Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15197 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2020, (ud. 05/06/2020, dep. 16/07/2020), n.15197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19004-2018 proposto da:

ASSOCIAZIONE CASA FAMIGLIA NOSTRA SIGNORA DI LOURDES ONLUS, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MAURO SCIRE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALERMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato LAURA LA MONACA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1009/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

MARULLI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’associazione ricorrente impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Palermo ha respinto il gravame proposto dalla medesima avverso l’accoglimento in primo grado dell’opposizione al decreto ingiuntivo del Comune di Palermo inteso a conseguire il pagamento delle rette dovute per l’anno 2009 relativo ai ricoverati ospitati presso la propria struttura e ne chiede la cassazione sulla base di quattro motivi di ricorso resistiti dall’intimato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il primo motivo di ricorso – mercè il quale la ricorrente, rappresentato che la propria attività si svolge in favore di soggetti che versano in condizioni di indigenza, sono affetti da disabilità grave e sono privi di adeguata assistenza familiare, lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo nonchè un vizio di omessa motivazione – è inammissibile, in ragione della riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione decretata dalla novellazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che ha espunto dal catalogo dei vizi cassatori aventi rilevanza motivazionale il vizio di omessa motivazione, e della considerazione che il “fatto”, ora elevato a presupposto del vizio in questione, è solo il fatto storico, primario e secondario, avente attitudine costitutiva, modificativa o estintiva della situazione dedotta in giudizio e che va in tale guisa, diversamente da qui, chiaramente indicato, onde esula da esso la pretesa anomalia omissiva del percorso decisionale.

3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso – intesi, l’uno, a censurare per violazione e falsa applicazione di legge l’assunto decisionale nella parte in cui, prescindendo dal rilievo e dalla delicatezza degli interessi in gioco, la Corte d’Appello avrebbe negletto la cogenza degli obblighi scaturenti segnatamente dal D.P.R. 4 giugno 1996, n. 158, art. 9, l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 191 TUEL, perchè del pari sarebbe incorsa nel medesimo vizio – sono entrambi inammissibili.

A fronte del chiaro avviso espresso dal decidente circa l’inconferenza decisoria della prima allegazione (cfr. p. 5 della motivazione), nonchè riguardo all’ineluttabilità dell’intervenuta cessazione di efficacia della convenzione disciplinante il rapporto (cfr. p. 6 della motivazione), l’eccepita erroneità in diritto dell’impugnato ragionamento decisorio non osserva i canoni di capitolazione a tal riguardo stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte, non indicandosi segnatamente quale affermazione di esso si porrebbe in contrasto con le norme richiamate, ed ostenta più esplicitamente l’intendimento del ricorrente di promuovere un’indiretta rinnovazione dell’apprezzamento di fatto operato dai giudici di merito.

4. Il quarto motivo di ricorso – con cui si confuta per violazione dell’art. 2041 c.c., il rigetto della domanda di indebito arricchimento per l’assorbente rilievo di cui all’art. 194 TUEL, quantunque la natura e la delicatezza del servizio avrebbero precluso che di esso potesse essere responsabile, in difetto di un formale impegno di bilancio, il singolo funzionario disponente – è inammissibile.

Esso è inteso a sollecitare, fuori da ogni visibile inferenza in punto di diritto, un accertamento di fatto diretto a rivedere il convincimento formulato dal decidente, che, essendo nella specie mancato qualsia atto deliberativo, andava esclusa l’applicabilità dell’art. 194 TUEL rendendosi per converso ravvisabile la responsabilità del funzionario disponente.

5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

6. Spese alla soccombenza e doppio contributo ove dovuto.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 5 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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