Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15206 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. II, 11/07/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 11/07/2011), n.15206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28821/2005 proposto da:

P.U. C.F. (OMISSIS), G.F. C.F.

(OMISSIS), M.I. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO 21, presso

lo studio dell’avvocato PONTESILLI STEFANO, rappresentati e difesi

dall’avvocato FALOMO Luciano;

– ricorrenti –

contro

DE FILIPPO COSTR SPA;

– intimata –

sul ricorso 32084/2005 proposto da:

DE FILIPPO COSTR SPA P.I. (OMISSIS) (GIA’ VALLE GROTART SPA) IN

PERSONA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE E LEGALE

RAPPRESENTANTE SIG. D.F.S., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA G. AVEZZANA 51, presse lo studio dell’avvocato BRACCO

ENRICO, che la rappresenta e difende;

– controrincorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.F., P.U., M.I., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio

dell’avvocato PONTESILLI STEFANO, rappresentati e difesi

dall’avvocato FALOMO LUCIANO;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 201/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Pontesilli Fabio con delega depositata in udienza

dell’Avv. Falomo Luciano difensore dei ricorrenti che si riporta agli

atti;

udito l’Avv. Bracco Enrico difensore della resistente che si riporta

agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Presidente del Tribunale di Pordenone depositato il 15- 3-1999 gli architetti G.F., M.I. ed P.U. chiedevano ed ottenevano un decreto ingiuntivo nei confronti della s.p.a. Valle Grotari per il pagamento della somma complessiva di L. 79.415.391 quale compenso per l’opera professionale da essi svolta in favore dell’ingiunta.

Con atto di citazione in opposizione notificato il 17-5-1999 la s.p.a. De Filippo Costruzioni (nella sua qualità di successore a titolo universale della suddetta società ingiunta) conveniva in giudizio i tre suddetti professionisti dinanzi al Tribunale di Pordenone chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto, e l’accertamento negativo sulla pretesa avversaria e quello positivo sul credito dell’esponente di L. 30.000.000 a titolo di risarcimento del danno; a tale ultimo riguardo chiedeva in via riconvenzionale la condanna degli opposti al pagamento di tale somma.

L’opponente deduceva di aver conferito ai tre architetti il solo incarico professionale descritto nel contratto intercorso tra le parti il 9-12-1990 avente ad oggetto l’opera di ristrutturazione di un immobile di proprietà dell’esponente, che prevedeva quale obbligazione dei professionisti quella di redigere i progetti da presentare all’autorità competente per il rilascio della concessione edilizia e di sopraintendere alla fase esecutiva della realizzazione dell’opera in qualità di direttori dei lavori; assumeva di aver adempiuto alla propria obbligazione pagando la redazione dei progetti presentati al Comune di Pordenone nei termini contrattuali, ed eccepiva l’inadempimento delle controparti, che avevano fornito una prestazione inadeguata perchè i progetti non erano stati approvati dall’autorità amministrativa, che aveva negato la concessione edilizia per vizi di progettazione dell’opera.

Costituendosi in giudizio gli opposti contestavano l’assunto della società De Filippo Costruzioni, affermando di aver svolto le attività professionali descritte nelle parcelle su incarico della opponente, che aveva commissionato tre progetti esecutivi a cagione delle modifiche che aveva deciso di dare alla destinazione d’uso dell’immobile, con il corollario delle richieste di modifica da parte dell’autorità amministrativa per adeguare l’opera alle prescrizioni normative relative allo specifico uso, che mutava a secondo delle vicende commerciali che interessavano la committente; assumevano di aver ricevuto un primo incarico, antecedente al 1990, riguardante una ristrutturazione dell’immobile senza mutamento di destinazione d’uso, che rimaneva quella di cinematografo, ed un secondo incarico, una volta sfumata la trattativa di vendita ad un gestore di sale cinematografiche, per adibire l’edificio a sede in parte residenziale, in parte destinata a pubblici uffici; deducevano che la destinazione a sede dell’Archivio Notarile aveva comportato delle integrazioni progettuali e degli adeguamenti, comunque imposti dalla nuova destinazione residenziale per le aree adibire a parcheggio, ed aggiungevano che gli adeguamenti imposti dagli uffici tecnici statali avevano reso necessario un terzo progetto, rivelatosi inutile dalla intervenuta interruzione delle trattative con i responsabili dell’Archivio Notarile; negavano inoltre qualsiasi carenza progettuale, sottolineando che il motivo per cui era stata negata la concessione edilizia riguardava l’insufficienza dell’area di proprietà della controparte da destinare a parcheggio pubblico.

Con sentenza del 17-3-2003 il Tribunale adito revocava il suddetto decreto ingiuntivo e rigettava le domande proposte da entrambe le parti.

Proposto gravame da parte del G., del P. e del M. cui resisteva la società De Filippo Costruzioni che proponeva altresì appello incidentale la Corte di Appello di Trieste con sentenza del 22-3-2005 ha rigettato entrambe le impugnazioni.

Per la cassazione di tale sentenza il G., il P. ed il M. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui la s.p.a. De Filippo Costruzioni ha resistito con controricorso introducendo un ricorso incidentale basato su cinque motivi cui i ricorrenti principali hanno a loro volta resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Per ragioni di priorità logico – giuridiche deve essere esaminato anzitutto il primo motivo del ricorso incidentale con il quale la società De Filippo Costruzioni, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c., e nullità della sentenza, assume che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sulla eccezione sollevata dall’istante nella comparsa di costituzione e risposta del giudizio di appello di inammissibilità dell’appello proposto dalle controparti perchè nella relata di notifica non era stato specificato chi avesse richiesto la notificazione, e dunque non era dato di sapere se fosse o meno un soggetto legittimato ai sensi di legge.

La censura è infondata.

Invero, pur essendo stata omessa l’indicazione del soggetto che aveva richiesto la notifica del suddetto atto di appello, tuttavia dal tenore di esso emerge in modo chiaro l’identità dei soggetti del rapporto controverso, in particolare quella delle parti che chiedevano la notificazione, e quella nei cui confronti era diretta, con la conseguenza che l’atto predetto non può essere ritenuto nudo, in conformità dell’indirizzo consolidato al riguardo espresso da questa Corte (Cass. 26-1-2005 n. 1574; Cass. 30-10-2006 n. 23371).

Venendo quindi all’esame dei ricorso principale, si osserva che con il primo motivo il G., il P. ed il M., deducendo travisamento dei fatti, errore di giudizio e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che la società Valle Grotari avesse conferito agli esponenti un solo incarico e non tre incarichi; in proposito essi sostengono che al contrario era stato provato sulla base delle dichiarazioni dei testi B., L. e D.F. (non prese in considerazioni dal giudice di appello) che gli istanti avevano redatto, su incarico della suddetta società, un primo progetto conservativo della destinazione d’uso.

I ricorrenti principali aggiungono che comunque la Corte territoriale ha ammesso che un primo progetto era stato dagli istanti redatto su incarico della società Valle Grotari, e che peraltro ha ritenuto che il pagamento del relativo compenso era stato condizionato alta conclusione dell’affare con il gestore dei cinema, circostanza non verificatasi secondo il giudice di appello, senza che tale fatto avesse mai avuto un riscontro probatorio; inoltre, se le parti avevano raggiunto un accordo, come ritenuto dalla Corte territoriale, sul conferimento di un unico incarico avente ad oggetto la “progettazione e direzione dei lavori dei complesso commerciale in oggetto”, non si vede perchè nella suddetta dicitura non avrebbe potuto essere previsto un progetto per cinema e negozi, considerato altresì che in tale espressione era stato ricompreso dalla stessa sentenza impugnata il progetto per l’Archivio di Stato.

I ricorrenti principali infine sostengono che il proprio assunto era confortato dalla documentazione prodotta dalla stessa controparte facente riferimento a tre diverse richieste di concessione edilizia e, conseguentemente, a tre progetti distinti predisposti dagli esponenti per la società Valle Grotari e depositati da quest’ultima presso il Comune di Pordenone.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, premesso che gli appellanti non avevano assolto l’onere probatorio posto a loro carico in ordine al fatto di aver ricevuto dalla committente l’incarico di redigere tre diversi progetti riguardo alla ristrutturazione di un immobile di proprietà della società Valle Grotari, ha negato rilevanza ad un primo progetto conservativo della destinazione d’uso effettivamente redatto, sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi, senza peraltro che fosse stato indicato il soggetto committente, evidenziando comunque che doveva essere disattesa qualsiasi domanda relativa alla elaborazione di un progetto conservativo, considerato che le prestazioni professionali descritte nella parcella prevedevano tutte una modifica della destinazione d’uso; ha poi aggiunto che era stato provato documentalmente, oltre che tramite la deposizione di un teste, il conferimento per iscritto di un unico incarico nel dicembre 1990 riguardante la “progettazione e direzione dei lavori del complesso commerciale in oggetto”, quindi non di un solo cinema, e che in realtà il primo progetto, rimasto inutilizzato, era stato poi convertito, solo da un punto di vista tecnico, ad un centro commerciale, oggetto appunto dell’incarico scritto; il giudice di appello ha pertanto concluso che il progetto poi redatto dagli attuali ricorrenti era stato conforme al suddetto incarico, evidenziando che le varianti, anche complesse, si erano rese necessarie a causa delle iniziali carenze progettuali, cosicchè i suddetti professionisti non potevano vantare diritti ad alcun compenso per il lavoro svolto al di fuori dell’incarico ricevuto con il contratto scritto.

In definitiva, avendo la Corte territoriale indicato puntualmente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede dai ricorrenti principali, i quali si limitano inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione delle vicende che hanno dato luogo alla presente controversia ad essi più favorevole, senza comunque spiegare le ragioni per le quali ritengono compatibile il loro assunto in ordine alla circostanza di aver avuto incarico da parte della società committente di redigere tre distinti progetti con quanto invece emergente dal contratto scritto stipulato dalle parti, secondo l’interpretazione resa dal giudice di appello e non specificatamente censurata in questa sede, circa l’unicità del progetto commissionato; deve inoltre aggiungersi che nel motivo in esame i ricorrenti, pur facendo riferimento, a sostegno del proprio assunto, ad alcuni documenti prodotti dalla controparte, hanno omesso di trascriverne il contenuto, precludendo così a questa Corte di verificare il necessario requisito della loro dectsività.

Con il secondo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 1363 c.c., e segg., art. 1353 c.c., e segg., e art. 1183 c.c., e segg., nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che la convenzione del 9-12-1990 prevedeva lo scioglimento del contratto in caso di mancata approvazione del progetto da parte del Comune di Pordenone, che era la condizione indispensabile per proseguire l’incarico in qualità di direttori dei lavori in esecuzione del progetto approvato.

I ricorrenti principali sostengono che in realtà l’interpretazione sia letterale sia logico-sistematica della convenzione induceva ad escludere che il compenso dei professionisti fosse condizionato alla realizzazione del progetto, essendo ivi regolate soltanto le modalità di pagamento del compenso stesso, da qualificare come termine; pertanto, venuto meno il rapporto contrattuale per volontà della committente, il giudice avrebbe dovuto riconoscere agli esponenti il diritto al pagamento del corrispettivo per l’attività progettuale già compiuta.

La censura è infondata.

Premesso che il giudice di appello ha affermato che le parti nel menzionato contratto avevano previsto lo scioglimento dello stesso in caso di mancata approvazione del progetto fa parte del Comune, che era la condizione di fatto indispensabile per proseguire l’incarico da parte dei tre professionisti in qualità di direttori dei lavori in esecuzione del progetto approvato, è agevole rilevare che i ricorrenti, nel criticare tale ricostruzione della volontà contrattuale e nel proporre una diversa interpretazione, non hanno assolto l’onere posto a loro carico non solo di specificare i canoni in concreto violati dal giudicante, ma anche di indicare le modalità con le quali egli si sarebbe discostato da quei canoni, cosicchè la censura sotto tale profilo è inammissibile.

La residua parte del motivo è poi infondata in quanto, all’esito del recesso della committente dal contratto intercorso tra le parti come da missiva del 29-12-1995, è stato riconosciuto il diritto dei professionisti al compenso per l’opera svolta fino a quel momento, avendo essi percepito a suo tempo dalla società Valle Grotari la complessiva somma di L. 30.000.000, di cui L. 15.000.000 all’atto del conferimento dell’incarico, ed ulteriori L. 15.000.000 alla presentazione del progetto al Comune.

Con il terzo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione dell’art. 2237 c.c. e L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 10, rilevano che, avendo la controparte esercitato il diritto di recesso, il giudice di appello avrebbe dovuto riconoscere agli esponenti il diritto al rimborso delle spese sostenute ed al compenso per l’opera svolta, costituita dalla elaborazione di tre progetti di variante predisposti in relazione alle diverse esigenze manifestate di volta in volta dalla committente; inoltre, con riferimento alle prestazioni professionali di ingegneri ed architetti, avrebbe dovuto essere applicato la L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 10, che prevede uno specifico regime della sospensione unilaterale delle prestazioni con obbligo a carico del cliente di corrispondere una maggiorazione del 25% del compenso.

Il motivo è infondato.

Deve anzitutto richiamarsi, con riferimento al primo profilo della censura in oggetto, quanto già affermato in occasione dell’esame dei primi due motivi del ricorso principale riguardo alla unicità del progetto oggetto del contratto intercorso tra le parti nonchè al riconoscimento del diritto degli attuali ricorrenti principali al compenso per l’opera svolta fino al recesso dal contratto stesso da parte della committente.

Quanto poi alla invocata maggiorazione del compenso prevista dalla L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 10, si rileva che, attesa la convenzionale determinazione del compenso spettante ai tre professionisti sulla base del contratto stipulato il 9-12-1990, tale pattuizione resta valida anche nel caso di recesso da parte della committente, con l’unica conseguenza di determinare la riduzione del corrispettivo pattuito per l’intera opera in proporzione della parte realizzata (Cass. 21-4-1981 n. 2342), principio che comporta pertanto la non operatività anche della normativa ora richiamata, che invero riguarda l’approvazione della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti, e che è applicabile ai sensi dell’art. 2233 c.c., soltanto in assenza di determinazione pattizia dei compenso.

Venendo quindi all’esame degli altri motivi del ricorso incidentale, si osserva che con il secondo motivo la società De Filippo Costruzioni, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2236 c.c., e contraddittoria motivazione, rileva che, avendo il giudice di appello accertato che le controparti avevano eseguito in ritardo un progetto inidoneo alla sua funzione, illogicamente ha ritenuto che costoro avessero correttamente adempiuto la prestazione contrattualmente pattuita.

Con il terzo motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2236 c.c., ed omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per affermato che il mancato accoglimento del progetto da parte del Comune di Pordenone, dovuto al fatto che i parcheggi erano previsti non già nell’area di proprietà della committente ma in quella di proprietà di altri, non era addebitabile ai suddetti professionisti; la società De Filippo Costruzioni sostiene anzitutto che erano stati proprio questi ultimi a suggerire un ricorso al TAR dal cui contenuto si evinceva che essi non si erano curati di verificare uno dei presupposti basilari dell’elaborato; inoltre le controparti erano rimaste inadempienti all’obbligo di individuare correttamente la aree da destinare a parcheggio onde redigere un progetto conforme alle regole tecniche ed alle norme giuridiche necessarie per ottenere l’approvazione della P.A..

Con il quarto motivo la ricorrente incidentale, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2730 c.c., ed omessa motivazione, assume che il giudice di appello senza addurre alcuna argomentazione ha affermato che la raccomandata inviata il 29-12-1995 dalla società Valle Grotari conterrebbe la confessione del fatto che l’esecuzione del contratto stipulato tra le parti il 9-12-1990 era divenuta impossibile per una ragione oggettiva, ovvero il divieto dell’autorità amministrativa “sul quale gli architetti non hanno esplicato alcuna influenza”.

Con il quinto motivo la ricorrente incidentale, denunciando omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto tardiva l’eccezione di risoluzione del contratto per cui è causa per inadempimento dei suddetti professionisti senza offrire alcuna ragione al riguardo; sostiene comunque che l’eccezione in oggetto non era tardiva nè con riferimento al momento in cui era stata prospettata in giudizio (ovvero ritualmente in sede di opposizione a decreto ingiuntivo) nè in relazione ad una ipotetica prescrizione, non maturata ma neppure eccepita dalle controparti.

Tutte gli enunciati motivi del ricorso incidentale, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono inammissibili per difetto di interesse.

Invero deve attribuirsi al riguardo rilievo decisivo alla affermazione della Corte territoriale, non oggetto di alcuna censura in questa sede, secondo cui la società committente, come già più sopra esposto, con missiva del 29-12-1995 aveva esercitato il suo diritto di recesso facendo chiaro riferimento all’impossibilità di prosecuzione del contratto per la mancata approvazione del progetto redatto dai professionisti, attuali ricorrenti principali, da parte dell’autorità amministrativa; infatti deve considerarsi che tale recesso si configura come una causa estintiva del contratto d’opera professionale intercorso tra le parti, e che esso, quale facoltà della parte di sciogliere unilateralmente il contratto, prescinde da eventuali inadempienze dell’altro contraente alle obbligazioni assunte e preclude la proposizione di una domanda di risoluzione per inadempimento dell’altro contraente, restando soltanto l’obbligo a carico del committente recedente di rimborsare al professionista le spese sostenute e di pagare il compenso per l’opera svolta ai sensi dell’art. 2237 c.c., comma 1.

Per tali considerazioni le censure svolte con i motivi in esame, incentrate tutte sul comportamento asseritamente inadempiente delle controparti agli obblighi contrattuali assunti e sulla domanda di risoluzione del contratto per cui è causa in conseguenza di tale inadempimento, sono del tutto irrilevanti.

Anche il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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