Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15195 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 20/06/2017, (ud. 04/04/2017, dep.20/06/2017),  n. 15195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2225/2012 proposto da:

Q.G.B., (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 44/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato il 26 settembre 2002, l’avvocato Q.G.B., in proprio e nella qualità di codifensore di altri conduttori, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (INPDAP), chiedendo la rideterminazione del canone di locazione dell’immobile sito in (OMISSIS), in applicazione della normativa in materia di edilizia convenzionata (L. 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 7 e 8 cd. Bucalossi).

Il Tribunale adito, con sentenza n. 6643/2008, respingeva la domanda.

2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 44/2011, depositata il 27 gennaio 2011, rigettava, del pari, l’appello proposto dal Q.. Con tale decisione il giudice del gravame – confermando le statuizioni della sentenza di prime cure – riteneva che non sussistesse il denunciato difetto di rappresentanza in giudizio dell’ente, dedotto dall’appellante, che la sentenza di prime cure non fosse affetta da nullità, per avere il giudicante rinviato più volte l’udienza di discussione della causa, che la denunciata violazione del contraddittorio non fosse rilevabile dagli atti di causa, e che non ricorressero i presupposti per l’applicazione del canone di locazione agevolato, L. n. 10 del 1977, ex artt. 7 e 8.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso l’avvocato Q.G.B. nei confronti dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’ Amministrazione Pubblica (INPDAP) affidato a sette motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i motivi primo, secondo e terzo bis, l’avvocato Q.G.B. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 75, 115 e 132 c.p.c., D.P.R. 24 settembre 1997, n. 368, art. 3, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 16 nonchè l’omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto – in violazione della normativa in materia – che non sussistesse il dedotto difetto di rappresentanza processuale dell’INPDAP, nei giudizi di primo e secondo grado, sebbene il medesimo fosse stato rappresentato in giudizio da dirigenti di seconda fascia, non aventi la qualifica di dirigente generale di una struttura periferica ai quali soltanto, oltre che al Presidente dell’istituto, è conferita per legge la rappresentanza dell’ente in giudizio.

1.2. Le doglianze sono infondate.

1.2.1. Va difatti osservato, al riguardo, che l’impugnata sentenza ha escluso tale difetto di rappresentanza processuale, considerato che, nel giudizio di primo grado, l’INPDAP aveva esibito la procura speciale conferita dal legale rappresentante dell’ente al dott. D. (dirigente di seconda fascia), e che, in secondo grado, la legittimazione a rappresentare l’istituto era stata conferita alla dr.ssa P. (anch’essa dirigente di seconda fascia) in forza di Det. n. 22 del 2009, con la quale il dirigente generale del compartimento Lombardia dell’ente aveva conferito alla predetta l’incarico di responsabile del settore al quale è riconducibile l’attività oggetto di lite. Orbene, il ricorrente deduce che la predetta procura speciale non troverebbe “alcun riscontro oggettivo” e che non risulterebbe “materialmente” “agli atti della causa”, laddove la decisione di appello ha affermato, invece, che tale procura sarebbe stata esibita in primo grado, e che la Det. n. 22 del 2009 costituirebbe un mero atto interno, non valido per la costituzione di un legittimo rapporto processuale.

1.2.2. Senonchè è evidente che la doglianza, relativa alla mancanza della procura agli atti, avrebbe dovuto essere fatta valere dall’esponente con il rimedio della revocazione, e non con il ricorso ordinario per cassazione, atteso che la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Cass. 03/08/2007, n. 17057; Cass. 09/02/2016, n. 2529).

1.2.3. Quanto alla Det. n. 22 del 2009, osserva la Corte che tale atto deve essere ricondotta alla figura della delegazione fra organi attuata ai fini di un decentramento amministrativo, con l’effetto di determinare, sia pure in modo non permanente, un vero e proprio spostamento di competenza dall’organo delegante a quello delegato, che dà luogo, verso l’esterno, ad una responsabilità esclusiva del delegato, in virtù della quale restano del tutto indifferenti per i terzi i sottostanti rapporti delegante-delegato (cfr., Cass. 28/12/1999, n. 14625; Cass. 02/10/2000, n. 13047; Cass. 29/10/2003, n. 16281; Cass. 20/04/2006, n. 9284). Le disposizioni normative che prevedono, per la rappresentanza processuale dell’INPDAP, la competenza del Presidente e del direttore generale di una struttura periferica non escludono, invero, il potere di delega da parte dei medesimi ad altri dirigenti (art. 3, lett. b) del D.P.R. n. 368 del 1997 (Cass. 25/06/2003. N. 10077).

1.3. Le censure in esame devono, pertanto, essere rigettate.

2. Con il terzo e quarto motivo di ricorso, l’avv. Q.G.B. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 420 e 429 c.p.c., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

2.1. Deduce il ricorrente che la sentenza di appello avrebbe errato nell’escludere la nullità della decisione di prime cure, che sarebbe invece affetta da tale vizio radicale, sia per la totale mancanza di motivazione in ordine ai reiterati rinvii disposti per la decisione della causa, sia in quanto – in violazione degli artt. 420 e 429 c.p.c. – il giudicante non avrebbe dato lettura del dispositivo alla prima udienza di discussione della causa (13 luglio 2006), ma si sarebbe riservato la decisione rinviando invece, con ordinanza, la causa per ben tre volte per la discussione, dando lettura del dispositivo, infine, solo nell’udienza del 22 maggio 2008.

2.2. Le doglianze sono infondate.

2.2.1. Va, per vero, osservato al riguardo che, nel rito del lavoro, nel caso in cui, al termine dell’udienza di discussione, il giudicante si riservi la decisione della causa e successivamente, con un’ordinanza fuori udienza, rimetta la causa stessa ad una nuova udienza di discussione, pronunciando in tale sede la sentenza con la lettura del relativo dispositivo, l’irregolare utilizzazione dell’istituto della “riserva” (art. 186 c.p.c.) – incompatibile con il principio di concentrazione caratterizzante il rito del lavoro – e la fissazione di un’udienza di mero rinvio, in violazione del divieto, privo di sanzione processuale, stabilito dall’art. 420 c.p.c., u.c. non sono causa di nullità del procedimento e della sentenza, comportando soltanto un rallentamento dei tempi del processo (Cass. 04/02/1985, n. 719; Cass. 3 22/04/1987, n. 910).

2.2.2. Ne discende che, nel caso di specie, la denunciata nullità dell’impugnata sentenza non può ritenersi sussistente.

3. Con il quinto motivo di ricorso, l’avv. Q.G.B. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 170 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

3.1. Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello non abbia ritenuto sussistente la denunciata violazione del contraddittorio, sebbene l’atto di riassunzione del processo ex art. 297 c.p.c. (all’esito della definizione del procedimento di ricusazione proposto dal Q.) non fosse stato notificato ad esso istante, in proprio e quale codifensore di altri conduttori di immobili di proprietà dell’INPDAP.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.2.1. In primo luogo, infatti, l’istante difetta dell’interesse a far valere siffatta, presunta, violazione processuale – che, in quanto tale, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass. 18/12/2014, n. 26831; Cass. 19/03/2014, n. 6330; Cass. 21/11/2016, n. 23638) – non avendo il medesimo neppure allegato di non essere stato messo in condizione di partecipare al giudizio.

3.2.2. Inoltre, dall’impugnata sentenza (p. 5) si evince che l’atto di riassunzione era stato notificato a tutti i conduttori ricorrenti in giudizio, in essi compreso il Q., mediante notifica presso il medesimo, nella sua qualità anche di codifensore, oltre che all’altro difensore avv. Bonaiuto. Ebbene, il vizio denunciato avrebbe potuto al più, anche in tale ipotesi, essere censurato dall’esponente – ove vi fosse stata effettivamente una svista della Corte di merito nel rilievo delle eseguite notifiche – con la revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4. In ogni caso, l’istante non allega, nè trascrive, la relata di notifica dell’atto in questione, al fine di consentire alla Corte di accertare, sulla base del solo ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass. 29/08/2005, n 17424; Cass. 28/02/2017, n. 5185), se sussista, o meno, la violazione del contraddittorio denunciata.

3.3. La doglianza, poichè inammissibile, non può, di conseguenza, trovare accoglimento.

4. Con il sesto motivo di ricorso, l’avv. Q.G.B. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 26 e della L. 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 7 e 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito abbia respinto la domanda, proposta dal Q., di determinazione del canone di locazione in applicazione della normativa che disciplina l’attività edilizia convenzionata (L. n. 10 del 1977, artt. 7 e 8), sebbene la Convenzione urbanistica stipulata dal Comune di Milano – contrariamente all’assunto della Corte territoriale – avesse indicato, come richiesto dalla succitata normativa, le caratteristiche degli edifici e le opere di urbanizzazione primaria e secondaria da eseguirsi a cura e spese dell’ente concessionario.

4.2. La censura è inammissibile.

4.2.1. Va difatti osservato – in proposito – che gli alloggi soggetti alla disciplina dell’edilizia convenzionata, che la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 26, comma 1, lett. c) sottrae al regime delle locazioni di immobili per uso abitativo dettato dai precedenti articoli, sono solo quelli realizzati sulla base di convenzioni (tra le quali rientrano quelle tipo previste dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 7 ed 8) con le quali i Comuni o i Consorzi di Comuni concedono a soggetti pubblici o privati, per fini edificatori, con diritto di superficie o in proprietà, aree ricomprese nei piani approvati ai sensi della L. 18 aprile 1962, n. 167 (cosiddetti piani di zona) già espropriate dai comuni o dai loro consorzi, determinando non solo le caratteristiche costruttive e tipologiche ed i termini di inizio ed ultimazione dei lavori di costruzione degli edifici, ma anche i criteri di determinazione e revisione dei canoni di locazione (L. n. 167 citata, art. 35, comma 8) (cfr. Cass. 02/06/1992, n. 6680/; Cass. 28/08/1995, n. 9058).

4.2.2. Orbene, nel caso concreto, la Corte territoriale ha accertato che la Convenzione urbanistica stipulata dall’INPDAP con il Comune di Milano non determinava “le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici” e non indicava “i criteri di determinazione e revisione dei canoni di locazione” (p. 36). Tale statuizione è impugnata dal Q., il quale non ha, però, trascritto o allegato al ricorso detta convenzione, nel rispetto del principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4). E non può revocarsi in dubbio che il ricorrente che intenda censurare in cassazione la violazione o falsa applicazione di norme di diritto debba indicare, e trascrivere nel ricorso, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciata (cfr. Cass. 28/07/2005, n. 15910; Cass. 04/04/2006, n. 7846; Cass. 13/05/2016, n. 9888).

4.3. Il mezzo va, di conseguenza, disatteso.

5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso deve essere integralmente rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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