Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15205 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 23/06/2010), n.15205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30018-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA, BIONDI GIOVANNA, giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato ALBANO MICHELE (STUDIO

LEGALE LUCISANO), rappresentata e difesa dagli avvocati SALVIA

ANTONIO, OLIVIERO DANIELE, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 944/2006 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 24/11/2006 R.G.N. 170/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del primo motivo e

accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’INPS chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Potenza, pubblicata il 24 novembre 2006, che ha rigettato il suo appello contro la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso di S.A. volto alla conservazione dell’indennità integrativa speciale sulla pensione erogata dall’INPS pur in presenza di analogo trattamento erogato sulla pensione diretta a carico dell’INPDAP. L’INPS propone tre motivi di ricorso. L’intimata si difende con controricorso.

La controversia concerne l’applicazione della L. n. 843 del 1978, art. 19, comma 1, norma che ha escluso, a decorrere dal primo gennaio 1979, che lo stesso soggetto, se titolare di più pensioni, comprese quelle delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive, integrative, esclusive o esonerative dell’assicurazione generale, possa fruire su più di una pensione di tali quote aggiuntive, o dell’incremento dell’indennità integrativa speciale, o di ogni altro analogo trattamento collegato con il costo della vita.

La norma si applica anche nel caso in cui una delle pensioni sia a carico dello Stato. La sentenza impugnata sostiene la tesi per cui, nel caso in cui uno stesso soggetto sia titolare di pensione a carico dell’INPS e di pensione a carico dell’INPDAP, entrambe maggiorate dell’indennità integrativa speciale, soltanto l’INPDAP erogatore della pensione diretta è abilitato a negare al pensionato l’indennità integrativa speciale. Il quesito di diritto al centro della controversia è se l’INPS, in presenza di più pensioni, entrambe con indennità integrativa speciale, possa o meno non corrispondere tale indennità sulla pensione a suo carico in applicazione di quanto disposto dalla norma su citata.

La questione è stata decisa dalla Sezioni unite con la sentenza 23 ottobre 2008, n. 25616, che ha interpretato la norma nel senso che il pensionato ha diritto di percepire la pensione dello Stato integralmente e quella INPS decurtata.

In particolare le Sezioni unite hanno affermato che “sia il tenore letterale dell’art. 19, compresa la specifica formulazione del comma 2, sia la complessiva finalità del disposto normativo, avvalorano l’interpretazione secondo cui anche nell’ipotesi specifica di concorso di pensione dell’AGO e di pensione dello Stato la legge esclude che il medesimo soggetto possa fruire su più di una pensione della quota diretta a compensare l’incremento del costo della vita.

Deve sottolinearsi anche che l’art. 19, comma 2 è chiaro nel prescrivere che, in tale ipotesi, deve essere corrisposta l’indennità integrativa speciale sulla pensione statale e rimane esclusa invece l’erogazione delle quote aggiuntive sulla pensione Inps.

In particolare, il comma 1, pone esplicitamente la regola che in caso di titolarità di più pensioni i trattamenti collegati al costo della vita sono dovuti una sola volta, facendo riferimento omnicomprensivamente sia alle pensioni dell’AGO sia alle pensioni a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza che siano integrative o alternative rispetto all’AGO, a tale scopo utilizzando i termini tecnici al riguardo di corrente utilizzazione, compreso quello impiegato usualmente per indicare, in contrapposizione all’AGO, le pensioni dello Stato o pensioni analogamente regolate (per le quali si parla di gestioni che comportano l’esclusione, o che sono “esclusive”, dell’AGO: cfr., per esempio, la L. 23 dicembre 1994, ari. 15, comma 3, n. 724). Lo stesso comma 1, poi, menziona espressamente sia l’accessorio in questione delle pensioni Inps, e cioè la “quota aggiunta” di cui alla L. n. 160 del 1975, art. 10, comma 3, sia l’indennità integrativa speciale dovuta sulle pensioni statali.

l commi 2, 3, 4 e 5, dettano le regole per individuare su quale pensione, in caso di godimento di più di una da parte dello stesso soggetto, debba essere corrisposto l’unico spettante trattamento correlato all’aumento del costo della vita. In tale contesto, e comunque in relazione anche al suo univoco tenore letterale, il comma 2, (che inizia con le parole “ai fini del precedente comma”) chiaramente specifica che in caso in cui su una delle pensioni sia corrisposta l’indennità integrativa speciale regolata dalla L. n. 364 del 1975, sia questo il trattamento (l’unico trattamento del tipo in questione) che deve essere corrisposto (“continua a corrispondersi”), con esclusione (evidentemente dall’altra pensione goduta) della quota aggiuntiva L n. 160 del 1975, ex art. 10, o di altro trattamento analogo (“collegato con le variazioni del costo della vita”).

Riguardo alla “ratio” della normativa è opportuno rilevare che il tipo di intervento normativo attuato dalla L. n. 843 del 1978, art. 19, in esame – anche al fine di limitare la spesa pubblica: è inserito in una legge finanziaria – trova specifica giustificazione sul piano sistematico negli orientamenti dell’epoca, sia della contrattazione collettiva che della legislazione, che tendevano ad una perequazione anche in valori assoluti dei trattamenti retributivi e pensionistici e avevano recepito in particolare l’idea che fosse opportuno assicurare una parità di trattamento nei confronti del carovita, onde l’introduzione, anche nel settore privato, del cd.

punto unico dì contingenza e il passaggio, come si è già visto, dalla rivalutazione delle pensioni superiori al minimo in proporzione al loro ammontare, introdotta dalla L. n. 153 del 1969, art. 19, alla loro rivalutazione in misura paritaria mediante le quote aggiuntive (dette anche quote fisse) introdotte dalla L. n. 160 del 1975, art. 10. I dubbi circa la legittimità costituzionale della L. n. 843 del 1978, art. 19, sono stati ritenuti infondati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 349/1985 (cui hanno fatto seguito le ordinanze n, 354 e 854 del 1988), sulla base dell’osservazione che non irrazionalmente era prevista la corresponsione su una sola pensione di quanto attribuito al fine di compensare il lavoratore delle conseguenze dell’aumento del costo della vita, e del richiamo dell’analoga impostazione della disciplina dell’indennità integrativa speciale dovuta al personale statale, spettante ad un solo titolo in caso di cumulo di impieghi. Peraltro la stessa sentenza ha escluso l’illegittimità costituzionale del sistema di incremento delle pensioni basato sui principi di cui alla L. n. 160 del 1975, che aveva causato un grave appiattimento degli importi delle pensioni, solo in quanto il medesimo, sulla cui adozione avevano esercitato il loro peso “le particolari condizioni economiche di quegli anni e i connessi problemi, anche di carattere sociale”, era stato tempestivamente abbandonato e sostituito con altro improntato a un diverso criterio”. Queste conclusioni delle Sezioni unite, dalle quali non vi è motivo di discostarsi, comportano l’accoglimento del ricorso dell’INPS ed il rigetto della domanda.

PQM

La Corte accoglie il ricorso dell’INPS, cassa la sentenza impugnata e rigetta la domanda, compensando le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

 

 

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