite, 13 dicembre 2007, n. 26108, relativa a una fattispecie in cui si
lamentavano pregiudizievoli esondazioni su un terreno di acque derivanti da
una conduttura collegata ai depuratore comunale), ribadito di recente da
queste Sezioni Unite, in sede di regolamento di giurisdizione, con riferimento
ad una fattispecie sostanzialmente identica alla presente (ord. 20 ottobre
2014, n. 22116), secondo cui l’inosservanza da parte della pubblica
amministrazione, nella gestione (e manutenzione) dei beni che ad essa
appartengono, (delle regole tecniche, ovvero) dei canoni di diligenza e
prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinari non
solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al
risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove miri alla condanna della
stessa ad un facere (o ad un non facere), giacchè la domanda non investe
scelte e atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto
del principio del neminem laedere. In particolare è stato affermato da
questa Corte che nelle controversie che hanno ad oggetto (come la
presente) la tutela del diritto alla salute garantito dall’art. 32 Cost., la P.A. è
priva di alcun potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva,
sicché la domanda di risarcimento dei danno proposta dai privati nei

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domanda autonoma, ma con la stesso atto si possono proporre le distinte

confronti della medesima o dei suoi concessionari è devoluta alla cognizione
dei giudice ordinario (Cass. Sez. Unite (ord.) 8 marzo 2006 n. 4908).
Appare, dunque, del tutto inconducente il riferimento al piano di
risanamento acustico che – come correttamente evidenziato nella decisione
impugnata – potrebbe incidere al più sulle sole immissioni rumorose e non
anche sulle vibrazioni e che, in ogni caso, riguarda i rapporti tra
l’Amministrazione e la sua concessionaria, regolando l’attività (di carattere
interno) di organizzazione e pianificazione degli interventi di risanamento
sulla rete ferroviaria, senza che la prevista possibilità (nell’interesse della
concessionaria) di programmare e articolare in un certo numero di anni la
sistemazione delle infrastrutture esistenti possa costituire un limite per la
tutela dei diritti dei privati (terzi, estranei a detta attività), rispetto ai quali
sia stata accertata, come nella specie, l’attualità di una situazione lesiva.
1.3. Né vale opporre la qualità di R.F.I. s.p.a. di concessionaria di
pubblico servizio ovvero, anche, che si tratti di vicenda attinente alla
materia dei servizio di trasporto, nella quale, ai sensi dell’art. 33 del d. lgs.
n. 80 del 1998 (come modificato dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000) ora
recepito nell’art. 133, co. 1, lett. c>, C.P.A. (d.Lgs. n. 104/2010), il Giudice
amministrativo ha giurisdizione esclusiva. Invero la mera partecipazione al
giudizio di un soggetto pubblico (o ad esso parificato) non è di per sé
sufficiente perché si radichi la giurisdizione dell’A.G.A., la quale altrimenti
assumerebbe le sembianze dei Giudice della Pubblica Amministrazione, in
violazione degli artt. 25 e 102 Cost. (cfr. in motivazione Corte Cost. 6 luglio
2004 n. 204). Anche l’attinenza nella vicenda di interessi di ordine
pubblicistico – in qualche misura sempre implicati nell’agire della Pubblica
amministrazione – non è sufficiente a risolvere il problema del riparto della
giurisdizione, perché quel che veramente conta è stabilire se, in funzione del
perseguimento di quei interessi, l’amministrazione sia o meno dotata di un
potere di supremazia, rispetto al cui esercizio la posizione del privato non
potrebbe che assumere la natura di un interesse legittimo.
La giurisdizione del Giudice amministrativo resta, invero, in ogni caso,
delimitata dal collegamento dell’esercizio in concreto del potere
amministrativo secondo le forme tipiche previste dall’ordinamento, con la
conseguenza che l’amministrazione deve essere convenuta davanti al
Giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l’azione risarcitoria costituisca

6

,

lesione di diritti incomprimibili, come la salute o l’integrità personale o
quante volte l’azione della pubblica amministrazione non trovi rispondenza
in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale,
perché, a sua volta, deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti
per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto.
1.4. Nel caso di specie sussiste, dunque, la giurisdizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria, poiché l’azione, diretta a far cessare il fatto illecito,

comportamento omissivo della concessionaria della rete ferroviaria, non
investe nessun provvedimento amministrativo, deducendosi a fondamento
della duplice pretesa, inibitoria e risarcitoria, la lesione del diritto di pacifico
e tranquillo godimento degli immobili di proprietà, nonché del preminente
diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.. Invero non viene indicato alcun atto
amministrativo, eziologicamente rilevante, in via immediata o mediata, nella
produzione dei danni di cui trattasi; né tantonneno viene sindacata la scelta
dell’amministrazione di installare la rete ferroviaria in un determinato sito,
costituendo detta scelta un mero antecedente storico della vicenda
denunciata, nella quale il fatto illecito dedotto a fondamento della pretesa
giudiziale è, piuttosto, rappresentato dalle modalità di “gestione” della rete
ferroviaria e dalla prolungata e colpevole inerzia della R.F.I. s.p.a., pur a
fronte della necessità di risanamento acustico e, in genere ambientale. Nella
specie, non si fa riferimento ad opere eseguite o da eseguirsi dalla R.F.I.
s.p.a., per le quali si dovrebbero adottare provvedimenti amministrativi in
esplicazione di un potere autoritativo. Più semplicemente la controversia,
senza investire direttamente o indirettamente, alcun atto amministrativo, è
incentrata sulla condotta della concessionaria della rete ferroviaria, di cui si
contesta la liceità, in quanto il danno alla salute e ai diritti patrimoniali della
ricorrente si assume come conseguenza del comportamento colposamente
omissivo della resistente, consistente nel non avere provveduto ad attuare
nella gestione del traffico ferroviario quelle cautele necessarie ad evitare
ripercussioni sui diritti fondamentali dei terzi e nell’avere, altresì, trascurato
il necessario risanamento, nonostante la situazione di intollerabilità
conseguente alle immissioni acustiche e vibrazionali. Non vi sono
provvedimenti della pubblica amministrazione o dei soggetti ad essa
equiparati, che siano stati impugnati o dei quali si chiede l’annullamento, ma

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configurato dalle immissioni intollerabili e dal successivo perdurante

solo comportamenti della concessionaria, che non possono incidere
negativamente sulle posizioni di diritto soggettivo fatte valere dai ricorrenti.
Il che comporta che correttamente il G.O. ha ritenuto la sua giurisdizione.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.3
cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art. 844 cod. civ., degli
artt. 7, 8 e 11 L. n.447 del 1995, degli artt. 4, 5 e 6 del d.p.r. n. 459/1998 e
dell’art. 6 ter della L. n. 13 del 2009, nonché ai sensi dell’art. 360 n.5 cod.

controverso e decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente deduce
che la Corte di appello, da un lato, è incorsa in contraddizione per avere
fatto riferimento ai valori previsti per le immissioni acustiche dal d.p.r. n.
459/1998, pur muovendo dalla corretta premessa che i limiti massimi
previsti da detta normativa non erano immediatamente applicabili alle
infrastrutture esistenti e, dall’altro, è incorsa nella violazione della specifica
normativa di settore, dettata dalla L. n. 447 del 1995 e dal cit. d.p.r.,
costituente lex specialis rispetto all’art. 844 cod. civ., anche in forza del
disposto che l’art. 6 ter L. n. 13 del 2009, che – secondo parte ricorrente avrebbe efficacia retroattiva, siccome di natura interpretativa.
2.1. Il motivo si incentra sul punto della decisione con cui è stata rilevata
l’intollerabilità delle immissioni acustiche. A tal riguardo i giudici di appello
hanno evidenziato come fosse

«pacifico che le immissioni di rumore

derivanti dal traffico ferroviario nella proprietà Bianchi sono superiori ai limiti
massimi previsti dal DPR n. 459/98» sia diurni che notturni e che, in
particolare, «a fronte di transiti ferroviari normalmente in numero di circa
80 nell’arco delle 24 ore, è stata rilevata una rumorosità notturna di db(A)
73,2 superiore di oltre 13 unità al valore massimo normativamente valutato
– che l’infrastruttura ferroviaria di cui si discute dovrà comunque
raggiungere obbligatoriamente all’esito dell’intervento di risanamento»
(pagg. 13 e 15 della sentenza impugnata).
Ciò posto, si osserva che il motivo – prospettando congiuntamente la
violazione della normativa di settore in rapporto al criterio di tollerabilità
fissato dall’art. 844 cod. civ., nonché il vizio motivazionale – affastella una
serie di questioni dai profili eterogenei, che si rivelano tutte manifestamente
infondate e, nella sostanza, esclusivamente funzionali a perseguire quella
sorta di (inammissibile) “moratoria” della regola del neminem laedere, già

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proc. civ. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto

profilata dal precedente motivo, totalmente prescindendo dal punto della
decisione impugnata, laddove si pone in rilievo che

«la dilazione

riconosciuta» (dall’Amministrazione alla concessionaria per il risanamento
acustico) «non significa e non può significare legittimazione delle situazioni
illecite correlate ad immissioni intollerabili» (pag. 13 della sentenza).
Invero parte ricorrente non attinge efficacemente il punto della decisione
in cui si rimarca la “non contestazione” in ordine al riscontrato (e

limite massimo previsto dalla normativa di settore, ma insiste, piuttosto, sul
rilievo della non immediata cogenza della normativa anzidetta in ragione del
già richiamato piano pluriennale, per evincerne anche in ragione della norma
di cui all’art. 6 ter L. n. 13 del 2009, una deroga al criterio di cui all’art. 844
cod. civ..
2.2. Questo in sostanza il nucleo delle censure all’esame, innanzitutto
non si ravvisa alcuna contraddizione, nel percorso logico-giuridico della
decisione impugnata, per avere, da un lato, riconosciuto che i limiti di cui al
cit. d.p.r. n. 459/1998 sono destinati a divenire cogenti per le infrastrutture
esistenti, come quelle in oggetto, all’esito del piano di risanamento e l’avere,
dall’altro, fatto riferimento proprio ai valori massimi fissati da detta
normativa, quale «attendibile criterio di valutazione su quale sia il limite
massimo di rumore imponibile ai privati senza incidere negativamente sui
loro diritti e prima di tutto sul diritto alla salute» (cfr. pag. 13, 14 e 15 della
sentenza). Invero il riferimento ai livelli fissati dal cit. d.p.r. risulta operato,
non già quale limite normativo direttamente applicabile alla fattispecie,
bensì quale utile parametro di riferimento in una valutazione ponderata di
tutte le circostanze del caso concreto, nella consapevolezza dell’immediata
applicabilità degli stessi limiti per le infrastrutture di nuova realizzazione in
afflancamento o in variante di quelle preesistenti e nel contemporaneo
rilievo dell’assenza di qualsivoglia automatismo tra la dilazione degli
interventi e la tollerabilità/intollerabilità delle immissioni acustiche.
In tale prospettiva la Corte territoriale – avuto riguardo a tutte le
circostanze del caso concreto (frequenza dei transiti ferroviari, entità della
“forbice” esistente tra i livelli acustici rilevati e quelli destinati a diventare il
“livello massimo” consentito, destinazione residenziale dell’immobile) e
senza neppure trascurare il criterio sussidiario dei preuso (peraltro, nella

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rimarchevole, con specifico riferimento alle ore notturne) superamento del

specie, neppure ritenuto certo) – è pervenuta ad una valutazione in fatto,
circa la non tollerabilità delle immissioni di rumore derivanti dal traffico
ferroviario, segnatamente escludendo alcun contemperamento delle opposte
esigenze a fronte della rilevata situazione di lesività non solo della proprietà
Bianchi, ma anche della salute dei suoi fruitori.
Le valutazioni espresse, di stretto merito, sono sorrette da ampia e
corretta motivazione e corredate da precisi riferimenti fattuali, risultando

relazione al criterio normativo di riferimento. Invero costituisce principio
acquisito che la norma sulla disciplina delle immissioni di cui all’art. 844 cod.
civ., nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del
contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della
proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato
uso, deve essere interpretata, tenendo conto che il limite della tutela della
salute è da considerarsi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che
nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente
orientata, sicché è legittima la statuizione del giudice di merito preclusiva
del prolungamento di un’attività sostanzialmente nociva alla salute dei vicini
del fondo, da considerarsi valore prevalente, in funzione del soddisfacimento
del diritto ad una normale qualità della vita, rispetto alle esigenze
dell’attività commerciale esercitata nel fondo confinante, nel quale la
produzione, ancorché iniziata anteriormente all’edificazione dell’immobile
limitrofo, si sia svolta e, poi, protratta senza la predisposizione di apposite
misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico
(Cass. 11 aprile 2006, n. 8420; cfr. anche Cass. 08 marzo 2010, n. 5564).
2.3. Né a diverse conclusioni può pervenirsi per effetto del richiamo
all’art. 6 ter L. n. 13 del 2009, laddove dispone che «nell’accertare la
normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi
dell’articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni
di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la
priorità di un determinato uso».
Per quanto è dato desumere dalle argomentazioni in ricorso, il richiamo
alla norma in oggetto legittimerebbe sia la valorizzazione del preuso
(peraltro solo assertivamente affermato dalla ricorrente, in contrasto con il
dubbio espresso nella decisione impugnata), sia, se non soprattutto,

lo

insindacabili sotto il profilo motivazionale e correttamente orientate in

l’adeguamento ai valori limite di impatto acustico mediante la prevista
attività di risanamento pluriennale.
Senonchè è assorbente la considerazione che la norma, intervenuta nelle
more del giudizio – quand’anche si ritenesse immediatamente applicabile (e
non già retroattivamente, non avendo alcun aggancio normativo la tesi di
parte ricorrente circa il carattere interpretativo della disposizione in oggetto)
– allorché fa salve «le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che
non

autorizza, “a cascata”, l’applicabilità, nei confronti del terzo leso dalla
gestione del pubblico servizio e in deroga all’art. 844 cod. civ., del
richiamato piano pluriennale, operante, per quanto innanzi evidenziato, nei
rapporti (interni) tra l’Amministrazione e la sua concessionaria.
E ciò a tacer del fatto che la disposizione ha la funzione di integrare la
norma “in bianco” di cui all’art. 844 cod. civ., senza, tuttavia, che da essa
possa inferirsi l’incondizionata applicazione di qualsiasi norma di legge o
regolamento che preveda particolari parametri di emissione, quando essi si
traducano – come è stato ritenuto nella fattispecie concreta – in un danno
per la salute. Tanto si evince proprio dall’ordinanza del Giudice delle leggi
(Corte cost. 24 marzo 2011, n. 103) richiamata da parte ricorrente, atteso
che la Corte costituzionale, nell’affermare l’inammissibilità della q.l.c.
sollevata con riguardo all’art. 6 ter cit, in relazione agli artt. 3 e 32 Cost.
(per l’astrattezza della questione proposta in relazione alla fattispecie
concreta, come riferita dall’A.G. rimettente) ha avvertito la necessità di
previamente sperimentare diverse interpretazioni idonee a preservare la
norma stessa dai sollevati profili di denunciata incostituzionalità.
In definitiva nessuna delle censure formulate coglie nel segno e il motivo
va rigettato.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.3 cod.
proc. civ. violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 8 disp. prel. cod. civ.
(NormaUNI 9916:2004). Al riguardo parte ricorrente deduce che la norma
UNI 9916:2004, in materia di criteri di misura e valutazioni degli effetti delle
vibrazioni sugli edifici, avente valore di legge o, gradatamente, di uso
normativo, è stata violata vuoi per l’errata individuazione da parte del c.t.u.
del luogo in cui effettuare le misurazioni, vuoi per l’inserimento dell’edificio
delle originarie attrici nella tipologia D, anziché nella tipologia C.

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disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso»,

3.1. Il motivo si appunta sulle scelte tecniche adottate dal c.t.u. ai fini
della rilevazione delle vibrazione e dell’individuazione della tipologia di
riferimento, riproponendo censure che risultano, tutte, adeguatamente
contraddette dalla Corte di appello, allorchè ha manifestato la propria
motivata condivisione alla procedura adottata e alle conclusioni assunte dal
consulente, avuto riguardo, quanto alla collocazione del geofono (in deroga
a quanto previsto dalla richiamata norma UNI cit.), alla particolare

“trunere”) e, quanto alla tipologia di riferimento, individuata nella classe D
(edifici particolarmente sensibili), anche all’età dell’immobile (tra i 100 e i
150 anni).
Ciò precisato, il motivo va dichiarato inammissibile per l’erronea
individuazione della tipologia di vizio.
Invero l’Uni (Ente nazionale italiano di unificazione) ha il compito
istituzionale di elaborare norme tecniche e di divulgare la cultura normativa,
oltre che di rappresentare l’Italia in organismi di formazione internazionale
(ISO-International Organisation for Standardization)
Comitè Europèeen de Normalisation),

ed europeo

(CEN-

promuovendo la diffusione di

procedure e norme tecniche, che, pur essendo di applicazione volontaria,
forniscano riferimenti certi agli operatori e che siano condivise a livello
internazionale e/o europeo. In particolare la normativa richiamata da parte
ricorrente non ha valore di legge, nè di consuetudine; con la conseguenza
che la sua violazione e/o falsa applicazione non rientra tra le ipotesi di cui
all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ..
4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.3
cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art.2043 cod. civ. e degli
artt. 40 e 41 cod. pen., nonché ai sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ.
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente deduce
che il c.t.u. aveva individuato almeno cinque eventi vibratori eccedenti le
soglie della normale tollerabilità non riconducibili al traffico ferroviario e
lamenta che la Corte di appello ne abbia ignorato la rilevanza,
genericamente imputandone la responsabilità alla REI s.p.a.; inoltre la
decisione impugnata si sarebbe limitata a recepire le risultanze della c.t.u.
senza prendere in esame gli argomenti svolti dalla RFI s.p.a. circa

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geometria e tipologia costruttiva dell’edificio (realizzato con la tecnica delle

l’adeguatezza dei rimedi suggeriti dal consulente.
4.1. Il motivo è, per una parte inammissibile e per altra manifestamente
infondato.
L’inammissibilità consegue all’omessa specifica indicazione ai sensi
.

dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. della relazione di c.t.u., attraverso la
necessaria ritrascrizione dei suoi passaggi salienti, segnatamente laddove
sarebbero stati evidenziati

«5 eventi vibratorii eccedenti la soglia della

incompatibili, alle vibrazioni prodotte dal traffico ferroviario» (così a pag. 39
del ricorso) in contrasto con quanto si legge nella decisione impugnata,
laddove si precisa che la presenza di una concausa era stata ipotizzata dal
c.t.u. solo come eventuale per la considerazione che «anche gli episodi
vibrazionali “anomali” possono essere ricondotti al transito ferroviario quali
fenomeni conseguenti di assestamento della struttura» (così a pag. 19 della
sentenza).
La manifesta infondatezza consegue alla considerazione che nessuna
violazione del principio di causalità adeguata è profilabile a fronte della
considerazione in fatto, adeguatamente motivata nella decisione impugnata,
che, attesa la continuità e l’intensità del transito di convogli sulla linea
Alessandria-Piacenza-Bologna, non vi era alcun motivo per ricondurre
l’eziologia delle vibrazioni ad una fonte diversa e sconosciuta.
4.1. Anche la generica censura motivazionale svolta con riguardo
all’individuazione degli interventi di massima necessari a ovviare le rilevate
immissioni intollerabili, incorre in un profilo di inammissibilità per difetto di
specificità, giacchè non coglie la

ratio decidendi fondata sul rilievo

dell’esistenza di precise indicazioni nel più volte indicato piano di
risanamento, nella specifica competenza tecnica della destinataria
dell’ordine e, in ultima analisi, nella determinabilità, in dettaglio, degli
interventi in sede di esecuzione ex art. 612 cod. proc. civ..
Il motivo va, dunque, rigettato.
5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n,3
cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art. 2059 e 2697 cod. civ.
e ai sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Al riguardo parte ricorrente deduce che il Tribunale aveva

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normale tollerabilità e pacificamente non riconducibili, in quanto


.
riconosciuto non saio il danno da lesione dell’immobile nella misura di €
11.000,00, ma anche il danno da immissioni intollerabili, liquidandolo in
ragione di € 5.000,00 per ciascuna delle parti in via presuntiva; lamenta,
dunque, che la Corte di appello, nel recepire le deduzioni del Tribunale di
Alessandria, abbia genericamente e sinteticamente ritenuto il danno da
immissioni intollerabili in re ipsa, senza che fosse stata fornita alcuna prova
dalla parte istante, gravata del relativo onere.

formato oggetto del giudizio di appello e che involgono accertamenti di fatto
non compiuti dai giudice del gravame per mancanza di specifica censura.
Invero le questioni eventualmente prospettabili in relazione agli artt.
2059 e 2697 cod. civ. non risultano aver formato oggetto di trattazione nel
giudizio d’appello, secondo quanto si evince dall’esame delle componenti
essenziali dell’impugnata sentenza – conclusioni delle parti riportate
nell’epigrafe; esposizione del fatto; motivi dell’impugnazione riportati;
motivazione – contro la quale non è stata formulata specifica censura ex art.
112 cod. proc. civ. per omesso esame delle stesse;
Valga considerare che nei giudizio di cassazione è preclusa alle parti la
prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di
fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non
abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di
appello, nel rispetto del contraddittorio ed in conformità della regola
tassativa secondo cui i motivi di appello devono essere esposti tutti
esclusivamente nell’atto di appello. Ove una determinata questione giuridica
– che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo
nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione
in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per
novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione
della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale
atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di
cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di
esaminare nel merito la questione stessa (Cass.12 luglio 2005, n. 14599).
Invero, ove anche si volesse ritenere che le suddette censure erano
implicitamente contenute nei motivi di appello, in quanto ne costituivano il
presupposto logico-giuridico, il motivo all’esame si risolverebbe in una

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5.1. Il motivo è inammissibile, in quanto introduce temi che non hanno


censura di omessa di pronuncia; ed anche sotto tale profilo il motivo, cosi
come proposto, è inammissibile. Infatti tale censura integra una violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ. e quindi una violazione della corrispondenza tra
il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere a norma dell’art.
360 n. 4 cod. proc. civ. (nullità della sentenza e del procedimento) o o
comunque con univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla
relativa omissione (cfr. Cass. Sez. Un. 24 luglio 2013, n. 17931) e non già

n. 3 cod. proc. civ., ed a maggior ragione come vizio motivazionale a norma
dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (attenendo quest’ultimo esclusivamente
all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della
controversia).
In definitiva l’esame complessivo dei motivi conduce al rigetto del
ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla
stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle
spese del giudizio di cassazione, liquidate in C 5.000,00 (di cui C 200,00 per
esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali.
Roma 9 giugno 2015

come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360

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