Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15201 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. un., 22/07/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 22/07/2016), n.15201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20823-2014 proposto da:

CTP – COMPAGNIA TRASPORTI PUBBLICI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OVIDIO 32, presso lo STUDIO MELANA & ASSOCIATI, rappresentata e

difesa dall’avvocato MASSIMO MALENA, per delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI CASERTA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. D’AREZZO 32, presso lo

studio dell’avvocato MATTEO MUNGARI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIULIANO AGLIATA, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

REGIONE CAMPANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 396/2014 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il

27/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

uditi gli avvocati Massimo MALENA e Roberto DE MASI per delega

dell’avvocato Giuliano Agliata;

udito il P.M. in persona del Procuratore Generale Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 27.01.2014, n. 396 il Consiglio di Stato – rigettando l’appello proposto dalla s.p.a. CTP – Compagnia Trasporti Pubblici (di seguito, brevemente, CTP), esercente il T.P.L. (Trasporto Pubblico Locale) in una zona compresa tra le province di (OMISSIS) – ha confermato la sentenza 16.01.2013, n. 355, con la quale il TAR Campania aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del G.A. nella controversia promossa dall’appellante per la declaratoria di nullità o annullamento dell’art. 15, comma 3 del contratto-ponte sottoscritto con la provincia di Caserta, per la parte relativa all’esclusione della revisione del corrispettivo nella vigenza del contratto, e per sentire, conseguentemente, condannare la Regione Campania o la Provincia di Caserta al pagamento della somma di Euro 6.784.528,66, oltre accessori, a titolo di indicizzazione dei contributi di esercizio per gli anni 2007/2010, giusta atti di costituzione in mora mai riscontrati.

Avverso detta decisione la s.p.a. CTP ha proposto ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 1, svolgendo tre articolati motivi.

Ha resistito la sola Provincia di Caserta, depositando controricorso e deducendo l’inammissibilità o comunque la manifesta infondatezza del ricorso; mentre nessuna attività difensiva è stata svolta dalla Regione Campania.

Parte ricorrente ha, altresì, depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La decisione del C.d.S. si basa sulle seguenti argomentazioni:

a) innanzitutto la normativa di riferimento alla data di proposizione della domanda (6 dicembre 2011) va individuata nell’art. 133 cod. proc. amm., lett. e, punto 2 e in particolare nel comma 1, lett. c, e nel comma 1, lett. e, punto 2, che riservano alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonchè afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità” e le controversie “relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 115 nonchè quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133, commi 3 e 4 cit. decreto”; le disposizioni di cui al cit. art. 133 sono state adottate dal legislatore in forza della delega conferita dalla L. n. 69 del 2009, art. 44, che annovera tra i principi ispiratori, tra gli altri, quello di “b) disciplinare le azioni e le funzioni del giudice:… 1) riordinando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni” e, quindi, hanno natura innovativa rispetto al precedente panorama normativo, in conformità alle indicazioni fornite dalla Corte Cost. n. 204/2004, cui il legislatore delegante aveva inteso conformarsi;

b) la fattispecie in oggetto, non essendo compresa nelle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 115 e 133 richiamate dall’art. dell’art. 133 cod. proc. amm., non rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., ma – come ogni controversia avente ad oggetto diritti soggettivi appartiene alla cognizione del G.0.; a tali effetti il C.d.S. ha fatto riferimento alla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. 19567/2011 e 13892/2011, nonchè Cass. 397/2011, per le domande avanzate sulla richiesta di diretta applicazione del Reg. CE n. 1191 del 1969, come modif. dal Reg CE n.1893 del 1991) e ha precisato che il Legislatore delegato, dettando le disposizioni di cui all’art. 133 cit., ha operato all’interno dei parametri costituzionali ed enunciato una norma di chiara autonomia con rinvio puntuale alle sole disposizioni vigenti del D.Lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 115 e 133 commi 3 e 4; detta formula non si presta alla diversa ricostruzione suggerita dall’appellante, secondo cui sarebbe dovuto a una “mera svista” il mancato riferimento allo stesso D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 206; in particolare non può sostenersi che il D.Lgs. n. 163 del 2006, cit. art. 115 abbia recepito tout court la previsione sostanziale in materia di revisione prezzi contenuta nella L. n. 537 del 1993, art. 6 perchè l’art. 115 ha un’estensione oggettiva più limitata rispetto a quella precedentemente abbracciata dall’art. 6 cit., come dimostrato dall’art. 23 del medesimo decreto che ha escluso, non a caso, dall’ambito del codice degli appalti pubblici, i contratti aventi ad oggetto la prestazione di un servizio pubblico di autotrasporti mediante autobus; donde l’inammissibilità delle q.l.c. proposta nei confronti del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 sul presupposto che nella norma siano state trasfuse le disposizioni dell’art. 6, stante l’inapplicabilità del cit. D.Lgs. in considerazione della previsione di cui all’art. 23 stesso decreto e l’applicabilità, invece, dell’art. 133 cod. proc. amm.;

c) neppure può sostenersi che la controversia rientri nella giurisdizione amministrativa esclusiva di cui all’art. 133 cod. proc. amm., in forza di un’interpretazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 23 (“Il presente codice non si applica agli appalti delle stazioni appaltanti relativi alla prestazione di un servizio al pubblico di autotrasporto mediante autobus, già esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/38/CEE in virtù dell’art. 2, par. 4, della stessa”) che comprenda il trasporto di autobus in oggetto nel campo di applicazione della direttiva 93/38/CEE art. 2, par. 4 (a tenore del quale “la fornitura al pubblico di un servizio di trasporto mediante autobus non è considerata come un’attività ai sensi del par. 2, lett. c, qualora altri enti possano liberamente fornire tale servizio, sul piano generale o in una zona geografica circoscritta alle stesse condizioni previste per gli enti aggiudicatori”), sul presupposto che il par. 4 faccia riferimento alle attività di servizio di trasporto mediante autobus aperte al regime di concorrenza; e ciò in quanto la disciplina comunitaria complessiva va ricavata dal confronto tra il par. 2, lett. c, e il cit. art. 2, par. 4 della direttiva, non potendo la “rete” identificarsi con tutto ciò che occorre per garantire il servizio pubblico, come implicherebbe la tesi dell’appellante, bensì con quelle infrastrutture fisse, che non risultano facilmente riproducibili se non con rilevante e non conveniente dispendio di risorse finanziarie.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1 violazione e/o errata applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 6 s.m.i. e violazione e/o errata applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 253 e 256. Al riguardo parte ricorrente deduce che il contratto-ponte è stato stipulato in data 22.03.2003, antecedente all’abrogazione (ad opera del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256) della L. n. 537 del 1993, art. 6 e successivamente è stato prorogato di anno in anno fino al 2010, per cui ad esso sarebbe ancora applicabile l’art. 6 cit.: norma, che, sotto il profilo sostanziale, prevede l’inserimento della clausola di revisione prezzi e, sotto quello processuale, riserva le relative controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A.. A parere della ricorrente siffatta conclusione sarebbe legittimata dalla previsione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 6 secondo cui il codice degli appalti si applica “alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore, nonchè, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure e ai contratti in cui, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”; in particolare l’efficacia delle disposizioni in tema di abrogazione contenute nell’art. 256, come pure del cit. D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 non potrebbe che seguire il medesimo schema, con la conseguenza che dette norme troverebbero applicazione solo per i contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della normativa in oggetto.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1 violazione e/o errata applicazione dell’art. 133 cod. proc. amm., comma 1, lett. e, n. 2, violazione e/o errata applicazione del D.Lgs n. 163 del 2006, artt. 23 e 210 violazione e/o errata applicazione dell’art. 5 direttiva UE 17/2004 e violazione e/o errata applicazione dell’art. 2 direttiva CEE 93/38. Al riguardo parte ricorrente deduce – per l’ipotesi che si ritenga abrogata la disposizione della L. 537 del 1993, art. 6 – che, in ogni caso, nella fattispecie non trova applicazione la previsione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 23 e correlativamente si applica l’art. 115 cit. D.Lgs., come richiamato dall’art. 133 del cod. proc. amm.. In particolare la ricorrente ritiene di dissentire dalla giurisprudenza delle S.U. che sottrae il servizio di trasporto pubblico di autobus dal codice degli appalti senza alcuna distinzione, sostenendo che, sulla base della disciplina comunitaria e nazionale, debbano profilarsi due categorie di trasporti pubblici svolti mediante autobus e due diversi regimi applicabili ai servizi di trasporto su gomma; ciò in quanto andrebbe assegnato all’espressione “rete” il significato – non già di “complesso di infrastrutture fisse non facilmente riproducibili” (come ritenuto dal C.d.S.) – bensì di insieme delle linee e delle singole corse afferenti ogni linea che complessivamente costituiscono la “rete di servizi di trasporto pubblico” ovvero “un servizio di rete”. Tale esegesi si dovrebbe evincere dal medesimo art. 2 par. 4 della Dir. 93/38 e dall’art. 5 par. 2 della successiva dir. UE 2004/17, nonchè dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 210 derivandone la devoluzione della controversia al giudice amministrativo nelle ipotesi di attività – come il TPL – svolte mediante imposizioni di obblighi di servizio al soggetto gestore (in ordine alle tratte da servire, alle frequenze da rispettare e alla capacità di trasporto da assicurare alla collettività) ovvero all’attribuzione di diritti di esclusiva, mentre resterebbero devolute al giudice ordinario le controversie afferenti il trasporto pubblico interregionale e statale, in cui non esistono obblighi di tal fatta a carico del gestore e il cui accesso è liberalizzato e consentito a tutti gli operatori interessati, previo ottenimento di una semplice autorizzazione.

1.2.1. In subordine la ricorrente chiede che venga formulato il seguente quesito alla C.G.U.E.: “se il diritto comunitario e nella specie gli artt. 2 della direttiva 93/38 e 5 della direttiva 2004/17, possono interpretarsi nel senso di sottrarre all’applicazione di tali direttive o dalla normativa di recepimento delle stesse, un servizio di trasporto pubblico svolto mediante autobus, finanziato da contribuzione pubblica e fornito mediante un programma di esercizio prestabilito dall’autorità competente e che indica le tratte da servire, i percorsi da effettuare, la frequenza del servizio, le tariffe da applicare al pubblico servizio, nonchè i mezzi da utilizzare nello svolgimento del servizio”.

1.3. Ancora in subordine la ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale delle norme che escluderebbero la revisione dei contratti riferiti al trasporto pubblico, eccesso di delega del D.Lgs. n. 163 del 2006 circa l’alveo di operatività della L. n. 537 del 1993, art. 6 come modificato dalla L. n. 724 del 1994, art. 44. Al riguardo parte ricorrente deduce che l’art. 6, così come modificato dall’art. 44 cit., è stato, in parte trasfuso nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 115 (per il contenuto precettivo) e in parte nell’art. 244 medesimo D.Lgs (per quanto riguarda la G.A. esclusiva) e che quest’ultima norma è stata dapprima modificata e poi sostituita dal cod. proc. amm.; orbene, a parere della ricorrente – ove non si accedesse ai precedenti rilievi, in ragione dei quali la L. n. 537 del 1993, art. 6 è tuttora operativo e si ritenesse che l’art. 133 cod. proc. amm., per effetto del mancato richiamo al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 6 si riferisca ai soli “settori ordinari” – verrebbe ad essere modificata la disciplina sugli appalti in maniera radicale (con eliminazione dell’obbligo della clausola di revisione nei soli contratti afferenti ai “settori speciali”, nonostante la delega riservasse al legislatore del codice degli appalti una funzione meramente compilativa). Ne deriverebbe l’illegittimità costituzionale degli artt. 115 e 244 D.Lgs. cit. (come recepito dall’art. 133 cod. proc. amm.) in relazione agli artt. 3 e 103 Cost. e dell’art. 76 e 77 Cost. per eccesso di delega e “poichè il tenore dell’art. 244 cit. D.Lgs. è stato recepito nell’art. 133, comma 1, lett. e, ne deriverebbe che – contrariamente a quanto ritenuto dal C.d.S. – è nell’art. 244 cit. che andrebbe individuata la revisione legislativa in materia di giurisdizione esclusiva del G.A.”.

2. Il ricorso è infondato, risultando la decisione declinatoria della giurisdizione del giudice amministrativo conforme ad una consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. Unite, ord. 24 novembre 2015, n. 23898; 07 aprile 2014, n. 8048; S.U. 6 settembre 2013 n. 20572; Sez. Unite, 22 aprile 2013, n. 9690; Sez. Unite 14 novembre 2012 n. 19828; Sez. Unite ord. 11 gennaio 2011 n. 397 – 398 – 399 e 400; Sez. Unite 8 novembre 2010 n. 22621; Sez. Unite 01 giugno 2010, n. 13338), dalla quale le argomentazioni e deduzioni della ricorrente, sopra esposte, non offrono elementi per discostarsi.

Nel dare continuità alla giurisprudenza appena richiamata, giova evidenziare, allontanando sin da ora il sospetto di incostituzionalità sollevato da parte ricorrente, che le sentenze “capostipiti” degli anni 2010 e 2011 hanno preso le mosse dal principio posto dalla sentenza n. 27618 del 2008 delle Sezioni Unite di questa Corte che – in piena continuità con i precedenti pronunziati (in particolare n. 15216 del 2006, n. 12372 del 2008 e n. 3685 del 2009) e in perfetta aderenza con quanto predicato dal Giudice delle leggi in tema di riparto della giurisdizione (cfr. in particolare: Corte Cost. 28 aprile 2004 n. 204 e 8 marzo 2006 n. 191) – ha individuato il presupposto della insorgenza della giurisdizione nell’inesistenza di una discrezionalità amministrativa nella determinazione della entità del credito controverso. In tale prospettiva è stato evidenziato, con argomentazioni cui può farsi sintetico richiamo, con specifico riferimento alla materia dei contributi dovuti dagli enti territoriali alle imprese concessionarie di trasporto pubblico su strada, che:

– il legislatore nazionale con il D.Lgs. 19 novembre 1997, n. 422 (c.d. decreto Burlando) ha riformato il settore, prevedendo che i servizi di pubblico trasporto siano gestiti da imprese scelte tramite gare di evidenza pubblica con il passaggio da un sistema di concessione del servizio (atto unilaterale) a quello di contratto di servizio tra ente affidante e impresa affidataria; sicchè il sostegno economico pubblico alle imprese gestrici, rappresentato dai contributi d’esercizio, si è trasformato da sovvenzione a corrispettivo contrattuale;

– le controversie attinenti alla misura dei compensi spettanti alle imprese esercenti i servizi di trasporto locale in concessione, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, non essendo ravvisabili nel procedimento amministrativo di determinazione del quantum momenti di valutazione comparativa di interessi privati e pubblici, ma venendo in considerazione esclusivamente l’applicazione di parametri di natura normativa, di cui si contesta la corretta applicazione, con la conseguente qualificazione in termini di diritti soggettivi delle posizioni giuridiche azionate, correlate all’adempimento di obbligazioni pecuniarie derivanti dall’applicazione di criteri predeterminati a carico dell’amministrazione concedente;

– non rileva che si versi in materia di pubblici servizi, occorrendo pur sempre, per radicare la giurisdizione del giudice amministrativo, che la pubblica amministrazione agisca esercitando il suo potere autoritativo (C. Cost. n. 204/2004) e, comunque, che non si tratti di corrispettivi, qualifica, questa, inclusiva anche dei contributi di esercizio a favore delle imprese di trasporti locali in concessione;

– inoltre, la controversia non è riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo già prevista dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 6, poichè tale norma è stata abrogata dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256, mentre l’omologa norma dell’art. 244 cit. D.Lgs., che attribuisce la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo in tema di clausola di revisione prezzi, non può essere applicata in relazione al servizio al pubblico di autotrasporto; ciò perchè l’art. 23 espressamente dispone che “il presente codice non si applica agli appalti delle stazioni appaltanti relativi alla prestazione di un servizio al pubblico di autotrasporto mediante autobus, già esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/38/CEE in virtù dell’art. 2, par. 4, della stessa”.

Ciò posto e precisato che, in ragione della rilevata delimitazione dell’ambito oggettivo di riferimento del D.Lgs. n. 163 del 2006, non rileva neppure la riserva di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133 c.p.c., lett. e “nelle controversie relative alla clausola di revisione del prezzo (…) nell’ipotesi di cui sll’art. 115 stesso decreto”, non appare revocabile in dubbio la devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario dell’azione dell’odierna ricorrente di accertamento e condanna delle amministrazioni intimate al pagamento di somme asseritamente dovute a titolo di indicizzazione dei contribuito di esercizio per il trasporto pubblico di linea ovvero a titolo di revisione prezzi relativi al medesimo servizio. Il petitum sostanziale non è, invero, qualificato dal mancato o illegittimo esercizio di un potere discrezionale da parte dell’amministrazione concedente, bensì profila una pretesa pecuniaria originata da una contestazione in punto di interpretazione, applicazione e validità dei contratti accessivi alla convenzione, come rinnovati di anno in anno.

E’ ben vero che la parte ricorrente ha chiesto anche la dichiarazione di parziale nullità del contratto, postulando la sostituzione automatica della clausola che non prevedeva la revisione dei corrispettivi e, tuttavia, la nullità denunciata non deriva dalla violazione di qualche norma riguardante il procedimento per la scelta dell’aggiudicatario o comunque, aspetti riservati al potere valutativo-discrezionale dell’amministrazione, ma riguarda la clausola contrattuale. In altri termini – come rilevato nella cit. ord. 398 del 2011 di queste Sezioni Unite – quand’anche lo strumento di ripristino del buon diritto fosse la invalidazione delle clausole difformi, tal misura di invalidazione attingerebbe la sola clausola contrattuale e non certo la fonte pubblicistica della sua stipulazione.

Nessuno degli argomenti di segno contrario svolti in ricorso coglie nel segno.

3.1. Innanzitutto, quanto al primo motivo, ripreso anche nella memoria ex art. 378 c.p.c. con argomentazioni afferenti al nuovo Codice degli appalti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016 (peraltro sicuramente estraneo ratione temporis alla risoluzione della questione che ci occupa), si osserva che la censura si basa su un equivoco, che si ripropone, come si vedrà di seguito, nella questione di incostituzionalità sub 1.3., giacchè sovrappone e confonde principi attinenti alla regolazione sostanziale del rapporto con quelli che devono presiedere alla decisione sulla giurisdizione. Invero, con tale motivo si invoca una sorta di effetto abrogativo “limitato” del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256 che riconducendo negli stessi limiti il disposto dell’art. 244 cit. decreto, comporterebbe la (permanente) applicabilità della L. n. 537 del 1993, art. 6 vigente al momento della stipula del contratto.

3.1.1. Senonchè il motivo – prima ancora che ignorare la distinzione tra la fonte del rapporto e la disciplina dello stesso nella fase dinamica – si rivela manifestamente infondato alla luce del corretto rilievo contenuto nella decisione impugnata, secondo cui il riparto di giurisdizione va riguardato sulla base della normativa vigente alla data (del 6 dicembre 2011) di proposizione del ricorso di primo grado, individuandosi la normativa di riferimento nell’art. 133, comma 1, lett. c, e comma 1, lett. e, punto 2), con le conclusioni sopra esposte sub 3..

In altri termini quale che sia la disciplina sostanziale applicabile nella risoluzione della controversia – problema che non può e non deve interessare in questa sede – la giurisdizione va regolata in base all’art. 5 c.p.c.; con la conseguenza che, avuto riguardo al petitum sostanziale afferente a diritti soggettivi, la controversia risulta devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, non essendo compresa nella giurisdizione esclusiva di cui al cit. art. 133.

3.2. Con il secondo motivo la ricorrente ripropone un’esegesi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 23 già stigmatizzata dal C.d.S., in base alla quale il richiamo contenuto nell’art. 133 cod. proc. amm., comma 1, lett. e, punto 2 allo stesso D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 155 dovrebbe comprendere nella disposizione normativa il servizio di trasporto pubblico di rete, così riferendosi la locuzione al regime di regolazione adottato dall’ente pubblico in ordine allo svolgimento del servizio e alle modalità di accesso degli operatori, con la conseguenza che, in caso di svolgimento di procedure concorsuali alla scelta dell’unico soggetto gestore della rete di servizi (concorrenza per il mercato) si rientrerebbe nell’ambito dell’art. 2, par. 2 della direttiva 93/38/CEE, mentre nell’ipotesi di concorrenza nel mercato si rientrerebbe in quello del medesimo art. 2, par. 4.

3.2.1. In contrario senso va qui confermata l’interpretazione adottata dal C.d.S., avuto riguardo al coordinamento e raffronto della normativa di riferimento, risultando siffatta interpretazione convalidata dalla assorbente considerazione dell’impraticabilità dell’ermeneusi suggerita dalla ricorrente CTP, siccome genericamente riferita a tutto ciò che occorre per garantire il servizio pubblico, laddove “la gestione di rete” presuppone un rapporto di strumentalità rispetto all’erogazione del servizio al pubblico e postula, di conseguenza, un sistema di infrastrutture fisse, nella specie non ravvisabili.

E’ il caso di aggiungere che – vertendosi in tema di riparto della giurisdizione tra il G.O. e il G.A. e, quindi, di materia regolata dal diritto interno, sulla quale, peraltro, si è formata una consolidata giurisprudenza non sono ravvisabili i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, esulando il problema della giurisdizione dall’ambito dell’istituto invocato da parte ricorrente, che pertiene – com’è noto – solo alla individuazione della compatibilità del diritto interno con l’ordinamento comunitario.

3.3. Quanto all’eccezione di incostituzionalità sub 1.3. – riprendendo un accenno già svolto con riguardo al primo motivo – si osserva che l’individuazione del petitum sostanziale in una situazione astrattamente riconducibile a una posizione di diritto soggettivo è di per sè idonea a fondare la giurisdizione del G.O., mentre la verifica della sussistenza, in concreto, di siffatto diritto attiene al merito della pretesa creditoria.

Ne consegue che la q.l.c., se riferita alla disciplina sostanziale del rapporto, risulta inammissibile, giacchè sottende una questione di merito che non rileva in questa sede; mentre, se riferita direttamente all’art. 133 cod. proc. amm., risulta manifestamente infondata. Invero i parametri di riferimento degli artt. 76 e 77 Cost. appaiono pienamente rispettati in parte qua dall’art. 133 cit., costituendo la norma espressione dell’indicazione del legislatore delegante in punto di riordino del riparto della giurisdizione; mentre la denuncia del principio dell’uguaglianza sostanziale e di effettività della tutela giurisdizionale, in relazione agli artt. 3 e 103 Cost., si infrange contro la considerazione, derivante proprio dall’insegnamento della Corte costituzionale (segnatamente la già cit. sentenza n. 204/2004), che la regola del riparto, fondata sulla dicotomia tra diritto soggettivo e interesse legittimo, soffre eccezioni solo in “particolari” materie rispetto a quelle devolute alla generale giurisdizione del G.A., che investono “anche” diritti soggettivi, ma che devono, comunque, risultare partecipi della medesima natura, contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo. Orbene l’esegesi accolta in questa sede porta ad escludere un’eccezione di tal fatta, conservando la giurisdizione del giudice ordinario in una controversia afferente diritti soggettivi.

In conclusione il ricorso va rigettato, dovendo dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, innanzi al quale le parti vanno rimesse e che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, innanzi al quale rimette le parti anche per le spese del giudizio di cassazione; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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