Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1520 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. I, 23/01/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33522/2018 proposto da:

S.E., elett.te domic. presso l’avv. Emiliano Benzi, rappres. e

difeso dall’avv. Alessandra Ballerini, con procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappres. e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova, depositata il

9/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 dal Cons. rel., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza del 9.4.18, la Corte d’appello di Genova rigettò l’appello e proposto da S.E., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Genova, che aveva respinto il ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria, rilevando l’inattendibilità del racconto del ricorrente, privo di riscontri, lacunoso e contraddittorio, e l’insussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria ed umanitaria.

La Corte d’appello, in particolare, osservò: che il ricorrente non aveva allegato specifiche situazioni integranti i presupposti della protezione internazionale e sussidiaria; era da escludere che in Gambia sussistesse una situazione di violenza indiscriminata e che fossero state allegate specifiche situazioni di vulnerabilità.

Lo E. ricorre in cassazione con un unico motivo.

Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

Con l’unico motivo è denunziata la violazione dell’art. 2 Cost., art. 11 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici delle NU del 1966, art. 5, comma 6, del TU Imm., D.P.R. n. 399 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c ter, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 e art. 19 TU Imm. e omesso esame della domanda di protezione umanitaria.

Al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte d’appello: non abbia correttamente applicato il suddetto art. 11 del TU Imm., che legittima il permesso di soggiorno nel caso di “oggettive e gravi situazioni personali del ricorrente”, legate all’impossibilità dell’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, senza alcun legame causale con il Paese d’origine; non abbia tenuto conto del percorso d’integrazione compiuto e della sproporzione tra i due contesti di vita (rispetto al Paese di provenienza); non abbia considerato il transito in Libia e non abbia acquisito informazioni sulla sussistenza di motivi umanitari.

Il motivo è inammissibile per la mancata allegazione di specifiche situazioni integranti i presupposti della protezione umanitaria, avendo il ricorrente addotto generiche doglianze sulla situazione della Nigeria. Invero, il motivo investe genericamente anche l’omesso espletamento dei poteri istruttori sulla situazione socio-politica della Nigeria, senza tuttavia contenere una chiara censura della motivazione della Corte territoriale in ordine all’assunzione d’informazioni sulla suddetta questione.

Quanto alla dedotta sproporzione tra le condizioni del contesto sociale in Nigeria e quello in Italia, va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass., n. 3681/19; n. 27336/18).

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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