Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15198 del 01/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 01/06/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 01/06/2021), n.15198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27361/2018 proposto da:

C.A. (C.F.: (OMISSIS)), nata a (OMISSIS) il (OMISSIS)

e residente in (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, in

Viale Giulio Cesare n. 21, presso lo studio dell’Avv. Francesco

Malatesta del Foro di Roma, e rappresentata e difesa, giusta procura

speciale in calce al presente atto, dall’Avv. Alfonso Donnarumma del

Foro di Latina (C.F.: (OMISSIS)), con studio in Pontinia (LT) al

Viale Europa n. 48;

– ricorrente –

contro

Comune di Pontinia (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco Dott.

M.C. (C.F.: (OMISSIS)), nato a (OMISSIS), con sede in

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, al Corso Trieste n. 61

(c/o Avv. Maurizia Venezia) presso lo studio dell’Avv. Sebastiano de

Feudis (C.F.: (OMISSIS)), che lo rappresenta e difende come da

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 1198/18/2018 emessa dalla CTR Lazio in data

23/02/2018 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea

Penta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.A. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento in rettifica ICI per l’anno 2010, emesso dal Comune di Pontinia, per il recupero del maggiore importo (comprensivo di interessi e sanzioni) dovuto all’accertata natura edificabile del terreno, in luogo della dichiarata destinazione agricola.

La contribuente sollevava i seguenti motivi:

1) nullità per difetto e carenza di motivazione e violazione della L. n. 212 del 2000 e del D.P.R. n. 600 del 1973, per essersi limitato l’avviso ad operare un mero rinvio per relationem alla deliberazione consiliare n. 59 del 20.12.2012 e alla perizia di individuazione dei valori delle aree edificabili ai fini IMU-ICI anno 2012 e precedenti, e ad attribuire valori eccessivamente superiori a quelli di mercato;

2) violazione della L. n. 342 del 2000;

3) errata e illegittima applicazione degli interessi e delle sanzioni, attesa la conoscenza delle nuove rendite catastali solo con l’atto impositivo impugnato.

Il Comune di Pontinia si costituiva in giudizio, sostenendo la legittimità e la correttezza del proprio operato.

La CTP di Latina, con sentenza n. 320/2016, rigettava il ricorso, sostenendo che l’avviso di accertamento fosse adeguatamente motivato ed evidenziando la presunta conoscenza legale della deliberazione consiliare richiamata, nonchè del relativo allegato tecnico, in quanto regolarmente pubblicata.

Inoltre, i giudici di primo grado ritenevano infondate le censure attinenti all’attribuzione di nuove rendite catastali e, quanto ai valori attribuiti, si limitavano a richiamare precedenti pronunce con le quali la CTP di Latina aveva respinto analoghe censure in riferimento alla stessa deliberazione consiliare.

Infine, la Commissione respingeva ogni altra questione sulla base della considerazione che la rettifica in esame non fosse riconducibile a un’ipotesi di attribuzione di nuove rendite catastali.

La C. proponeva ricorso avverso la sentenza di primo grado.

Il Comune di Pontinia si costituiva in giudizio, controdeducendo alle eccezioni della controparte.

Con sentenza del 23.2.2018 la CTR Lazio rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) il Comune di Pontinia aveva proceduto, con Delib. del Consiglio comunale n. 59 del 2012, all’individuazione delle aree edificabili, attribuendo il valore risultante da una perizia tecnica;

2) l’avviso di accertamento si fondava sulla predetta Delib. del Consiglio comunale n. 59, e non sulla perizia tecnica in essa richiamata, assumendo tale ultimo documento la rilevanza di atto infraprocedimentale, privo di autonoma efficacia esterna;

3) ne conseguiva che, pur avendo la perizia contribuito a determinare il contenuto della deliberazione, l’atto che aveva fissato, con efficacia vincolante per i contribuenti, il valore delle aree edificabili al fini IMU-ICI anno 2012 e precedenti era la deliberazione consiliare la quale, essendo stata pubblicata nelle forme di rito, si presumeva conosciuta dai contribuenti;

4) pertanto, si doveva escludere che la mancata allegazione della perizia costituisse una causa di nullità dell’avviso di accertamento;

5) quanto alla misura dell’imponibile accertato, l’avviso di accertamento impugnato era stato emesso a rettifica dell’ICI dichiarata e versata;

6) premesso che era l’attore a dover provare l’infondatezza dell’altrui pretesa, nel caso di specie, alla determinazione dei valori si contrapponeva una critica non rigorosa che, oltretutto, non prospettava quale sarebbe stato l’esatto valore dei beni interessati;

7) in ordine alla lamentata “impossibilità di applicazione retroattiva dei nuovi valori”, il regolamento del consiglio comunale che, in forza del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 52 e 59 e del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 48, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, pur non avendo natura imperativa, integrava una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice;

8) ove l’ammontare dell’imposta come rettificato appariva maggiore del dovuto, era preciso onere del contribuente fornire la prova della esosità, ovvero erroneità, della pretesa dell’ente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il C.A., sulla base di tre motivi.

Il Comune di Pontinia ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 52 e 59, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR applicato retroattivamente i nuovi valori venali determinati con Delib. del Consiglio comunale n. 59 del 2012.

1.1. Il motivo è infondato.

Anche di recente questa Sezione ha ribadito che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), è legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che, in forza del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 52 e 59 e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 48, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15312 del 12/06/2018; cfr., in precedenza, Sez. 5, Sentenza n. 5068 del 13/03/2015, Sez. 5, Sentenza n. 15555 del 30/06/2010 e Sez. 5, Sentenza n. 16702 del 27/07/2007). In particolare, le norme del regolamento previsto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, adottato a norma del precedente art. 52, con il quale i comuni possono, tra l’altro, “determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune” (lett. g), possono essere legittimamente utilizzate dal giudice, anche facendo riferimento al valore delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche, al fine di acquisire elementi di giudizio anche in relazione a periodi anteriori a quelli di emanazione del regolamento stesso, senza che ciò comporti alcuna applicazione retroattiva di norme, ma solo l’applicazione di un ragionamento presuntivo. Tali regolamenti non hanno infatti natura propriamente imperativa, ma svolgono funzione analoga a quella dei cosiddetti studi di settore, previsti dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 62-bis e 62-sexies, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, costituenti una diretta derivazione dei “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in L. 27 aprile 1989, n. 154, ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni hominis, vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (Sez. 5, Sentenza n. 9135 del 03/05/2005; conf. Sez. 5, Sentenza n. 11171 del 07/05/2010).

Da ciò deriva che ben poteva il Comune applicare, come è accaduto, ad annualità pregresse la Delib. n. 59 del 2012, da intendersi alla stregua di un indice di valutazione. Ovviamente, non era preclusa al contribuente la possibilità di contrastare il ragionamento presuntivo sotteso alla delibera. In quest’ottica, errata, ma non incidente in modo decisivo sulla statuizione, si rivela l’affermazione, presente a pagina 5 della sentenza qui impugnata, secondo cui la delibera consiliare avrebbe fissato con “efficacia vincolante” per i contribuenti il valore delle aree edificabili ai fini IMU-ICI.

Come è desumibile chiaramente dal citato art. 59, la delibera consiliare di determinazione dei valori venali in comune commercio non deve essere, inoltre, periodicamente modificata, riconoscendo espressamente la disposizione una mera facoltà.

Destituita di fondamento è, infine, la tesi della ricorrente secondo cui la delibera consiliare, per poter validamente fondare, quale fonte di presunzione, l’avviso di accertamento, sarebbe dovuta necessariamente essere corredata da indici e valutazioni ulteriori, come richiesto in tema di studi di settore. Invero, in quest’ultimo ambito la motivazione dell’avviso di accertamento, effettuato con metodo induttivo o che, comunque, desuma l’inattendibilità della posizione del soggetto passivo in base a dati comparativi esterni, non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per cui sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, sono così emergendo la gravità, precisione e concordanza della presunzione basata sui suddetti parametri e, quindi, giustificandosi un onere di prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente (così Sez. 5, Sentenza n. 15633 del 09/07/2014 richiamata dalla stessa contribuente). In particolare, nella predetta sede, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009; conf., tra le tante, Sez. 5, Ordinanza n. 27617 del 30/10/2018).

Da ciò si desume che la necessità di integrare la valenza probatoria presuntiva dei parametri sorge solo per contrastare le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio.

Nel caso di specie, premesso che la ricorrente, in violazione del principio di specificità, ha omesso di trascrivere le contestazioni specifiche che avrebbe sollevato sul punto, dalla sentenza della CTR si evince che la medesima, oltre a lamentare l’impossibilità di applicazione retroattiva dei nuovi valori, ha contrapposto alla determinazione dei valori “una critica non rigorosa che, oltretutto, non prospetta quale sarebbe stato l’esatto valore dei beni interessati” (pag. 6 della sentenza).

1.1. Quanto alla mancata allegazione all’atto impositivo della perizia di stima, essa era stata disposta per determinare i valori di cui alla delibera della giunta, per il che si configura quale atto interno del procedimento amministrativo ed era, in ogni caso, consultabile.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR invertito l’onere della prova tra le parti.

2.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Anche di recente questa Corte ha ribadito, come peraltro già visto nell’analisi del primo motivo, che, in tema di ICI, le delibere con le quali il Consiglio comunale, D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 52, determina periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili hanno la finalità di limitare il potere di accertamento dell’ente territoriale qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello indicato in dette delibere che, pertanto, sono fonti di presunzione analoghe al cd. redditometro, sicchè ammettono la prova contraria, con l’ulteriore conseguenza che, se il giudice ritiene dimostrato che ad un’area edificabile non possa essere attribuito il valore individuato dal Comune, può disattenderlo e procedere ad un’autonoma stima utilizzando i parametri di legge (Sez. 5, Sentenza n. 17248 del 27/06/2019; Sez. 5, Sentenza n. 27572 del 30/10/2018). In presenza di tale presunzione iuris tantum, pertanto, l’onere di fornire la prova contraria (id est, dell’infondatezza della pretesa tributaria) grava a carico del contribuente.

2.2. Avuto riguardo alla asserita mancanza di prova in ordine alla effettiva pubblicazione della delibera consiliare nell’albo pretorio, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità, indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione.

2.3. Con riferimento alla mancata allegazione della perizia, la doglianza non attinge la ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata, la quale si fonda (cfr. pag. 5 della sentenza) sui rilievi per cui l’avviso di accertamento si basa sulla deliberazione del Consiglio comunale n. 59 del 2012 (anzichè sulla perizia tecnica nella stessa richiamata) e sulla rilevanza meramente infraprocedimentale, come tale priva di efficacia esterna, della perizia stessa.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR censurato l’applicazione retroattiva di interessi e sanzioni.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Se, come sostiene, sullo specifico profilo in appello è stato sollevato un motivo di gravame, la contribuente avrebbe dovuto formulare la doglianza ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e non già dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti, come nel caso di specie, ad argomentare sulla violazione di legge (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; conf. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013 e Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).

3.2. In ogni caso, la censura si sarebbe rivelata infondata nel merito, atteso che le sanzioni e gli interessi sono collegati al mancato pagamento di quanto effettivamente dovuto e l’applicazione retroattiva dei parametri di riferimento non costituisce la fonte del sorgere dell’obbligo del pagamento dell’imposta.

3.3. Per mera completezza espositiva va evidenziato che non risulta pertinente il richiamo, operato nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., alla ordinanza n. 32750 emessa da questa Sezione, in differente composizione soggettiva, in data 18.12.2018 su una fattispecie per molti versi assimilabile a quella in esame. Invero, con quel provvedimento il ricorso della contribuente è stato accolto con riferimento alla censura concernente la nullità della sentenza per motivazione apparente, nel caso di specie non formulata, e sulla base di una perizia di parte contenente specifiche contestazioni all’elaborato tecnico utilizzato dall’ente comunale, nella fattispecie non esistente.

4. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, oltre accessori come per legge.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2021

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