Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15201 del 20/06/2017

Cassazione civile, sez. I, 20/06/2017, (ud. 28/04/2017, dep.20/06/2017),  n. 15201

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.T.R., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Andrea

Calvi e Saverio Stellari del Foro di Milano, come da mandato in

calce al ricorso, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Golametto n. 4, presso lo studio dell’avv. LORENZO GIUIA;

– ricorrente –

contro

P.V., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Grazia Ofelia

Cesaro del Foro di Milano e Fabrizia Bagnati del Foro di Napoli,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Alessandra

Cattel, alla via A. Gramsci n. 7, in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1059 della Corte d’appello di Roma del

4.11.2014, depositata il 16 febbraio 2015;

sentita la relazione svolta dal consigliere Paolo Di Marzio;

ascoltati gli Avv.ti Andrea Calvi e Saverio Stellari per il

ricorrente, e Grazia Ofelia Cesaro per la controricorrente;

udite le conclusioni del P.M., dr.ssa CERONI Francesca, che ha

domandato dichiararsi l’improcedibilità e comunque

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza impugnata, n. 1059 del 4 novembre 2014 (dep. 16.2.2015), la Corte d’Appello di Roma ha confermato la dichiarazione di paternità di M.T.R. nei confronti del figlio P.A., nato il (OMISSIS), e pure l’importo dell’assegno, pari a 1.500,00 Euro mensili, fissato a carico del padre quale contributo per il mantenimento del minore, con arretrati a far data dalla domanda.

Il giudice di prime cure, adito dalla madre del bambino, odierna controricorrente, aveva ritenuto accertata la relazione personale intercorsa tra le parti, invero ammessa dallo stesso odierno ricorrente, che aveva pure dichiarato di non escludere di poter essere il padre del bambino. La relazione era stata del resto attestata dai servizi sociali di Roma e di Napoli. I testimoni esaminati nel corso del processo avevano confermato, oltre alla relazione affettiva tra le parti – in un periodo di distacco dell’uomo dalla famiglia, in cui era poi rientrato – la gravidanza della P., la partecipazione dell’odierno ricorrente alla scelta del nome e le sue preoccupazioni per la salute del bambino.

La c.t.u. espletata in corso di causa aveva avuto come esito la probabilità di paternità dell’odierno ricorrente nella misura del 99,98%.

In sede di gravame, il dichiarato padre aveva lamentato il mancato raggiungimento della prova della paternità, perchè il Ctu aveva dato atto di ben due incongruenze genetiche. Infatti, in occasione del primo raffronto tra il DNA del ritenuto padre e quello del bambino, si era conseguito il risultato che due dei quindici marcatori esaminati risultavano incompatibili. Il raffronto era stato perciò rinnovato presso un diverso laboratorio di analisi ed utilizzando un diverso kit diagnostico, ma anche in questo caso era emersa l’incompatibilità di due marcatori, questa volta rispetto ad un totale di ventuno. L’appellante formulava allora l’ipotesi che il padre potesse essere un suo parente (il fratello An.). Contestava, inoltre, la determinazione dell’ammontare dell’assegno per il mantenimento del minore, fissato in via equitativa da parte del Tribunale, senza che si fosse proceduto a valutare le reali necessità del minore e neppure a comparare i redditi delle parti.

La Corte territoriale confermava integralmente la decisione di prime cure, salvo un profilo marginale in materia di spese di lite. La Corte capitolina rigettava, innanzitutto, la richiesta dell’appellante di espungere dalla documentazione utilizzabile per la decisione il “parere de veritate” espresso, in relazione agli esiti delle indagini ematologiche espletate, da un noto specialista, ritenendo che l’elaborato fosse da intendersi come semplice allegazione difensiva di carattere tecnico. Spiegava quindi, la Corte di merito, le ragioni che la inducevano a confermare i risultati cui era pervenuto il Ctu nel corso del primo grado del giudizio. Affermava, inoltre, che la prova genetica non è comunque sufficiente ai fini dell’attribuzione della paternità, e procedeva all’analisi degli ulteriori elementi che inducevano a ritenere provata la paternità, anche ripercorrendo i contenuti delle prove testimoniali raccolte.

In ordine ai profili economici, la Corte di merito ricordava in primo luogo che, tenuto conto del disposto di cui all’art. 277 c.c., il Tribunale aveva determinato solo in via provvisoria il contributo per il mantenimento del minore di cui doveva essere gravato il padre. La somma fissata appariva comunque adeguata, in considerazione delle esigenze del bambino e del reddito elevato del padre.

Avverso la decisione della Corte d’Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque articolati motivi, M.T.R.. Resiste con controricorso P.V.. Il ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 269 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed anche l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver ritenuto la Corte di merito che la c.t.u. espletata in primo grado risultasse idonea a concorrere ad integrare la prova della paternità del ricorrente. Ha evidenziato l’esponente che entrambi i kit utilizzati dallo specialista hanno avuto quale risultato l’emergere di due incompatibilità tra il profilo genetico del padre e quello del figlio. Risultati eclatanti che sono stati superati dal Ctu, seguito nel suo argomentare dalla Corte d’Appello, operando riferimento ad un non meglio definito “mutamento genetico”, scartando senza meglio motivare perchè sia stata senz’altro esclusa l’ipotesi alternativa più lineare e coerente, che cioè il ricorrente non sia il padre del bambino.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha contestato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 165 c.p.c., comma 2 e art. 195 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto utilizzabile la c.t.u. raccolta nel corso del primo grado del giudizio, sebbene depositata priva di alcuni allegati, predisposti da terzi, su cui pure l’elaborato risultava fondato.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente ha contestato, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’Appello posto a carico del ricorrente l’onere della prova contraria circa i fatti prospettati dalla odierna controricorrente a fondamento della domanda giudiziale, con particolare riguardo alla parte della motivazione in cui la Corte di merito afferma non essere stata fornita la prova neppure della conoscenza tra il fratello del ricorrente e la madre del bambino, sostenendo pure, il Giudice del gravame, che potrebbe anche esistere al mondo una persona che abbia maggiori compatibilità genetiche rispetto al ricorrente con il piccolo A., ma non solo per questo potrebbe esserne considerato il padre. La Corte territoriale aveva trascurato che oggetto di prova non dovrebbe essere che un terzo possa essere il padre del minore, quanto il conseguimento della certezza che il genitore è proprio l’odierno ricorrente. Non può pretendersi, in sostanza, che il M. fornisca la prova di non essere il padre del bambino, liddove controparte non ha fornito la prova, a lei spettante, che l’odierno ricorrente sia davvero il genitore.

4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente ha ulteriormente contestato, ai sensi tanto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 269, 2697 e 2729 c.c. – nonchè dell’art. 115 c.p.c., richiamato nella parte descrittiva – per avere la Corte di merito ritenuto acquisita la prova della paternità sulla base di circostanze ritenute idonee ad assicurare fondamento alla domanda giudiziale, ma trascurando di esaminare rilevanti fatti ostativi “prospettati” dal ricorrente. L’impugnante ha ricordato, innanzitutto, che la sentenza contestata ha ritenuto di richiamare l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la eventuale non decisività degli accertamenti ematologici non esclude la dichiarazione della genitorialità quando la stessa possa ritenersi fondata su elementi ulteriori. Ha tuttavia fatto cattivo uso del principio, perchè non ha tenuto conto di una pluralità di elementi ostativi alla adottata ricostruzione dei fatti, che non potevano essere trascurati, con particolare riferimento alla limitazione dei contatti tra le parti ai soli mesi di ottobre e novembre 2005 (dato che si afferma essere non contestasto) ed alla non esclusività della relazione personale tra le parti (dato che si afferma essere anch’esso contestato), eventi che, aggiunto il dato certo della nascita del bambino il (OMISSIS), avrebbero dovuto indurre la Corte d’Appello ad operare valutazioni diverse. Un rilievo decisivo occorre poi riconnettere alla data del concepimento del minore, che pure non è stata accertata, anche perchè ne dipende chi potrebbe essere il padre. L’affermazione della Corte di merito secondo cui la relazione personale-sentimentale tra le parti si sarebbe protratta ben oltre il concepimento è in ogni caso errata, perchè la data del concepimento non è stata individuata. Inoltre, la Corte d’Appello non ha valorizzato la testimonianza della sorella dell’odierno ricorrente, ancor più rilevante perchè “di segno opposto rispetto a quelle in precedenza acquisite (tutte provenienti dai testi indicati dalla sig.ra P.V.)”.

5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente ha contestato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 277, 2697 e 2729 c.c., e art. 113 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto di porre a carico del dichiarato padre un contributo per il mantenimento del minore, in assenza di una prova adeguata in ordine ai parametri di riferimento, dovendo escludersi la legittimità della liquidazione secondo equità. Il ricorrente ha criticato la Corte territoriale, innanzitutto, per aver assunto le sue determinazioni in carenza di prova circa quelle che sono le esigenze del minore. Le uniche voci di spesa specificamente prese in considerazione dal giudice di prime cure, relative alla locazione dell’immobile in cui vivono madre e figlio, agli esborsi per terapie sanitarie di cui il minore necessita, ed alla retta dell’asilo per il bambino, avrebbero dovuto indurre a riformare senz’altro la decisione, visto che il minore deve aver lasciato l’asilo da tempo e le spese mediche non devono essere conteggiate “a forfait”. Nessuna statuizione patrimoniale è possibile adottare legittimamente, se prima non si procede ad accertare quali sono le spese sostenute mensilmente nell’interesse del minore ed a comparare la capacità reddituale delle parti.

Preliminarmente occorre osservare che il Pubblico Ministero d’udienza ha domandato pronunciarsi l’improcedibiltà, e comunque l’inammissibilità, del ricorso, per avere il ricorrente fondato le proprie lagnanze avverso la c.t.u. espletata in corso di causa, che non ha però provveduto ad allegare alla propria produzione documentale. Questa Corte ha già chiarito, tuttavia, che “in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3 Cass. S.U., sent. 3.11.2011, n. 22726, Cass. sez. L, sent. 11.1.2016, n. 195. Occorre in proposito rilevare che risulta allegata al fascicolo processuale la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio presentata dal difensore del ricorrente, presso la cancelleria della Corte d’Appello di Roma, in data 10.6.2015. La prospettata causa di improcedibilità, pertanto, non sussiste.

Tanto premesso, il ricorso appare solo parzialmente fondato, e deve pertanto essere accolto nei limiti di ragione.

2.1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in sostanza, che la Corte d’Appello ha ritenuto di poter considerare affidabili i risultati di una consulenza ematologica i cui esiti erano invece stati sottoposti a critica nel corso del giudizio di merito.

Con riferimento alla c.t.u. merita allora di essere preliminarmente ricordato che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che l’allegazione, nel ricorso per cassazione, di un mero dissenso scientifico, che non attinga un vizio nel processo logico seguito dalla Corte territoriale, si traduce in una inammissibile domanda di revisione nel merito del convincimento del giudice (tra le molte, cfr. Cass. sez. I, sent. 9.1.2009, n. 282).

La Suprema Corte ha peraltro avuto recentemente occasione di confermare che, “in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti, onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità”, Cass. sez. 1, sent. 3.6.2016, n. 11482. A questi precisi canoni di contestazione non si è attenuto l’odierno ricorrente.

In tema di consulenza tecnica d’ufficio in materia medica, può ancora specificarsi, la parte la quale intenda proporre censure avverso l’adesione del giudice del merito alle conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico, ha l’onere di evidenziare quale sia la palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica in cui il consulente sarebbe incorso, indicando il fondamento scientifico della propria affermazione (cfr. Cass. sez. L, sent. 25.8.2005, n. 17324), potendo inoltre indicare eventuali accertamenti strumentali omessi che avrebbero invece dovuto considerarsi imprescindibili per una corretta diagnosi, anche in questo caso provvedendo ad indicare il fondamento scientifico della propria prospettazione (in senso analogo, cfr. Cass. sez. 3, sent. 18.9.2015, n. 18307). L’odierno ricorrente non ha però provveduto a simili adempimenti.

Può infine osservarsi che l’impugnante propone una lettura alternativa degli esiti della consulenza, ma non critica i risultati cui l’elaborato, e con esso la Corte d’Appello, pervengono. Il ricorrente sottolinea che ove gli elementi di incompatibilità rinvenuti tra i due soggetti in esame fossero risultati tre, avrebbe dovuto escludersi il legame biologico. Questa osservazione, però, nulla ha a che vedere con i risultati della consulenza espletata e che pure il ricorrente dichiara di voler criticare. La consulenza – invero meticolosa, e nel corso della quale l’accertamento di laboratorio è stato anche ripetuto, con diversa tecnologia – ha accertato l’esistenza di due marcatori incompatibili tra l’odierno ricorrente ed il minore. L’impugnante, però, neppure prospetta che le incompatibilità dovessero conteggiarsi in numero maggiore, oppure che, in presenza di due marcatori incompatibili, sia errato il risultato raggiunto dal Ctu, il quale ha stimato una compatibilità tra il ricorrente ed il minore invero molto elevata, il 99,98%. Neppure questo dato, cui occorre attribuire il massimo rilievo, è stato fatto oggetto di specifica critica dal ricorrente.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

2.2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente contesta, per affermata violazione di legge, che la Corte d’Appello ha ritenuto di poter condividere, ed utilizzare, i risultati di una consulenza ematologica incompleta, perchè priva di allegati relativi ad elaborazioni di terzi.

Occorre allora osservare che, pure a questo proposito, il ricorrente ha totalmente omesso di indicare mediante quale atto abbia tempestivamente proposto la contestazione in questione. Nel corso del giudizio di merito, invero, il giudice ha la possibilità di riconvocare il consulente d’ufficio per domandargli l’integrazione del proprio elaborato. Ove la parte abbia trascurato di provvedere alla richiesta di integrazione o chiarimento, non può poi contestare una carenza della consulenza, anche documentale, nel corso del giudizio di legittimità (cfr. Cass. sez. 6-1, ord. 9.9.2013, n. 20636). In proposito questa Corte ha peraltro già avuto modo di affermare che “le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicchè sono soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2 dovendo pertanto dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al deposito”, Cass. sez. 1, sent. 25.2.2014, n. 4448.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

2.3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente critica, sotto il profilo della violazione di legge, la ritenuta indebita inversione dell’onere della prova operata dalla Corte territoriale, che avrebbe domandato a lui, convenuto in una domanda di riconoscimento di paternità, di fornire la prova di quale fosse il vero padre del bambino, e non alla controparte di fornire la prova che il padre fosse proprio l’odierno ricorrente.

In particolare, l’impugnante indirizza la sua contestazione sui passaggi motivazionali in cui la Corte di merito afferma non esservi prova della conoscenza tra la controricorrente ed il fratello del ricorrente, che secondo quest’ultimo presenterebbe maggiore compatibilità biologica nei confronti del minore rispetto a lui, ed anche quello in cui la Corte territoriale afferma che potrebbe esservi nel mondo una persona che presenta una compatibilità biologica elevatissima con il bambino, ma non solo per questo potrebbe esserne considerato il genitore.

La critica sembra nascere da un equivoco nella lettura delle affermazioni della Corte territoriale, che invero non meritano censura. Il Giudice dell’appello non sostiene che competa all’odierno ricorrente fornire la prova di chi sia il padre del bambino. La Corte di merito svolge tutta la propria riflessione sul fondamento dei canoni consolidati secondo cui non è sufficiente la compatibilità biologica tra il presunto padre ed il preteso figlio per dichiarare la paternità, dovendo questo dato essere integrato mediante ulteriori elementi, tra i quali un rilievo spesso essenziale riveste la frequentazione e l’accertamento di una relazione, tra il presunto padre e la madre del bambino, nel periodo utile per il concepimento. Applicando nel caso di specie l’indicato criterio di giudizio, la Corte territoriale ha osservato riassuntivamente che “provata deve ritenersi la relazione sentimentale tra le parti, protrattasi ben oltre il tempo del concepimento, la presenza partecipativa del M. alla gestazione, il suo coinvolgimento nella scelta del nome del bambino, le sue preoccupazioni per le condizioni di salute del piccolo, la dichiarata volontà di riconoscimento”. Queste coerenti affermazioni del Giudice dell’appello non incontrano una specifica critica da parte del ricorrente.

Quest’ultimo afferma piuttosto, non rivelando il fondamento del proprio argomento, che una maggiore compatibilità biologica con il bambino la presenta suo fratello An., e la Corte di merito ha, ancora con piena coerenza, rilevato che non vi era prova neppure della mera conoscenza tra quest’uomo e la madre del bambino. Non si comprende in che cosa consisterebbe la contestata inversione dell’onere della prova. Qualora il ricorrente fosse stato in grado di dimostrare che il vero padre del bambino era persona diversa da lui, certo ne sarebbe conseguito che egli non era il padre, e di questo risultato avrebbe potuto legittimamente giovarsi. Si tratta di una facoltà legittima, che il ricorrente neppure ha inteso cercare di esercitare, ma che nulla ha a che fare con l’onere di dimostrare la paternità del ricorrente – affermata sul fondamento degli esiti dei tests ematologici e degli ulteriori, poc’anzi ricordati, elementi di riscontro e con una pretesa inversione dell’onere della prova. Anche l’affermazione della Corte di merito secondo cui è forse possibile rinvenire nel mondo un uomo che presenti una compatibilità biologica con il bambino maggiore del ricorrente, ma che non solo per questo dovrebbe esserne dichiarato padre, non importa alcuna inversione dell’onere della prova, ma riafferma la necessità che, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità, siano individuati elementi ulteriori che suffraghino l’ipotesi della paternità derivante dai tests ematologici.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

2.4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente contesta, per violazione di legge e vizio di motivazione, la decisione della Corte d’Appello per aver ritenuto provate le circostanze fondanti del giudizio come prospettate dalla controparte, senza tener conto delle circostanze ostative prospettate dal ricorrente.

In particolare il M. centra la propria critica sul rilievo che la relazione tra lui e la madre del bambino sarebbe durata solo un paio di mesi (ottobre-novembre 2005), e si tratterebbe di affermazione non contestata. Inoltre, la relazione non si sarebbe risolta in “un rapporto esclusivo”, ed anche questa affermazione non sarebbe stata contestata da controparte. In conseguenza dovrebbe ritenersi inesatta pure l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui la relazione tra le parti sarebbe durata ben oltre il concepimento, anche perchè la data del concepimento non è mai stata accertata. La Corte d’Appello avrebbe anche errato nell’avere “completamente ignorato l’esame dei contenuti della deposizione resa in data 19 gennaio 2012 dalla Dott.ssa M.T.M.”, ritenendo invece che potessero concorrere a fondare la decisione adottata “le deposizioni rese dagli amici della” odierna controricorrente.

Evidentemente il M. propone in realtà una pluralità di critiche, mescolando contestazioni di violazione di legge con altre che attengono piuttosto al vizio di motivazione. Innanzitutto invoca un’applicazione del principio di non contestazione che non appare condivisibile. Detto principio, che ha trovato esplicito riconoscimento nell’attuale formula dell’art. 115 c.p.c. e art. 416 c.p.c., comma 2, attiene ai soli fatti c.d. primari, cioè costitutivi, modificativi o estintivi, del diritto azionato (cfr. Cass. sez. L, sent. 13.9.2016, n. 17966) ed impone alla parte che ne invochi l’applicazione di specificare “le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l’altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle”, Cass. sez. 1, sent. 15.10.2014, n. 21847. Tanto premesso, il ricorrente non ha neppure allegato di avere prospettato, nella propria costituzione in giudizio, di aver avuto una relazione con la madre del bambino nel solo periodo ottobre-novembre 2015, e che tale relazione non fosse esclusiva. Allega, invero, che tali affermazioni sono contenute nella deposizione resa dal ricorrente in corso di causa (l’8.6.2011), e sostiene che successivamente la controparte non avrebbe contestato le sue dichiarazioni. Diversamente, la controparte ha articolato ampia prova testimoniale, ed i deponenti hanno affermato che la relazione ha avuto ben altra durata, tanto che il ricorrente e la madre del bambino avevano trascorso insieme una vacanza già nel luglio del 2005 (testimonianza di D.C.). Inoltre, la frequentazione è durata anche quando la madre del bambino era “evidentemente incinta” (nel (OMISSIS), cfr. testimonianza di O.N.), essendo stato deposto pure che l’odierno ricorrente, in occasione di una festa tra amici, era stato presentato come il compagno della madre del bambino, ed aveva anche partecipato alla scelta del nome del nascituro (cfr. testimonianza di S.M.), in un momento evidentemente successivo al suo concepimento. Tutte queste deposizioni non sono state fatte oggetto di specifica confutazione, neppure nel presente giudizio di legittimità. La Corte d’Appello ha ritenuto le riassunte deposizioni attendibili, con apprezzamento di fatto non censurabile in sede di giudizio di legittimità.

Neppure fondata è l’affermazione del ricorrente secondo cui sarebbe stato completamente ignorato dalla Corte territoriale l’esame della deposizione resa da M.T.M., testimone indicato dalla difesa dell’odierno ricorrente, mentre sarebbero state invece valorizzate le deposizioni rese dagli amici della madre del bambino. In realtà la Corte di merito ha compiutamente analizzato la deposizione resa dalla testimone indicata dalla difesa del ricorrente, che è peraltro la sorella di quest’ultimo, e non ne ha messo in dubbio l’attendibilità. Ha piuttosto osservato, con giudizio di fatto condivisibile e comunque non censurabile in sede di legittimità, che la testimone ha potuto offrire un contributo limitato alla ricostruzione dei fatti per cui è causa, avendo chiarito di non aver mai neppure conosciuto la madre del bambino, di aver appreso della possibile paternità solo da quanto rivelatole dal fratello nel marzo del 2006, e di essere stata presente soltanto quando lo aveva accompagnato ad accertarsi dello stato di salute del bambino, evidentemente già nato.

Il ricorrente propone pertanto una propria lettura alternativa delle risultanze delle deposizioni testimoniali, ritenendo inattendibili quelle raccolte in contrasto con la propria tesi difensiva, senza aver cura di contestarle specificamente. Non è tuttavia il giudizio di cassazione il contesto in cui è possibile proporre una simile lagnanza. La Corte di merito ha valutato le prove raccolte, non solo le testimonianze, con apprezzamento di fatto coerente e non specificamente censurato, che a questa Corte non è consentito sovvertire.

Anche la contestazione secondo cui la data del concepimento non sarebbe stata accertata appare infondata, la Corte d’Appello rileva che il bambino “è nato il (OMISSIS) alla 26 settimana di gestazione”, e questa affermazione non è stata fatta oggetto di specifica critica da parte del ricorrente.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

2.5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente contesta ancora, alla Corte d’Appello, di essere incorsa nella violazione di legge per aver determinato l’ammontare del contributo per il mantenimento del minore, posto a suo carico, in assenza di una prova adeguata circa le esigenze attuali del bambino ed in mancanza del raffronto tra le condizioni economiche delle parti.

La Corte d’Appello ha, invero sinteticamente, esposto le ragioni della propria valutazione. Ha stimato le esigenze del bambino in considerazione: del canone di locazione che la madre deve corrispondere per assicurare un alloggio a lei ed al minore, della retta dell’asilo presso cui il bambino era iscritto quando il giudizio ha avuto inizio, e delle onerose cure mediche, anche riabilitative, cui il minore, affetto da non lievi patologie (polmonite, broncodisplasia, anemia, piede equino, distacco della retina, ritardo nel linguaggio, etc.), deve costantemente sottoporsi. Ha inoltre valorizzato l’elevata condizione patrimoniale del ricorrente, che è proprietario di due fabbricati ed ha percepito negli anni dal 2011 al 2013 un reddito medio mensile netto superiore ai 7.000,00 Euro. La Corte di merito non ha mancato di sottolineare che nessun contributo al mantenimento del bambino è assicurato in forma diretta dal ricorrente, che non ha alcuna frequentazione con lui.

Deve però ricordarsi che l’art. 337-ter c.c., prevede al comma 4, n. 4, che nel determinare l’ammontare dell’assegno periodico che il genitore di un figlio nato fuori dal matrimonio deve corrispondere per il suo mantenimento occorre tener conto, tra i parametri di valutazione, delle “attuali esigenze del minore”, e delle “risorse economiche di entrambi i genitori”. Manca invero completamente, nel giudizio espresso dalla Corte territoriale, la stima dei redditi della madre ed una valutazione comparativa dei redditi percepiti dalle parti. Si osservi che, sebbene la disposizione citata sia stata introdotta dalla L. n. 154 del 2013, art. 55 la stessa è espressiva di un principio immanente nell’ordinamento, e questa Corte aveva affermato la necessità della valutazione comparativa dei redditi di entrambi i genitori, al fine della quantificazione dell’assegno dovuto per il mantenimento di un figlio nato fuori dal matrimonio, già prima dell’introduzione della norma (cfr. Cass. sez. 1, sent. 4.11.2010, n. 22506 e, ancor prima, Cass. sez. 1, sent. 6.11.2009, n. 23630). Inoltre, la valutazione espressa dalla Corte territoriale in merito alle esigenze del minore non risulta fondata su dati attualizzati.

In relazione al quinto motivo di ricorso, pertanto, le critiche proposte sono fondate, e l’impugnazione deve essere pertanto accolta.

Deve in definitiva accogliersi il quinto motivo del ricorso, ed in relazione ad esso l’impugnata decisione deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma che, riunita in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio attenendosi ai principi innanzi esposti, e provvederà pure al governo delle spese di lite relative al presente grado del giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, respinti gli ulteriori, cassa la decisione impugnata e, in relazione al motivo accolto, rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per il governo delle spese di lite del presente grado. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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