Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15199 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 20/06/2017, (ud. 11/04/2017, dep.20/06/2017),  n. 15199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1876/2014 R.G. proposto da:

T.L., rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Mussi,

Roberto Pagliuca e Fabrizio Dionisio, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, viale Mazzini, n. 6, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CASSA DI RISPARMIO DI CARRARA S.P.A. E PER ESSA DALLA MANDATARIA

BANCA CARIGE S.P.A. – CASSA DI RISPARMIO DI GENOVA E IMPERIA,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Maria Grazia Marchese e Camillo

Ungari Trasatti, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Arno, n. 88, giusta procura in calce alla

copia notificata del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1199/12

depositata il 26 novembre 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11 aprile 2017

dal Consigliere Paolo Fraulini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Ceroni Francesca, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso;

udito l’avv. Camillo Ungari Trasatti Per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Genova, in parziale accoglimento dell’appello della CASSA DI RISPARMIO DI CARRARA S.P.A. ha respinto le domande formulate da T.L., aventi ad oggetto la declaratoria di illegittimo addebito di varie somme sul conto corrente acceso presso il citato istituto di credito e il risarcimento del relativo danno.

2. Il giudice di appello ha affermato che il termine decadenziale di sei mesi pattuito per la contestazione delle annotazioni sul conto fosse posto solo a carico del cliente e non anche, come invece erroneamente affermato dal giudice di prime cure, della banca; che una deroga pattizia al regime dell’art. 1832 c.c. fosse lecita; che la doppia sottoscrizione ad opera della correntista della clausola contrattuale che tale temine prevedeva e la circostanza che la T. avesse operato come correntista sempre in riferimento alla propria qualità di imprenditore e non di consumatore, rendeva la clausola estranea ad ogni sanzione di nullità per vessatorietà; che, non avendo la correntista mai allegato che i pagamenti delle fatture commerciali effettuati dalla banca fossero in qualche modo viziati, ne derivava la legittimità dell’annotazione in conto corrente dei relativi importi a debito; che inoltre andava restituito un ulteriore importo di originarie Lire 16.594.080, poichè oggetto di domanda nuova in primo grado poichè introdotta dopo il maturare della relativa preclusione ex art. 184 c.p.c.; che conseguentemente era da respingere anche la domanda di risarcimento del danno da illegittima annotazione. Ha poi respinto la domanda della banca avente per oggetto la restituzione dell’importo annotato sul conto relativamente ai tre pagamenti contestati.

1. Avverso tale sentenza T.L. ricorre con due motivi, resistiti da CASSA DI RISPARMIO DI CARRARA S.P.A. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta:

1.1. Primo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1370 c.c. in relazione all’art. 1832 c.c.; omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti” deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui avrebbe indebitamente concluso per l’applicabilità del termine decadenziale di sei mesi al solo correntista, omettendo di considerare che nessuna clausola privava il correntista del diritto di far valere la medesima decadenza anche nei confronti della banca, essendo erronea l’interpretazione dell’art. 8, comma 2 del contratto di conto corrente fornita dal giudice di appello in relazione alla rilevanza del termine.

1.2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c.” deducendo l’erroneità della sentenza laddove ha dichiarato inammissibile perchè tardiva la domanda avente per oggetto l’ulteriore addebito di Lire 16.594.080, posto che tale evento si sarebbe verificato in data 6 novembre 2000, dopo la scadenza del termine per il deposito della memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, di talchè vi sarebbe stato un semplice e giustificato ampliamento oggettivo dell’originaria domanda.

2. Il ricorso è infondato.

1.1. Il primo motivo è infondato nella parte in cui lamenta una violazione dei criteri ermeneutici previsti dall’art. 1370 c.c. con riferimento all’interpretazione dell’art. 8, comma 2 del contratto di apertura di conto corrente; la corte territoriale ha argomentato la ritenuta diversità soggettiva dei destinatari dei due termini (quello decadenziale di sei mesi per il solo cliente, quello prescrizionale per la sola banca), fornendo all’uopo una motivazione pertinente e congrua con riferimento al tenore letterale della disposizione e al significato complessivo della clausola in riferimento agli interessi delle parti, in ciò correttamente applicando gli insegnamenti di questa Corte in tema di conservazione del contratto (Cass. Sez. 1, sentenza n. 8301 del 01/09/1997; vedi anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14432 del 15/07/2016); il motivo è invece inammissibile con riferimento al lamentato vizio di motivazione in quanto, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come introdotto dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (la sentenza di appello è stata infatti depositata in epoca successiva al 11 settembre 2012), lamenta non già l’omissione di un fatto principale o secondario rilevante ai fini dell’esito del giudizio, ma in realtà la contraddittorietà della motivazione resa dal giudice di merito (posto che una motivazione sussiste e non è nè perplessa nè apodittica), doglianza non più consentita dopo la riforma (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015).

1.2. Il secondo motivo è inammissibile in quanto, pur invocando un error in procedendo del giudice di secondo grado per avere dichiarato la tardività della domanda avente per oggetto l’ulteriore addebito di Lire 16.594.080, non trascrive nè indica specificamente gli atti processuali e i documenti cui fa riferimento per argomentare la dedotta posteriorità dell’addebito al maturare della decadenza processuale (nulla si dice in particolare in relazione alla certezza della collocazione temporale dell’addebito in data 6 novembre 2000, nè vi è alcun riferimento ai termini della decadenza maturata in primo grado) sicchè deve ritenersi violato quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), tanto da non consentire a questa Corte di procedere – quale giudice del fatto processuale – alla verifica di quanto lamentato (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012).

3. La soccombenza regola le spese.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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