Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15202 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2010, (ud. 20/04/2010, dep. 23/06/2010), n.15202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26074-2006 proposto da:

A.G., + ALTRI OMESSI

tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato

MASSANO MARIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CORNELIO ENRICO, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AQUILANA MULTISERVIZI S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 30768-2006 proposto da:

A.S.M. – AQUILANA MULTISERVIZI S.P.A., (già Azienda Servizi

Municipalizzati dell’Aquila), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AMITERNO 3,

presso lo studio dell’avvocato NOTARMUZI STEFANO, rappresentata e

difesa dagli avvocati CINQUE LUIGI, ZACCAGNO MARIA TERESA, giusta

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.G.C., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 873/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 09/11/2005 R.G.N. 923/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato NOTARMUZI STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato il 14.10.03, la Aquilana Società Multiservizi s.p.a (ASM) ha impugnato la sentenza del tribunale dell’Aquila del 9 maggio – 4 giugno 2003 con la quale è stata condannata a pagare ai 46 dipendenti in epigrafe nominati la somma di L. 864.000 annue a titolo di risarcimento del danno derivante dalla violazione dell’obbligo di lavare gli indumenti ad alta visibilità forniti ai dipendenti e ciò per il periodo intercorrente dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 a quella del febbraio 1999, momento in cui essa aveva provveduto all’istituzione del servizio di lavanderia.

L’appellante ha dedotto che erroneamente il giudice di primo grado ha individuato nel novembre 1994 la data di entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. n. 626 che invece sono divenute vincolanti solo il 1. 1.1997. Ha eccepito il difetto di prova del danno subito dai dipendenti ed ha contestato i criteri utilizzati dal Tribunale per procedere alla valutazione equitativa del danno. Ha concluso chiedendo il rigetto della domanda dei lavoratori o, in subordine, la riduzione dell’ammontare delle somme liquidate a titolo di risarcimento dei danni.

I lavoratori si sono costituiti ed hanno chiesto il rigetto dell’appello principale. Hanno proposto appello incidentale deducendo che l’obbligo per la società di procedere al lavaggio degli indumenti di lavoro sussisteva già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 in forza del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 e che pertanto la loro domanda di risarcimento danni deve essere accolta a partire dalla data delle rispettive assunzioni in servizio.

Inoltre hanno lamentato che ingiustamente il Tribunale ha limitato l’obbligo datoriale di lavaggio ai soli capi esterni ad alta visibilità e non l’ha esteso invece a tutti gli indumenti di lavoro forniti dall’Azienda. Hanno poi lamentato la mancata ammissione della prova testimoniale articolata in primo grado.

2. La Corte istruiva la causa acquisendo documentazione e nuovi conteggi e con sentenza del 13 ottobre – 9 novembre 2005 accoglieva l’appello principale e l’appello incidentale per quanto di ragione e, in riforma della sentenza impugnata, incrementava, per ciascuno dei lavoratori, l’importo della condanna dell’Aquilana Società Multiservizi s.p.a. a titolo di risarcimento del danno per l’omesso lavaggio degli indumenti.

Confermava la statuizione sulle spese processuali contenuta nella sentenza di primo grado e compensava le spese del giudizio d’appello.

4. Avverso questa pronuncia propongono ricorso per cassazione gli originar ricorrenti con due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata e propone ricorso incidentale con due motivi.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale è articolato in due motivi con cui si deduce vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria (in ordine alla limitazione — ritenuta dalla Corte territoriale – dell’obbligo del datore di lavoro di lavaggio degli indumenti dei lavoratori ai soli indumenti “esterni” mentre la nozione di “dispositivi di protezione individuale” – DPI – era da ritenersi più ampia e comprensiva anche di indumenti “interni”) nonchè violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 e D.P.R. n. 303 del 1956, art. 4, lett. c), nonchè del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 40 (per aver la Corte territoriale limitato la nozione di “dispositivi di protezione individuale” agli indumenti esterni).

2. Il ricorso incidentale è articolato in due motivi con cui si denuncia la violazione o falsa applicazione, in particolare, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 40 e 43 (sostenendo che la domanda degli originari ricorrenti avrebbe dovuto essere rigettata quanto meno per il periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994), nonchè la violazione degli artt. 2697 e 1226 c.c. (mancando la prova del danno risarcibile).

3. I giudizi promossi con i due ricorsi, principali ed incidentale, vanno riuniti avendo ad oggetto la stessa pronuncia impugnata.

4. Il ricorso principale – i cui due motivi possono essere trattati congiuntamente – è infondato.

E’ sufficiente rilevare che costituisce una questio facti l’identificazione in concreto dei “dispositivi di protezione individuale”; la motivazione della sentenza impugnata, che li limita nella specie, tenuto conto delle caratteristiche della prestazione lavorativa, agli indumenti esterni, è sufficientemente e non contraddittoriamente motivata.

5. Parimenti infondato è il ricorso incidentale.

5.1. Quanto al primo motivo deve considerarsi che questa Corte (Cass., sez. lav., 5 novembre 1998, n. 11139) ha già affermato che l’idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori – a norma del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 e ai sensi dell’art. 40, art. 43, commi 3 e 4 di tale Decreto, per il periodo successivo – deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa; le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 Cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l’insorgenza e il diffondersi d’infezioni; ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni.

Cfr. anche Cass., sez. lav., 14 novembre 2005, n. 22929, secondo cui l’idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori – a norma del D.P.R. n. 457 del 1955, art. 379 fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 e ai sensi dell’art. 40, art. 43, commi 3 e 4, di tale Decreto, per il periodo successivo – deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 Cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l’insorgenza e il diffondersi d’infezioni. Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni.

In senso conf. v. anche Cass., sez. lav., 20 maggio 2009, n. 11729, che ha sottolineato come il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo; ha quindi confermato la sentenza impugnata che, nel far applicazione del notorio relativamente alla circostanza che gli indumenti di lavoro forniti ai dipendenti addetti alle operazioni di raccolta dei rifiuti abbisognino di lavaggi periodici, aveva condannato il datore di lavoro a provvedere al lavaggio degli indumenti a sue spese.

5.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile atteso che la motivazione sulla quantificazione del danno attiene ad una tipica valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità perchè motivata in termini sufficienti e non contraddittori.

6.1 ricorsi, principale ed incidentale, vanno quindi rigettati entrambi.

Sussistono giustificati motivi (soccombenza reciproca) per compensare tra le parli le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

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