Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15194 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 16/07/2020), n.15194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5723-2014 proposto da:

D.T., A. SRL, D.A., D.L.,

P.C., elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE

MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato MANFREDI MANFREDONIA,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO

MANFREDONIA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 410/2013 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 16/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di A. s.r.l. un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2005 con il quale, a seguito di una ricostruzione della contabilità con procedimento analitico-induttivo, accertava maggiori ricavi imponibili ai fini IRPEF, IRAP e IVA.

A seguito della rettifica in capo alla società venivano emessi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, avvisi di accertamento nei confronti dei soci D.T., P.C., D.l. e D.A..

I contribuenti impugnavano gli avvisi.

La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, previa riunione, accoglieva parzialmente il ricorso dei contribuenti, rideterminando i ricavi della società in Euro 3.125.403,00 e il conseguente reddito di partecipazione.

Proponevano appello sia l’Agenzia delle Entrate che la società e i soci.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 410/07/2013, depositata il 16.9.2013, rigettava tanto l’appello principale che quello incidentale, confermando la sentenza di primo grado.

I contribuenti ricorrono per la cassazione della sentenza, affidando il loro mezzo a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e della L. n. 427 del 1993, art. 62 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Deducono che era stato omesso il contraddittorio preventivo necessario per l’accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore.

La censura non è fondata.

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che l’accertamento scaturiva dall’antieconomicità della gestione aziendale per quattro anni di imposta consecutivi, dal 2004 al 2007, in cui il valore dei ricavi dichiarati aveva pareggiato quasi i costi sostenuti e dall’incoerenza della percentuale di ricarico praticato sul venduto che risultata molto inferiore a quella normalmente praticata nel settore di appartenenza; l’accertamento non si basava, quindi sulla mera applicazione degli studi di settore.

Nell’ipotesi prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in tema di imposte reddituali, la rettifica in aumento dell’imponibile esposto in dichiarazione è possibile se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonchè dei dati e delle notizie raccolte dall’Ufficio, anche sulla base di presunzioni semplici,

purchè queste siano gravi, precise e concordanti.

La procedura di accertamento fiscale sulla base dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma l’affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili (Cass., sez.un., 26635, 26636, 26637 e 26638/09).

Tanto premesso sembra poi opportuno ricordare subito che la L. n. 146 del 1998, art. 10, nel testo applicabile, prevede che “gli accertamenti basati sugli studi di settore… sono effettuati… qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi (comma 1)… Nelle ipotesi di cui al comma 1 l’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire… (comma 3 bis)”. Pertanto, solo nel caso in cui l’accertamento sia basato sullo studio di settore l’instaurazione del contraddittorio preventivo con il contribuente è un obbligo dell’Amministrazione finanziaria. La scelta terminologica operata dal legislatore assume una rilevanza non trascurabile, anche perchè la norma introduce un’eccezione, non essendo previsto, in generale, che l’invio dell’avviso di accertamento tributario debba essere preceduto dall’instaurazione del contraddittorio con il contribuente. Il dato che l’accertamento sia “basato” sullo studio di settore non esclude che esso possa trovare anche altre giustificazioni come, ad esempio, riscontrate irregolarità contabili o la ritenuta antieconomicità della gestione aziendale. Un accertamento tributario può dirsi basato su uno studio di settore, perciò, sol quando trovi in esso il suo fondamento prevalente. Tanto non si verifica quando, ad esempio, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, riscoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, alfine posti a fondamento dell’accertamento tributario (cfr. Cass. sez. V, 6.6.2019, n. 15344).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha affermato che l’accertamento contestato avesse accertato, in primo luogo, la antieconomicità della gestione aziendale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, evidenziando che al processo tributario non sono applicabili le modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 5, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura di motivazione insufficiente è inammissibile.

Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito (Cass. 8054/2014).

2.1. Non sussiste nemmeno il vizio motivazionale come da nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La CTR ha evidenziato che il giudice non solo aveva tenuto conto dell’accertamento effettuato dall’ufficio, basato essenzialmente su studi di settore, ma ha altresì tenuto conto di tutti i rilievi della contribuente con riferimento ad altri dati, anch’essi evincibili da uno studio di settore evoluto per l’anno 2005. All’esito di suddetta analisi era nei poteri del giudice tributario di primo grado trarre dal contesto quei dati che hanno portato all’abbattimento al 50% dei ricavi accertati determinandoli in Euro3.125.403,00.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce omessa motivazione e omesso esame di un motivo di gravame in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5: Lamentando che la CTR non aveva motivato sulla eccepita carenza di motivazione dell’avviso di accertamento.

La censura non è fondata.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.” (Cass. 9262/2019).

Nella specie la CTR ha valutato l’avviso nel merito, con ciò disattendendo implicitamente l’eccezione di carenza di motivazione.

Non sussiste nemmeno l’omessa motivazione.

La CTR ha, infatti, motivato, richiamando per relationem la sentenza di primo grado e affermato che il giudice, nonostante il contribuente avesse solo fatto valere il vizio di motivazione, aveva esaminato tutti i rilievi della contribuente, anche con riferimento ad uno studio di settore evoluto, abbattendo del 50% i ricavi accertati dall’ufficio.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Nulla sulle spese in assenza di costituzione di parte intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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