Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15198 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. II, 11/07/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 11/07/2011), n.15198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22437/2005 proposto da:

U.M.T. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CESENA 58, presso lo studio dell’avvocato MARIANTONI Fabio,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.P. (OMISSIS), M.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DORA 1,

presso lo studio dell’avvocato LORIZIO MARIA ATHENA, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

MO.SE. (C.F. (OMISSIS));

– intimato –

avverso la sentenza n. 261/2004 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 14/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Marcantoni Fabio difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Alla morte nel (OMISSIS) di V.A.M., la nipote ex fratre V.E., nominata erede universale, evocò in giudizio Mo.Se. e U.M.T., chiedendo il sequestro di un appartamento, facente parte dell’eredità, di cui costoro si erano appropriati.

I convenuti opposero una scrittura privata di compravendita datata 1982 e chiesero il riconoscimento della proprietà, il rimborso di spese di mantenimento della de cuius e di spese per miglioramenti e di mantenimento dell’immobile durante il sequestro giudiziario.

Nel 1988 i convenuti vennero condannati per circonvenzione di incapace della de cuius, sentenza divenuta definitiva nel 1991.

Nel 1997 il tribunale di Oristano dichiarò con sentenza parziale che l’appartamento faceva parte del compendio ereditario pervenuto a V.E., alla quale nel frattempo erano succeduti i figli.

M.P. e M., odierni resistenti.

Respinse le domande riconvenzionali.

Con la sentenza definitiva del 2001, il tribunale condannò i convenuti al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni.

L’appello proposto dalla U. e quello incidentale del Mo.

venivano decisi il 14 luglio dal 2004 dalla Corte d’appello di Cagliari.

La Corte riteneva ormai definitiva la qualificazione della controversia quale azione di petizione di eredità, con pagamento di spese di custodia del sequestro; escludeva quindi la rilevanza della sussistenza di un’eventuale locazione stipulata dalla de cuius con i convenuti, rapporto che non avrebbe condotto, in ogni caso, alla prescrizione della pretesa relativa alla petizione ereditaria.

Accoglieva l’appello limitatamente alla determinazione del risarcimento, da escludere per il periodo successivo alla sostituzione del Mo. quale custode del bene. Confermava l’addebito ai convenuti soccombenti delle spese di custodia del bene e il rigetto della riconvenzionale per i miglioramenti all’immobile.

La sola U. ha proposto ricorso per cassazione, resistito dai sigg. M.. Ha svolto dieci motivi di impugnazione, di cui l’ultimo articolato in 9 profili, illustrati con memoria. E’ rimasto intimato il Mo..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo espone violazione e falsa applicazione degli artt. 2954, 533 c.c. e art. 324 c.c..

Con esso la ricorrente sembra voler negare il diritto degli eredi V. a vedersi riconosciuto il corrispettivo di un’occupazione dell’immobile “più o meno senza titolo”, diritto che sarebbe prescritto ex art. 2954, norma che prevede: “Si prescrive in sei mesi il diritto degli albergatori e degli osti per l’alloggio e il vitto che somministrano, e si prescrive nello stesso termine il diritto di tutti coloro che danno alloggio con o senza pensione”.

Anche il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 2954 c.c. e art. 533 c.c., comma 2. Con esso la ricorrente afferma che l’imprescrittibilità dell’azione di petizione ereditaria non comporta necessariamente il riconoscimento alla “percezione del corrispettivo d’uso del bene”.

Entrambi i motivi sono privi di ogni fondamento. Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, la sentenza d’appello non ha preso in esame – nè ha condannato – la U. al pagamento di un’indennità o di un canone quale corrispettivo dell’occupazione di un alloggio, ma al risarcimento dei danni da illecita detenzione dell’immobile caduto in successione e spettante agli eredi M..

E’ quindi fuor di luogo l’invocazione dell’art. 2954 c.c..

Il terzo motivo, lamentando violazione delle norme già citate, ripropone nella prima parte il profilo di cui sopra e aggiunge la considerazione che l’azione di petizione dell’eredità non comporta domanda di risarcimento del danno. L’argomento è ripreso anche nel quarto motivo, ove si dice che l’istituto della prescrizione, a prescindere dalla sorte della petizione, avrebbe dovuto essere applicato al risarcimento del danno, altrimenti violando gli artt. 533 e 2954 c.c..

I due motivi sono infondati. Non è dato comprendere se, come appare da uno svolazzo del terzo motivo (“A parte la violazione del principio della domanda, che eccepiamo in altro specifico capitolo”) parte ricorrenti si dolga del mancato esame di uno specifico profilo dell’ eccezione di prescrizione; di certo è infondata la censura che lamenta la mancata applicazione del termine di prescrizione di sei mesi ex art. 2954 all’azione risarcitoria da fatto illecito, soggetta al termine di cinque anni ex art. 2947 c.c..

Con il quinto e sesto motivo U. si duole della condanna al risarcimento del danno “in solido”, rilevando di non aver chiaro se si riferisca a solidarietà attiva tra eredi, che sarebbe esclusa dagli artt. 533, 468 e 536 c.c., ovvero di solidarietà passiva. In questo secondo caso lamenta che la solidarietà non avrebbe potuto essere denunciata ex lege, perchè non prevista dall’art. 2043 c.c., nè dall’art. 1571 c.c.. Sostiene di non essere stata compartecipe con il Mo. di alcuna azione dannosa.

Anche queste censure sono infondate. Il controricorso ha chiarito che anche i sigg. M. non dubitano che la sentenza si riferisca alla solidarietà passiva, come si può desumere dal dispositivo, se non altro per l’uso di un segno di interpunzione dopo l’indicazione dei nomi degli eredi e prima della locuzione in solido. Se vi fosse stata indicazione per la solidarietà attiva la pronuncia sarebbe stata “in favore di M.M. e P. in solido”.

Ciò posto, va ritenuto che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 2055 c.c., comma 1 (Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno), avendo ritenuto abusiva la condotta dei convenuti U. e Mo., che occuparono l’immobile per molti anni. Su questo profilo il sesto motivo apoditticamente afferma l’assenza di presupposti di legge della solidarietà e nega che U. abbia danneggiato gli eredi, ma una censura siffatta è inammissibile, perchè non si fa carico di indicare specificamente quali risultanze smentissero l’occupazione dell’immobile da parte della U. e quando e come sia stata, dimostrata la diversità di posizioni con il Mo..

Non consta infatti alcun errore di sussunzione della fattispecie analizzata dai giudici di merito nel disposto dell’art. 2043 e 2055 c.c., soprattutto ove si ponga mente alle premesse in fatto della vicenda, riassunte in ricorso, dalle quali si apprende che U. e Mo. vennero condannati penalmente per circonvenzione di incapace in danno della de cuius, commessa facendosi cedere un bene della stessa, sito in (OMISSIS), che è quello oggetto dell’azione di petizione.

Il ssttlmo motivo lamenta incomprensibilmente violazione dell’art. 1571 c.c.. Vi si continua a discutere di inapplicabilità della normativa in tema locazione, aggiungendo che la U. non era esclusiva fruitrice del bene immobile, perchè ne godeva insieme con la de cuius, circostanza che imporrebbe di escludere la configurabilità di una locazione.

Il motivo non coglie la ratio della pronuncia di condanna emessa dalla Corte d’appello.

Oltre ad aver chiarito a pag. 6 che oggetto della lite non era il rapporto intercorso tra la de cuius e i convenuti per l’uso del bene, con chiarezza la Corte territoriale ha esposto, pag. 8 in fine e pag.

9, che i giudici di merito non hanno ritenuto di configurare una locazione nel rapporto dedotto in giudizio, ma che avevano voluto conoscere il canone di locazione per servirsene ai fini della quantificazione del danno arrecato agli attori “per la privazione del godimento del bene di loro proprietà”.

Erano dunque la condotta lesiva e la modalità risarcitoria a dover essere oggetto di eventuale critica e non il riconoscimento di un contratto o negozio giuridico; a questo fine, appena lambito da uno spunto sull’uso esclusivo del bene, doveva essere esposto, in ipotesi, vizio di motivazione e non di violazione di legge, con conseguente ben maggiore onere di analisi dei presupposti di fatto della domanda e della decisione, atteso che l’abusiva intrusione e la convivenza nell’alloggio della de cuius, per la lesività dell’accaduto, penalmente sanzionato, avrebbero teoricamente potuto giustificare una condanna ispirata a parametri risarcitori di ancor maggiore severità.

L’ottavo motivo che espone violazione dell’art. 99 c.p.c., lamenta violazione del principio della domanda. Parte ricorrente sostiene che non erano state chieste spese di custodia alla U..

Il rilievo è infondato, perchè le spese di custodia ed il compenso al custode delle cose oggetto di sequestro giudiziario rientrano tra le spese di lite e vanno posti a carico della parte soccombente (Cass. 4733/81; 2429/88). Inoltre la condanna alle spese di lite, pronuncia accessoria e consequenziale alla definizione del giudizio, può esser emessa a carico della parte soccombente (pure virtuale) anche di ufficio e in difetto di esplicita richiesta della parte vittoriosa, a meno che vi sia un’espressa volontà contraria di quest’ultima che ne chieda la compensazione (Cass. 22106/07). Non consta dal ricorso che vi sia stata tale istanza.

Il nono motivo denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 2721 c.c., per mancata ammissione di testimoni sorretta da argomentazione ex art. 2721.

La censura è palesemente inammissibile. La ricorrente non si è infatti avveduta (pag. 12) che la Corte d’appello ha accolto la doglianza sull’art. 2721 c.c., relativa a mancata ammissione di prova testimoniale volta alla domanda di rimborso di spese per il miglioramento dell’immobile. La Corte ha però aggiunto che trattatasi di questione irrilevante, posto che doveva essere negata la sussistenza del “diritto di rimborso azionato”.

Il decimo motivo lamenta tutti i possibili vizi di motivazione con riguardo a una molteplicità di profili della sentenza, ognuno esposto con brevissimi periodi, facendo rinvio all’atto di appello.

Trattasi di doglianze totalmente inammissibili, per difetto di specificità e completezza delle censure, per violazione del principio di autosufficienza e per evidente apoditticità.

Ne risulta quindi superfluo l’esame singolo, non sussistendo i presupposti minimi per un loro favorevole scrutinio.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, tenendo conto dell’esiguo valore della lite, che, passata in giudicato la domanda relativa all’immobile, è limitato alle modeste statuizioni accessorie.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione ai controricorrenti in solido delle spese di lite liquidate in Euro 1.000,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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