Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15205 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. II, 11/07/2011, (ud. 20/04/2011, dep. 11/07/2011), n.15205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27199/2005 proposto da:

P.A.V. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA STAZIONE S. PIETRO 45, presso lo

studio dell’avvocato PACETTI Massimo, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MORABITO DOMENICO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA C.F. (OMISSIS) IN PERSONA DELL’AVV. V.

G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO

108, presso lo studio dell’avvocato PESCATORE Valerio, che la

rappresenta e difende per procura notarile del 5/4/2011;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1399/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/04/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato Pacetti Massimo difensore del ricorrente che si

riporta agli atti;

udito l’Avv. Pescatore Valerio difensore della resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All’esito di procedimento penale promosso a carico di P.A. V. per il reato di frode telematica, conclusosi con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., in data 13-3-1998 il GIP dei Tribunale di Torino disponeva la confisca dell’importo di L. 245.669.550 di cui alla fattura n. (OMISSIS), emessa dal P. nei confronti della Telecom Italia, già sottoposta a sequestro preventivo.

Contro tale provvedimento sia la Telecom s.p.a. che il P. proponevano incidente di esecuzione. Il GIP, ritenuto che la sentenza penale aveva accertato che la fatturazione emessa dal P. concerneva un traffico telematico per lo più effettuato fraudolentemente, sicchè almeno in parte la fattura in sequestro si riferiva a importi che dovevano considerarsi nella disponibilità della Telecom s.p.a., e rilevato che vi era controversia sulla proprietà delle somme in sequestro, revocava la confisca della fattura e, ai sensi dell’art. 263 c.p.p., rimetteva la risoluzione della controversia al giudice civile.

Il P., sul presupposto che la Telecom s.p.a. non aveva appellato la predetta ordinanza e che, pertanto, la stessa era passata in giudicato, chiedeva ed otteneva dal Presidente del Tribunale di Torino decreto ingiuntivo per l’importo indicato nella fattura di cui sopra.

La Telecom s.p.a. proponeva tempestiva opposizione avverso tale decreto, contestando l’esistenza del credito.

Con sentenza depositata il 19-11-2001 il Tribunale, nel premettere che il giudice civile era stato investito solo della risoluzione della controversia relativa alla proprietà delle somme in sequestro, e nel rilevare che la Telecom Italia non aveva dimostrato l’origine fraudolenta del traffico telematico contabilizzato nella fattura n. (OMISSIS), revocava il decreto opposto, accertava che la somma di L. 245.669.550 portata dalla predetta fattura era di proprietà del P. e respingeva la domanda di pagamento dei relativo importo, proposta in via subordinata dallo stesso P..

Con sentenza depositata il 16-9-2004 la Corte di Appello di Torino, in accoglimento del gravame proposto dalla Telecom s.p.a., rigettava la domanda di accertamento del credito di cui alla fattura n. (OMISSIS) emessa dal P. nei confronti della suddetta società, sul rilievo che, di fronte alla contestazione della parte opponente, gravava sul P. l’onere di dimostrare l’esistenza e la quantità de traffico telematico lecito, e che l’appellato non aveva minimamente offerto tale prova.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il P., sulla base di un unico motivo.

La Telecom Italia s.p.a. ha resistito con controricorso, al quale ha fatto seguire il deposito di una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., artt. 112, 323, 324, 325, 329, 342 e 346 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Rileva che il Tribunale aveva statuito che era onere della Telecom Italia s.p.a. provare quale parte di traffico telematico fosse stato contestato dagli utenti ovvero fosse stato fraudolentemente carpito, e che siffatta prova non era stata fornita dall’opposta, la quale non aveva neppure formulato alcuna istanza istruttoria. Fa presente che tale statuizione non era stata impugnata dalla Telecom Italia, la quale, anzi, nell’atto di appello aveva evidenziato di avere assolto l’onere probatorio mediante la documentazione prodotta in giudizio, idonea a dimostrare la totale illiceità del traffico telematico contabilizzato nella fattura in questione, con ciò manifestando inequivocamente la volontà di sottostare alla decisione del Tribunale riguardo all’onere della prova. Sostiene, pertanto, che essendosi formato un giudicato interno sulle statuizioni del primo giudice attraverso le quali era stato addossato alla Telecom Italia l’onere della prova, la Corte di Appello non avrebbe potuto, in assenza di uno specifico motivo di appello, attribuire l’onere probatorio all’attore.

Il motivo è fondato.

Nella sentenza di primo grado il Tribunale ha espressamente affermato, a più riprese, che gravava a carico della Telecom l’onere di dimostrare la non debenza delle somme contabilizzate nella fattura n. (OMISSIS), in ragione delie contestazioni mosse dagli utenti fruitori. Nella parte motiva di tale decisione, infatti, si legge che “era onere della Telecom Italia s.p.a. provare quale parte di traffico fosse stato contestato dagli utenti acquisitori ovvero…

potesse considerarsi fraudoletemente carpito”; che “era onere della Telecom Italia s.p.a. fornire elementi di prova diretti a dimostrare che l importo portato dalla fattura non poteva essere accreditato al fornitore di informazioni P.A.V. in quanto fraudolentemente carpito”; che “la Telecom non ha nemmeno formulato istanze istruttorie dirette a provare la sussistenza di ulteriori contestazioni da parte degli utenti acquisitori relative al traffico confluito tra il 20 gennaio e il 20 marzo 1995 sul nodo facente capo al sig. P. nè istanze istruttorie dirette a i dimostrare il mancato incasso delle somme portate dalla fattura n. (OMISSIS).

Sul punto parte opponente si limita a prospettare tali mancati incassi assumendo di non aver richiesto le somme agli utenti ma nulla deduce o produce al fine di provare gli assunti prospettati”; che “alla luce degli elementi probatori emersi deve, pertanto, concludersi che parte opponente non ha assolto l’onere probatorio sulla stessa incombente diretto a dimostrare l’origine fraudolenta del traffico telematico effettivamente confluito sul nodo del sig. P. e contabilizzato nella fattura n. (OMISSIS) ovvero il mancato incasso di parte o di tutte le somme portate dalla suddetta fattura dagli utenti fruitori”.

Con l’atto di appello la Telecom Italia non ha mosso alcuna doglianza in ordine alle statuizioni con le quali il Tribunale le aveva addossato l’onere probatorio, ma ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto non assolto tale onere, sostenendo che la documentazione da essa prodotta in giudizio era idonea a comprovare l’origine fraudolenta del traffico telematico contabilizzata nella fattura in questione.

In un simile contesto, la Corte di Appello, in mancanza di specifica impugnazione sul punto, non avrebbe potuto sovvertire il criterio di ripartizione dell’onere probatorio seguito dal giudice di prime cure e porre a fondamento della decisione di rigetto della domanda proposta dal P. la mancata dimostrazione, da parte del medesimo, dell’esistenza e della quantità del traffico telematico lecito. Essa, al contrario, avrebbe dovuto valutare, alla luce dell’indicato criterio, che non era stato minimamente contestato dall’appellante, ma al quale quest’ultima, con le deduzioni svolte, aveva chiaramente mostrato di aderire, se la Telecom Italia, con la documentazione versata in atti, avesse o meno dimostrato l’illiceità totale o parziale del traffico telematico portato dalla fattura in esame.

Giova rammentare che, secondo un principio affermato da questa Corte, nel vigente sistema processuale solo al giudice di primo grado è consentito il potere incondizionato di qualificazione della domanda, mentre al giudice di appello – in ragione dell’effetto devolutivo di tale impugnazione e della presunzione di acquiescenza di cui all’art. 329 c.p.c., con conseguente formazione del giudicato, non è più permesso di mutare “ex officio” la qualificazione ritenuta dal primo giudice, ove questa non abbia formato oggetto di impugnazione esplicita o, quanto meno, implicita, nel senso che una diversa qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico- giuridica di un motivo di impugnazione espressamente formulato (Cass. Sez. 2, 30-7-2008 n. 20730). Il potere-dovere del giudice di qualificazione della domanda nei gradi successivi al primo, pertanto, va coordinato con i principi propri del sistema delle impugnazioni;

sicchè deve ritenersi precluso al giudice dell’appello di mutare d’ufficio – violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato – la qualificazione ritenuta dal primo giudice in mancanza di gravame sul punto ed in presenza, quindi, del giudicato formatosi su tale qualificazione (Cass. Sez. L. 1-12-2010 n. 34339), dovendosi il giudicato ritenersi formato anche sulle questioni di qualificazione giuridica dei rapporti, qualora le parti abbiano accettato sul punto la decisione omettendone l’impugnazione e svolto le rispettive difese proprio sul presupposto di quella qualificazione (Cass. Sez. 2, 22-7-2005 n. 15356).

Per analoghe considerazioni, deve ritenersi che al giudice del gravame del gravame non sia consentito addossare d’ufficio l’onere probatorio a una parte diversa da quella indicata nella decisione di primo grado, allorchè, come nel caso in esame, l’appellante non abbia impugnato in modo esplicito o quanto meno implicito la relativa statuizione, ma abbia, anzi, manifestato in modo inequivoco, attraverso le proprie difese, la volontà di prestare acquiescenza alla stessa, con conseguente formazione del giudicato sul punto, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2. Ostano, all’esercizio di un simile potere, i limiti connessi al principio del tantum devolutum quantum appellatum, sancito dall’art. 342 c.p.c., che preclude al giudice di appello l’indagine sui punti della sentenza di primo grado non investiti dal gravame, risultando la sentenza di appello, in caso contrario, altresì inficiata dal vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c..

Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere cassata. Il giudice del rinvio, che si individua in altra Sezione della Corte di Appello di Torino, uniformandosi ai principi innanzi enunciati, dovrà valutare se e in quali limiti la Telecom Italia s.p.a., attraverso la documentazione versata in atti, abbia comprovato l’origine fraudolenta del traffico telematico contabilizzato nella fattura n. (OMISSIS) emessa dal P. e, comunque, il mancato incasso delle relative somme dagli utenti fruitori. Lo stesso giudice provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di Cassazione ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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