Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15197 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. II, 11/07/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 11/07/2011), n.15197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24814/2005 proposto da:

R.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MONTE ZEBIO 7, presso lo studio dell’avvocato PERONE MARIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato IANNACCHINO Gianluigi;

– ricorrente –

contro

ICCI DI OLDANI FLAVIO SAS P.IVA (OMISSIS), in persona del socio

accomandatario e legale rappresentante pro tempore O.F.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 45, presso lo

studio dell’avvocato ROMEO Massimo, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARRA DI GIOVANNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 390/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito l’Avvocato ROMEO Massimo, difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La ricorrente impugna la sentenza del 14 febbraio 2002 della Corte d’appello di Milano che ha accolto in parte l’appello avanzato dall’odierna intimata, condannando la ricorrente al pagamento di Euro 14.022,29 quale saldo per forniture eseguite. La signora R. aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti per la somma di L. 31.200.000 ad istanza dell’odierna intimata per il pagamento residuo di forniture eseguite. Deduceva l’inesatto adempimento, l’esistenza di vizi e chiedeva la risoluzione del contratto e i danni.

Il Tribunale di Vigevano, sezione staccata di Abbiategrasso, espletata l’istruttoria, accoglieva l’opposizione.

La Corte d’appello, adita dalla società fornitrice, riformava in parte la sentenza, ritenendo dovuta una minor somma rispetto a quella richiesta. La Corte territoriale accoglieva l’eccezione di decadenza per mancata denuncia di vizi nel termine di 60 giorni ai sensi dell’art. 1667 c.c., comma 2, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale. La Corte territoriale rilevava che le lettere sulla base delle quali sarebbe risultata tempestiva la denuncia si limitavano a lamentare solo due vizi, relativi alla esecuzione non a regola d’arte delle porte in stile inglese e del pavimento del terrazzo. Per questi vizi vi era stata tempestiva denuncia, mentre il riferimento ad altri vizi genericamente indicati e non espressamente riportati nel testo delle missive non poteva risultare utile. Nè, al riguardo, vi era stato riconoscimento dei vizi in questione, posto che l’unico teste che tale circostanza aveva affermato era la madre della ricorrente che aveva utilizzato espressioni generiche ed inadeguate. La Corte poi rilevava che per le porte in stile inglese quello indicato non poteva essere considerato come vizio occulto. La Corte, quindi, alla luce di tali affermazioni escludeva alcuni importi richiesti quali somme non dovute e riduceva l’importo per alcuni vizi accertati.

La ricorrente formula tre motivi. Resiste con controricorso l’intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE 1. – Motivi di ricorso.

1.1 – Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte avrebbe errato nel valutare il tenore e il contenuto delle lettere di denuncia dei vizi, che richiamavano le porte e il pavimento solo in termini esemplificativi.

1.2 – Col secondo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 1667 codice civile perchè la Corte aveva dato valore assorbente alla tempestiva denuncia dei vizi senza dare peso alla prova raccolta sull1 avvenuto riconoscimento degli stessi, che ne rendeva superflua la denuncia. Dalle prove espletate era risultato tale intervenuto riconoscimento (teste R.).

1.3 – Col terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c.. La Corte aveva recepito solo in parte le conclusioni del CTU senza indicare la ragione del suo diverso orientamento. Di qui il vizio di motivazione.

2. – Occorre in primo luogo affrontare la questione sollevata dalla controricorrente circa l’inammissibilità del ricorso per mancata indicazione dell’intimato (art. 360 c.p.c., n. 1). L’eccezione è infondata, posto che dal testo del ricorso risulta indicata l’intimata, e ciò è sufficiente ai fini della ammissibilità del ricorso. Al riguardo infatti, questa Corte, con orientamento condiviso e successivo a quello citato dal resistente (Cass. n. 19286 del 07/09/2009 Rv. 609924), ha affermato che è “il ricorso per cassazione è inammissibile qualora manchi o vi sia incertezza assoluta sull’identificazione delle parti, contro cui esso è diretto; ai fini dell’osservanza della norma predetta, non è necessario che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi di impugnazione o che siano altrove esplicitamente formulate, essendo sufficiente, analogamente a quanto previsto dall’art. 164 cod. proc. civ., che esse risultino in modo chiaro e inequivoco (e non, dunque, ingannevole), anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, nonchè dal riferimento ad atti dei precedenti gradi di giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata”.

Parimenti infondata è l’eccezione sollevata con riguardo alla dedotta indeterminatezza della domanda, posto che la richiesta può essere utilmente interpretata sulla base delle norme applicabili al giudizio di cassazione.

3. – Il ricorso è infondato e va respinto.

3.1 – Il primo motivo è infondato. La Corte ha chiarito la sua interpretazione delle lettere del 30 e 31 gennaio 1996, ritenendo, correttamente, insufficiente una denuncia generica per alcuni vizi, ritenendola invece tempestiva per gli altri, ritenuti specifici, per i quali ha provveduto. La motivazione al riguardo appare sufficiente e priva delle critiche avanzate ex art. 1362 c.c., articolate peraltro in modo generico.

Al riguardo, occorre osservare, infatti, che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c., e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi.

Pertanto, onde far valere una violazione sento entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, non può essere considerata idonea la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

3.2 – Il secondo motivo è anch’esso infondato e in parte inammissibile. Non vengono con chiarezza indicati i motivi ex art. 360 c.p.c., in base ai quali viene effettuata la denuncia. In ogni caso la critica operata riguarda la valutazione della prova ai fini della denuncia tempestiva dei vizi e al riguardo la Corte territoriale ha dato ampiamente conto delle sue valutazioni anche e specificamente quanto alle affermazioni rese dal teste R..

3.3 – Anche il terzo motivo è infondato oltre che in parte inammissibile, non comprendendosi pienamente il vizio denunciato nell’ambito del quale si indica la violazione dell’art. 116 c.p.c., con riguardo alle conclusioni ed argomentazioni della CTU, solo in minima parte utilizzate dalla Corte territoriale.

Al riguardo, come è noto, l’art. 116 c.p.c., comma 1, sancisce la fine del sistema fondato sulla predeterminazione legale dell’efficacia della prova, conservando solo specifiche ipotesi di fattispecie di prova legale. Con la formula del “prudente appressamento” si allude alla ragionevole discrezionalità del giudice nella valutazione della prova, che va compiuta tramite l’impiego di massime d’esperienza. Di conseguenza, la doglianza con la quale si denunzi che il giudice abbia fatto un cattivo uso del suo “prudente appressamento” nella valutazione della prova si risolve in una doglianza non sulla violazione della norma de qua ma sulla motivazione della sentenza, che può trovare ingresso in sede di legittimità solo nei limiti entro i quali è ammissibile il sindacato da parte della cassazione sulle ragioni giustificatrici allegate dal giudice a supporto dell’adottata decisione.

A tal fine va osservato che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, lo sono anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua giustificazione del criterio adottato.

Conseguentemente, ai fini d’una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi, onde pervenire alle assunte conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Pertanto, vizi motivazionali in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere utilmente dedotti ove la censura si limiti alla contestazione d’una valutazione delle prove effettuata in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè, proprio a norma dell’art. 116 c.p.c., comma 1, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l’individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all’uopo le prove, il controllarne l’attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti.

Tali principi valgono evidentemente anche in materia di CTU. Va ulteriormente osservato che le critiche della ricorrente risultano anche genetiche non essendo stati indicati i punti e le conclusioni della CTU che avrebbero potuto portare a diverse conclusioni.

4. – Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in Euro 1.500,00 per onorari e Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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