Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1520 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. U Num. 1520 Anno 2014
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14989 del Ruolo Generale degli
affari civili del 2013, proposto
DA
COMUNE DI NOLA (NA),

in persona del sindaco p.t.,

elettivamente domiciliato in Roma alla Piazza Cavour n. 17,
presso l’avv. Ferdinando Barrucco, unitamente al prof. avv.
Mario Ciancio, che lo rappresenta e difende, per procura a
1

Data pubblicazione: 27/01/2014

a

margine del ricorso notificato il 15 maggio 2007.
RICORRRENTE
CONTRO
RETE FERROVIARIA ITALIANA

(già

FERROVIE DELLO STATO),

in

appello già elettivamente domiciliato in Napoli, alla Via
Melisurgo n. 4, presso il suo difensore avv. Andrea Abbamonte.
INTIMATA

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n.
1028/2006, dell’8 febbraio – 3 aprile 2006, non notificata.
Udita, alla pubblica udienza del 14 gennaio 2014, la relazione
del Cons. dr. Fabrizio Forte e sentito l’avv. Ciancio, per il
ricorrente e il P.M., in persona del sostituto procuratore
generale dr. Maurizio Velardi, che conclude per l’accoglimento
del terzo motivo e il rigetto degli altri.
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 28 febbraio 2000, il Comune di
Nola conveniva in giudizio, davanti al locale tribunale, la
s.p.a. Ferrovie dello Stato – Società di Trasporti e Servizi (oggi Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.), perché fosse
condannata a restituire alcune aree ad esso espropriate per
costruirvi un’officina di riparazione, mai utilizzate per lo
scopo per cui erano state acquisite.
Deduceva l’ente locale che, con più decreti di espropriazione,
il Prefetto di Napoli aveva espropriato in favore dell’Azienda
autonoma Ferrovie dello Stato e per realizzare le “Officine
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persona del legale rappresentante p.t., nel giudizio di

Grandi Riparazioni di Noia”, alcuni suoi terreni, tra cui
l’area di mq. 64.249 in Nola, lungo la strada vicinale
comunale Bosco Fangone, catastalmente individuata nella P.la
5687, a F. 6, Mapp. 13, di mq. 63470, della maggiore
consistenza di mq. 66.240, e, nella stessa Particella, F. 5,

Il Comune di Noia, avendo appreso dalla stampa l’intenzione
della società espropriante di vendere le aree in precedenza
espropriate, comunicava all’allora s.p.a. Ferrovie dello Stato
la sua intenzione di avvalersi della retrocessione dei terreni
e dei fabbricati costruiti su di essi, offerti in vendita
dall’espropriante per £ 18.600.000.000, disapplicando gli
artt. 60 e 63 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 e violando il
diritto dell’espropriato di recuperare le aree non utilizzate
per le opere pubbliche per cui erano state acquisite.
L’atteggiamento inerte della convenuta espropriante aveva
imposto l’azione giudiziaria del Comune di Nola dinanzi al
locale Tribunale, per ottenere la retrocessione delle aree
oggetto d’espropriazione, rimaste inutilizzate per i fini per
i quali erano state acquisite ovvero usate per scopi diversi
da quelli originariamente previsti.
Nella citazione, l’ente locale, qualificatosi legittimato a
chiedere la retrocessione sia totale che parziale, ai sensi
degli artt. 63 e 60 della Legge 25 giugno 1865 n. 2359, per le
aree rimaste inutilizzate ovvero usate per opere divere da
quelle per cui i terreni erano stati acquisiti, proponeva
3

Mappali 2, 28 e 92 di mq. 441 e 338.

entrambe le domande al Tribunale di Noia.
Chiedeva quindi che fosse riconosciuto il suo diritto alla
restituzione di tutte le superfici acquisite dalla convenuta,
sia quelle sulle quali era mancata la costruzione dell’opera
per cui erano state espropriate e vi era stata la decadenza

parte occupate dalle opere per cui erano state acquisite.
Costituitasi in giudizio, la s.p.a. Ferrovie dello Stato
eccepiva, sulla domanda dell’ente locale, il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario a favore di quello
amministrativo, ai sensi dell’art. 34 del D. Lgs. 31 marzo
1998 n. 80 e l’incompetenza territoriale del giudice adito,
dovendo conoscere della causa il Tribunale di Roma; deduceva
poi il difetto di legittimazione attiva del Comune di Nola,
che non aveva provato di essere proprietario delle aree quando
furono espropriate e quello della sua legittimazione passiva,
per essere stata beneficiaria dell’acquisizione l’Azienda
autonoma Ferrovie dello Stato e la società evocata in causa.
Era poi dedotta dalla convenuta l’inammissibilità della
domanda, perché non era chiaro se il comune di Noia agisse ai
sensi dell’art. 60 o dell’art. 63 della legge n. 2359 del
1865, cioè per recuperare le aree rimaste libere dopo
l’esecuzione delle opere per cui erano state espropriate
ovvero per riavere tutte le superfici oggetto del procedimento
ablatorio a causa della decadenza della dichiarazione di
pubblica utilità per il decorso dei termini di cui all’art. 13
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dalla dichiarazione di pubblica utilità, che le altre solo in

della legge generale sull’espropriazione, essendosi eseguito
nei termini che precedono solo parte del progetto che doveva
realizzarsi.
La società convenuta eccepiva pure la prescrizione del diritto
dell’attore e l’infondatezza, in fatto e in diritto, della

caso di accoglimento dell’avversa domanda, il Comune di Noia
fosse condannato a pagarle, ai sensi dell’art. 2041 c.c.,
l’indebito arricchimento fruito con l’acquisizione delle opere
realizzate sul suolo retrocesso.
Sulla domanda di retrocessione totale e/o parziale del comune,
il Tribunale di Nola dichiarava il suo difetto di
giurisdizione, con sentenza del 22 novembre 2001, ai sensi
degli artt. 18 e 34 del citato Decreto legislativo n. 80 del
1998, che attribuiva al giudice amministrativo la cognizione
di tutte le cause non pendenti al 30 giugno 1998 in materia
urbanistica e edilizia, salvo quelle sulla determinazione e
corresponsione delle indennità dovute.
LO stesso tribunale affermava che l’art. 34 del D. Lgs. n. 80
del 1998 era stato confermato dall’art. 3, comma 7, della
legge n. 205 del 2000 e dal D.P.R. 8 giugno 2001 n. 321 (T.U.
sull’espropriazione per pubblica utilità), per cui sulla
retrocessione oggetto della domanda, qualificata dall’attore
parziale, la cognizione spettava al giudice amministrativo.
Con il suo appello notificato il 3 gennaio 2003, il Comune di
Nola deduceva che il tribunale adito aveva dichiarato il suo
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domanda dell’ente locale, chiedendo, in subordine, che, in

difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 34 del D. Lgs. n.
80 del 1998, come riformulato dall’art. 7 della Legge n. 205
del 2000, senza tener presente la pendenza della questione di
legittimità costituzionale sollevata in ordine a tale norma.
L’appellante deduceva che nel caso si versava in una

espropriata, sulla quale solo il giudice ordinario aveva
poteri cognitivi e comunque chiedeva di sospendere il giudizio
fino all’esito della decisione della Corte costituzionale sul
richiamato art. 34 del decreto del 1998.
In secondo grado la Rete Ferroviaria Italiana, succeduta
all’originaria convenuta, confermava che, a suo avviso,
sussisteva la giurisdizione del giudice amministrativo,
qualificando la sua domanda di retrocessione parziale.
La Corte d’appello, rinviata la causa in attesa che fosse
definita la questione di legittimità costituzionale dell’art.
34 del D. Lgs. n. 80 del 1998, dichiarato illegittimo con
sentenza del giudice delle leggi n. 281 del 4 agosto 2004 per
eccesso di delega, con la sentenza oggetto del presente
ricorso, n. 1028, dell’8 febbraio – 3 aprile 2006, ha respinto
l’appello del Comune di Nola, compensando interamente tra le
parti le spese del grado.
La pronuncia era basata sulla disciplina legale del riparto di
giurisdizione precedente all’emanazione del D. Lgs. n. 80 del
1998 applicabile ratione temporis, ritenendo la Corte di
merito che nessun rilievo poteva avere nel caso l’art. 3 della
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fattispecie di retrocessione totale e non parziale dell’area

legge n. 205 del 2000, entrata in vigore successivamente alla
instaurazione del giudizio di primo grado, data la irrilevanza
dei mutamenti della disciplina legale della giurisdizione
sopravvenuti alla domanda, ai sensi dell’art. 5 c.p.c.
Affermava la Corte di merito che l’opera pubblica per la quale

quindi doveva respingersi il gravame, per non esservi il
“diritto” alla retrocessione dell’espropriato Comune di Noia,
titolare solo di “interessi legittimi” a un provvedimento
amministrativo che, sul presupposto della inservibilità delle
aree rimaste libere, dichiarasse il diritto dell’espropriato
alla loro restituzione.
In difetto di tale atto dell’espropriante o del beneficiario
dell’ablazione, la posizione soggettiva dell’espropriato
rimaneva di interesse legittimo, con ogni conseguenza di tale
qualifica sul piano della individuazione del giudice avente
cognizione sulla domanda.
Rilevava la Corte napoletana che la fattispecie era peculiare,
perché nel caso l’opera pubblica a base dell’espropriazione
era stata eseguita, sia pure al rustico, e aveva occupato solo
una parte delle superfici acquisite, con la conseguenza che
non poteva domandarsi la retrocessione totale, dovendosi
applicare l’art. 60 della L. n. 2359 del 1865, che imponeva
l’emissione di un provvedimento dell’amministrazione, che
disponesse la restituzione.
Tale non era l’atto con il quale la società Ferrovie dello
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si era disposta l’espropriazione nel caso era stata eseguita e

Stato aveva offerto in vendita le arre espropriate con il
manufatto realizzato sulle stesse, perché da tale offerta non
emergeva la volontà dell’espropriante di restituire le aree ai
precedenti proprietari, con la conseguenza che la domanda del
Comune di Noia doveva ritenersi tendere alla tutela di meri

competeva al solo giudice amministrativo, con compensazione
totale delle spese del grado di giudizio tra le parti.
Per la cassazione della sentenza che precede della Corte
d’appello di Napoli, il Comune di Noia ha proposto ricorso
articolato in tre motivi e notificato alla Rete Ferroviaria
Italiana il 15 maggio 2007, cui quest’ultima non resiste.
Motivi della decisione
1.1. Il primo motivo del ricorso lamenta violazione dell’art.
360, l ° coma, n. 5, c.p.c. per insufficiente motivazione sul
fatto decisivo della costruzione dell’opera pubblica per la
quale si era disposta l’espropriazione e dell’art. 360, stesso
comma, n.ri 3 e 5, del c.p.c., per essersi disapplicati gli
artt. 60, 61 e 63 della legge n. 2359 del 25 giugno 1865.
La Corte d’appello, con la sentenza oggetto di ricorso,
ritiene incontestato che, nella fattispecie, sul suolo del
ricorrente sia stata eseguita l’opera per la quale si era
pronunciata l’espropriazione, identificando la stessa in un
manufatto intonacato al rustico che, a suo avviso, costituiva
“il complesso denominato ” da qualificare come l’opera per la quale vi era stato
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interessi legittimi e che la giurisdizione su di essa

il procedimento ablatorio, “eseguita, sia pure con una
consistenza limitata rispetto a quella prevista nel progetto
originario”.
Secondo l’ente locale ricorrente, sussiste il suo diritto alla
retrocessione totale, per non essersi eseguita l’opera per la

aveva solo stravolto l’assetto del terreno occupato,
modificandone la conformazione, senza poter essere destinata
alle “Officine Grandi riparazioni” per realizzare le quali
l’area era stata acquisita dalla dante causa dell’intimata.
Il quesito conclusivo del primo motivo di ricorso chiede a
questa Corte di affermare che il dritto alla retrocessione
totale sorge per l’espropriato, non solo quando l’opera
pubblica per cui si è proceduto all’espropriazione non sia
realizzata, ma anche quando della stessa si siano costruite le
sole strutture portanti al rustico ovvero un manufatto non
utilizzabile per il fine per cui ‘area era stata acquisita.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso il Comune di Nola deduce
la insufficienza motivazionale della sentenza della Corte di
merito in ordine alla coincidenza tra la costruzione eseguita
sull’area espropriata e il progetto di essa, in rapporto alla
cui pubblica utilità era avvenuta l’acquisizione.
In tal modo si erano violate le norme sulla retrocessione,
cioè gli artt. 60, 61 e 63 della legge n. 2359 del 1865, i cui
presupposti di fatto erano stati negati dalla Corte napoletana
che aveva affermato che vi era stata la realizzazione
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quale era avvenuto l’espropriazione, ma un’opera diversa, che

dell’opera pubblica a base dell’espropriazione, pur se di
consistenza minore, rispetto a quella in progetto.
Per il ricorrente invece non si era realizzata la Officina
Grandi riparazioni per la quale era stata disposta
l’espropriazione, per cui l’ente locale aveva diritto alla

denegato ritenendo irrilevante, “in contrario, il fatto che,
dopo l’ esecuzione dell’opera, l’espropriante abbia deciso di
porla in vendita” (così testualmente alla penultima pagina
della decisione oggetto di ricorso), negando che oggetto della
domanda fosse una retrocessione totale.
1.3. Della sentenza di merito è in terzo luogo domandata dal
Comune di Noia la cassazione, per violazione e disapplicazione
degli articoli 360, n.ri l e 3, c.p.c., e degli artt. 60, 61 e
63 della L. n. 2359 del 1865 sull’espropriazione.
La Corte d’appello ha ritenuto che la stessa messa in vendita
dell’opera realizzata dopo l’espropriazione costituiva una
forma di utilizzazione del bene acquisito e ostava alla
retrocessione totale chiesta dall’ente locale, senza rilevare
che l’uso delle aree espropriate per fini diversi da quelli
per cui avvenne poi l’espropriazione, integra la fattispecie
dell’art. 63 della L. n. 2359 del 1865, che comporta un
diritto alla retrocessione totale.
La mancata utilizzazione dell’area per il fine per cui fu
espropriata ovvero l’uso di essa per un fine diverso da quello
a fondamento dell’espropriazione, dà diritto all’espropriato
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restituzione delle aree acquisite che la Corte d’appello aveva

di chiedere la retrocessione e una lettura diversa delle norme
comporterebbe un contrasto di queste, con gli artt. 3 e 42
Cost., consentendo all’espropriante di abusare della proprietà
dei privati e di destinare gli immobili acquisiti per un fine
di pubblica utilità poi non realizzato.

a quello previsto nel decreto di esproprio da parte dell’
espropriante, deve riconoscersi all’espropriato il diritto
alla retrocessione del bene acquisito, ad evitare abusi del
beneficiario del procedimento, che appaiono chiari allorché,
come nel caso di specie, l’opera realizzata è stata posta in
vendita, senza essere utilizzata per lo scopo per cui fu
costruita.
In tal caso andava riconosciuto all’espropriato il diritto
alla retrocessione delle aree fatte proprie dalla Rete
Ferroviaria Italiana e rimaste inutilizzate.
2.1. La domanda del Comune di Nola di restituzione dei terreni
ad esso espropriati in base al cui oggetto va decisa la
giurisdizione, ai sensi dell’art. 386 c.p.c., si fonda sulla
esecuzione solo parziale delle opere per cui era avvenuta
l’espropriazione, rimaste incontestatamente allo stato rustico
poste in vendita dalla intimata, senza essere completate.
Tale domanda ha quindi come petitum una retrocessione che
l’ente locale qualifica “totale”, anche se emerge dall’atto
introduttivo del giudizio che vi era stata la realizzazione
d’una costruzione incompleta con funzione incerta, e che
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Anche nel caso di uso diverso delle aree espropriate rispetto

quindi la superfice espropriata non era libera.
L’area acquisita non era stata utilizzata per costruirvi
l’opera che avrebbe attuato il fine di pubblica utilità per
cui i terreni erano stati acquisiti, cioè l’Officina Grandi
riparazioni, ma una diversa costruzione che aveva lasciato

domanda aveva ad oggetto entrambi i tipi di retrocessione.
Per tale fattispecie, questa Corte ha già affermato: “In tema
di retrocessione di beni espropriati, dopo l’introduzione
della giurisdizione esclusiva in materia urbanistica ed
edilizia dall’art. 34 del D. Lgs. n. 80 del 1998 e prima
dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, il criterio
di riparto della giurisdizione fondato sulla posizione
soggettiva in concreto azionata (diritto o interesse
legittimo), che assegna al giudice ordinario la domanda di
retrocessione totale ex art. 63 della L. n. 2359 del 1865 e
al giudice amministrativo quella di retrocessione parziale
anteriore alla dichiarazione di ínservibilità di cui agli art.
60 e 61 della legge n. 2359 del 1865, si applica solo se
ciascuna domanda sia autonomamente proposta. Qualora le due
domande siano proposte congiuntamente o alternativamente,
trovano applicazione i principi di logica processuale, per
cui, nelle materie di giurisdizione esclusiva, la decisione su
più cause unite e/o strettamente connesse aventi ad oggetto,
in astratto, diritti e interessi legittimi, spetta al giudice
amministrativo, che, dato il suo potere di conoscere entrambe
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inutilizzate parti delle aree e per il Comune di Noia, la sua

tali posizioni soggettive, ha competenze più ampie di quelle
del giudice ordinario di regola limitate ai diritti. In tal
caso, logicamente prioritaria è la verifica dei presupposti
della retrocessione parziale, ovverosia dell’avvenuta
realizzazione, anche parziale, dell’opera pubblica, in

relativa domanda, deve estendere l’accertamento all’esistenza
del diritto alla retrocessione totale, pronunciando anche
sulle indennità e/o sul risarcimento dovuti per tale
utilizzazione del bene, ex art. 35 del citato D. Lgs. n. 80
del 1998” (così S.U. 24 giugno 2009 n. 14805).
Nella fattispecie, ad avviso della Corte d’appello, l’offerta
in vendita del complesso realizzato sul suolo espropriato ad
opera dell’intimata società Ferrovie dello Stato per un prezzo
di L.

18.500.000.000, prova con chiarezza la mancata

utilizzazione delle aree per i fini per cui erano state
acquisite e legittima l’espropriato ad agire in retrocessione,
ai sensi degli artt. 60 e 63 della L. n. 2359 del 1865.
La domanda fu proposta dal Comune di Noia in via principale
come azione di retrocessione “totale”, per non avere la
espropriante utilizzato i terreni acquisiti per costruirvi
l’Officina per la quale aveva proceduto all’acquisizione.
L’esercizio del diritto alla retrocessione totale presuppone,
secondo il ricorrente, “un valido ed efficace decreto di
espropriazione,

che non viene caducato per effetto

dell’esercizio della pretesa retrocessoria
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(così Cass.

mancanza della quale il giudice amministrativo, rigettata la

11.11.2003 n. 16904) e_ quindi si verte in tema di diritti
patrimoniali…” conseguenziali all’ “esercizio di un pubblico
potere da parte della P.A., concretizzatosi in una espressa
manifestazione di volontà, la cui cognizione è sottratta alla
giurisdizione del giudice ordinario” (in tal senso, con la

giugno 2013 n. 15859).
Il ricorrente afferma però di avere sin dall’origine chiesto
la delle aree espropriate, in quanto
la domanda di restituzione aveva ad oggetto un’area acquisita
dalla Rete Ferroviaria Italiana in funzione di un’opera
pubblica mai realizzata, per cui la fattispecie era da
ritenersi rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 63 della L.
n. 2359 del 1865, norma per cui non occorre la dichiarazione
dell’espropriante di inservibilità delle aree per l’interesse
pubblico a base del procedimento espropriativo.
Confermando un orientamento costante delle sezioni unite della
cassazione, la Corte d’appello ha affermato che la presente
controversia in materia di retrocessione non rientra tra
quelle di cui all’art. 63 L. n. 2359 del 1865 già devolute
all’autorità giudiziaria ordinaria (S.U. 8 giugno 1998 n.
5619), perché la norma presuppone la mancata esecuzione dell’
opera a base dell’ablazione che, invece, nel caso vi era
stata, sia pure incompleta.
L’area acquisita era stata posta in vendita e la costruzione
su essa realizzata mai era stata utilizzata come officina per
14

sentenza da ultimo citata, cfr. pure la recente Cass. ord. 25

le riparazioni, cioè per

il fine per cui era stata

espropriata all’ente locale (per una fattispecie analoga cfr.
S.U. 31 maggio 2011 n. 11963).
Quando vi è stata una costruzione realizzata dopo l’esproprio,
in passato occorreva un provvedimento dell’espropriante che ne

ablatorio, per procedere a restituire le aree espropriate e
quindi si verteva in un’ipotesi di tutela d’interessi
legittimi.
Ancora oggi, quando la causa non riguarda una retrocessione
totale cui l’espropriato ha diritto e che opera senza
necessità di provvedimenti dell’espropriante che consentano di
procedere a tale restituzione, la controversia non può che
essere riservata alla giurisdizione ordinaria, come previsto
dall’art. 63 della Legge n. 2359 del 1865.
Nel caso è irrilevante un provvedimento della P.A. che
dichiari la inservibilità dell’opera costruita atto che non è
necessario anche nel caso in cui sia realizzata un’opera
diversa da quella per cui avvenne l’esproprio, come invece
afferma la Corte d’appello nella sentenza oggetto di ricorso.
La posizione soggettiva dell’espropriato a ottenere la
restituzione del bene in tal caso non costituisce diritto
soggettivo, ma interesse legittimo come esattamente deciso
dalla sentenza oggetto di ricorso.
Il primo motivo del ricorso deve rigettarsi, dovendosi
ritenere che nella fattispecie ricorra un caso assimilabile a
15

affermi la l’inservibilità per i fini di cui al procedimento

quello della retrocessione parziale, cui l’interessato ha solo
un interesse legittimo e non un diritto (nello stesso senso
per casi analoghi cfr. S.U. 31 maggio 2011 n. 11963, S.U. 11
novembre 2009 m. 23823 e 24 giugno 2009 n. 14805 e la
giurisprudenza amministrativa, tra cui T.a.r. Lazio, Sez.

2006 n. 1916, T.A.R. Puglia, sez. IL 6 giugno 2005 n. 2742 e
T.A.R. Basilicata 21 dicembre 2004 n. 839).
Nel caso invece di retrocessione totale nella quale
l’espropriato è titolare di un diritto soggettivo alla
restituzione del bene espropriato per la mancata realizzazione
dell’opera per cui l’ablazione è avvenuta, non sussistono
interessi legittimi da tutelare ma solo diritti soggettivi,
sui quali deve decidere il giudice ordinario.
Nella fattispecie concreta, nella quale è stata realizzata
un’opera sul terreno espropriato diversa da quella per cui era
avvenuta l’espropriazione, ai sensi dell’art. 103 della Cost.
e della sentenza della C. Cost. del 14 luglio 2004 n. 204, non
è configurabile in astratto che la giurisdizione del giudice
amministrativo.
2.2. Con il ricorso si afferma l’erroneità della denegata
giurisdizione del giudice ordinario dalla sentenza impugnata,
per avere erroneamente parificato la mancata costruzione dell’
opera pubblica per cui l’area era stata acquisita, alla omessa
utilizzazione della stessa, con l’opera realizzata per il fine
posto a base del procedimento espropriativo.
16

Latina, 12 marzo 2007 n. 172, T.A.R. Lazio, Sez. II, 13 marzo

Appare chiaro che, in entrambi i casi, il suolo espropriato
non è stato usato per la pubblica utilità dichiarata a
fondamento dell’atto ablatorio e esattamente si è ritenuto
necessario in entrambi i casi, un provvedimento dell’
espropriante che accerti la inservibilità dell’opera

all’ablazione, rispetto al quale il privato ha solo interessi
legittimi su cui non può che pronunciarsi il G.A., come
esattamente deciso dalla sentenza oggetto di ricorso.
Non è applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis
la disciplina della retrocessione di cui agli artt. da 46 a 48
del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, come poi modificato, le cui
disposizioni non si applicano “ai progetti per i quali, alla
data di entrata in vigore dello stesso decreto”, cioè ai sensi
dell’art. 59 dello stesso D.P.R., al 30 giugno 2003, già “sia
intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità”, come è
avvenuto nella fattispecie.
Per la risoluzione della questione di giurisdizione, in base
alla normativa precedente al T.U. sulla espropriazione del
2003, ratione temporis inapplicabile, occorreva invece
valutare, alla luce della domanda e del suo titolo, quale
giudice dovesse decidere su di essa, secondo che la tutela
chiesta riguardasse diritti soggettivi o interessi legititmi.
La retrocessione “totale”, di cui all’art. 63 della legge n.
2359 del 1865, si attuava allorché, “fatta la espropriazione”,
l’opera di cui si fosse dichiarata la pubblica utilità non si
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realizzata per attuare il fine per cui s’era proceduto

fosse eseguita e fossero “trascorsi i termini a tal uopo
concessi o prorogati”.
In tal caso, gli espropriati erano legittimati a chiedere
“all’autorità giudiziaria competente” di accertare la
cessazione di efficacia (la norma parla di «decadenza»)

restituzione agli istanti dei beni espropriati, “mediante il
pagamento”, da costoro, del prezzo degli stessi, che il
giudice adito doveva liquidare (le parole tra virgolette sono
riprese testualmente dalla norma di cui sopra).
Questa Corte a sezioni unite ha affermato, come già rilevatio,
in fattispecie di tale tipo nelle quali la domanda
introduttiva del giudizio era anteriore alla vigenza del D.
Lgs. n. 80 del 1998, a differenza del caso di specie in cui la
citazione davanti al Tribunale di Noia è del 2000, la
giurisdizione del giudice ordinario, ritenendo sussistere un
diritto alla retrocessione totale (così S.U. 5 giugno 2008 n.
14826, 8 marzo 2006 n. 4894, 6 marzo 2003 n. 9072, 13 luglio
2001 n. 9542).
Tale diritto sorgeva per effetto automatico della omessa
realizzazione dell’opera per la quale le aree erano state
espropriate e non v’era necessità della valutazione
discrezionale dell’espropriante circa la utilizzabilità delle
aree e delle opere su esse costruite, per procedere alla
retrocessione, essendo l’amministrazione tenuta comunque a
restituire i beni non utilizzati per la finalità di interesse
18

della dichiarazione di pubblica utilità e di ordinare la

pubblico per cui era stata disposta l’acquisizione.
Si è quindi affermato, nella previgente disciplina, non
innovata sul punto dall’art. 46 del D.P.R. n. 327 del 2001,
che, nella retrocessione totale, gli espropriati sono titolari
di uno jus ad rem di carattere potestativo e a contenuto

giudice ordinario l’accertamento dell’intervenuta decorrenza
dei termini di costruzione delle opere e dei lavori e di
quelli di espletamento della procedura espropriativa (artt. 13
e 14 della legge n. 2359 del 1865), come risultanti dalla
dichiarazione di pubblica utilità e tenuti a disporre la
restituzione dei beni acquisiti all’espropriato che la chieda.
Si ha invece retrocessione “parziale” o amministrativa, quando
assuma rilievo la volontà della P.A. sulla richiesta di
restituzione, nei casi di cui agli artt. 60 e 61 della legge
n.

2359 del 1865 e all’art.

47 del novellato T.U.

sull’espropriazione del 2001, allorché cioè, dopo l’esecuzione
totale o parziale dell’opera pubblica per la quale sono
avvenute l’espropriazione o la cessione volontaria, alcune
solo delle aree acquisite siano state destinate a detta opera,
rimanendo nel resto inutilizzate.
Per tali terreni, può ancora essere esercitato un potere del
beneficiario dell’espropriazione, che deve manifestare la sua
valutazione discrezionale a favore di un eventuale uso
alternativo delle aree non destinate all’opera in origine
prevista sull’area espropriata, per cui tali beni possono
19

patrimoniale, per il quale sono legittimati a domandare al

restituirsi agli espropriati, se l’espropriante ne abbia
“formalmente” dichiarato la inservibilità per i fini per i
quali furono oggetto di ablazione (così le cit. S.U. n. 14826
del 2008 e le sentenze di questa Corte sopra richiamate)
ovvero autorizzi la restituzione.

domanda di restituzione, corrisponde un interesse legittimo a
quest’ultima per l’espropriato, posizione soggettiva sulla
quale ha cognizione il giudice amministrativo.
In quanto l’autorità giudiziaria non può sostituirsi alla P.A.
nel valutare la utilizzabilità dei beni rimasti liberi o
occupati da opere diverse da quelle di cui alla dichiarazione
di pubblica utilità, la restituzione è subordinata ad una
manifestazione di volontà della stessa amministrazione,
costituente valutazione discrezionale e esercizio di poteri di
essa, che può essere valutata solo dal giudice amministrativo.
L’espropriato, nella retrocessione parziale, è quindi titolare
di un interesse legittimo, tutelabile solto davanti al giudice
amministrativo (S.U. 7 agosto 2001 n. 10894 e tutte le
sentenze successive citate).
In tale contesto normativo e giurisprudenziale, è entrato in
vigore l’art. 34 del D. Lgs. n. 80 del 1998, come modificato
dalla legge n. 205 del 2000, che ha riservato al giudice
amministrativo la cognizione di tutti “gli atti, i
provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni
pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia
20

A tale potere della P.A., da esercitare a seguito della

urbanistica ed edilizia”, concernente cioè “tutti gli aspetti
dell’uso del territorio”, precisando che nulla è innovato in
ordine alla determinazione da parte del giudice ordinario
delle indennità conseguenti alla adozione di atti di natura
espropriativa o ablativa.

dell’art. 48 del D.P.R. n. 327 del 2001, che ha riservato al
giudice ordinario la determinazione del prezzo della
retrocessione, sia parziale che totale, non più imponendo la
dichiarazione d’inservibilità delle aree da parte del
beneficiario dell’atto ablativo, ma regolando solo l’eventuale
esercizio del diritto di prelazione da parte dei comuni nel
cui territorio sono le aree espropriate, per acquisire le
stesse al prezzo concordato o fissato dal giudice per la
retrocessione.
In sostanza, ogni volta che l’opera pubblica da costruire sia
diversa da quella per cui avvenne l’acquisizione, come nella
specie,

assumono rilievo solo gli interessi legittimi

dell’espropriato alla retrocessione, alla quale non si ha
diritto anche quando l’espropriato sia, come nella concreta
fattispecie, lo stesso ente locale, cui è riservata la
indicata prelazione.
Deve quindi negarsi che nella fattispecie la situazione
soggettiva del comune di Nola corrisponda a quella di diritto
pieno invece che a quella di interesse legittimo e affermarsi
che anche per tale profilo la cognizione della causa era del
21

Coerente a tale principio normativo è stata la disciplina

giudice amministrativo.
2.3. Il caso di specie non è inquadrabile in quelli in cui sia
chiesta la restituzione di aree inutilizzate e solo occupate
in parte per causa di pubblica utilità ma non espropriate, in
quanto in queste fattispecie, v’è solo un comportamento

comunque interessi legittimi e correttamente s’è riconosciuta
la giurisdizione del giudice amministrativo su tali domande di
restituzione di aree di terreni espropriati, rimaste
inutilizzate per i fini per cui furono acquisite.
Tali domande sono da leggere come richieste di reintegrazione
in forma specifica della proprietà lesa dalla illecita
detenzione dei beni dopo la cessazione del periodo di
occupazione legittima (S.U. 20 marzo 2008 n. 7442 e la recente
citata ordinanza delle S.U. n. 15859 del 2013).
E’ quindi palese che anche il terzo motivo di ricorso è
infondato, non potendo aversi un diritto alla retrocessione
per la sola mancata utilizzazione del terreno per i fini per
cui esso era stato espropriato, una volta che una
utilizzazione comunque vi era stata da parte della P.A., che
non aveva dichiarato l’inservibilità dell’opera da essa
realizzata sulle aree oggetto del procedimento ablatorio.
Alla necessità di tale dichiarazione consegue la esistenza di
meri interessi legittimi dell’espropriato, in quanto la stessa
è il presupposto della restituzione che non segue alla mera
richiesta dell’espropriato, derivando da accertamenti della
22

collegato ad una procedura espropriativa, in cui sono in gioco

P.A. delle situazioni soggettive di cui deve conoscere il solo
giudice amministrativo.
Deve quindi rigettarsi anche il terzo motivo di ricorso che si
fonda su un preteso “diritto” alla restituzione delle aree,
inesistente per il mero fatto di una utilizzazione di esse

alla dichiarazione di pubblica utilità.
Ha invero comunque natura di interesse legittimo, nella
concreta fattispecie, la posizione soggettiva dell’attore in
retrocessione, versandosi in un caso di area espropriata e
utilizzata per un fine diverso da quello per cui era stata
acquisita dalla P.A.
4. In conclusione, va quindi confermato quanto affermato da
queste Sezioni unite con la sentenza n. 14805 del 2009 per la
quale quando siano proposte, dopo l’espropriazione di un’area,
due azioni congiunte o alternative dall’espropriato, di
retrocessione totale per la parte delle superfici acquisite
rimasta inutilizzata e parziale per quella su cui si sia
realizzata un’opera di pubblica utilità diversa da quella per
cui si era proceduto all’esproprio, la giurisdizione esclusiva
in materia urbanistico-edilizia di cui all’art. 34 del D.P.R.
n. 327 del 2001 comporta che solo il giudice amministrativo
deve conoscere delle due domande, in quanto la sua
giurisdizione esclusiva nella materia gli consente di decidere
su interessi legittimi e diritti soggettivi.
Il ricorso del Comune di Nola deve quindi rigettarsi, e va
23

dall’espropriante per fini pubblici diversi da quelli di cui

confermata la impugnata sentenza della Corte d’appello
napoletana che ha correttamente dichiarato la giurisdizione
del giudice amministrativo su entrambe le domande del Comune
di Nola, di retrocessione delle aree a questo espropriate e
non utilizzate per l’opera per cui la espropriazione era stata

Nulla dovrà corrispondersi per le spese del giudizio di
cassazione alla intimata Rete Ferroviaria Italiana, che non si
è difesa nel presente grado di legittimità né sussistono i
presupposti per l’applicazione dell’art. 1, comma 17 della
legge 24 dicembre 2012 n. 228, in materia di contributo
unificato, essendo stato il ricorso proposto prima
dell’entrata in vigore di tale legge.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del
giudice amministrativo sulla domanda proposta dal ricorrente
nei confronti dell’intimata.
Così deciso nella camera di consiglio delle sezioni uniti
civili della Corte di Cassazione il 14 gennaio 2014.

disposta.

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