Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15192 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 23/06/2010), n.15192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ROLLING THUNDER INTERNATIONAL s.r.l., in liquidazione, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

viale Marco Polo n. 43, presso l’avv. Serra Marco, che la rappresenta

e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 200/37/05, depositata il 27 gennaio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25

marzo 2010 dal Relatore Cons. Dr. Biagio Virgilio;

udito l’avv. Marco Serra per la ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Rolling Thunder International s.r.l., in liquidazione, già ELLE U Multimedia s.r.l., ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello della contribuente, è stata confermata la legittimità dell’avviso di liquidazione dell’imposta proporzionale di registro notificato il 15 marzo 2002, in relazione ad atto di trasferimento di ramo di azienda registrato il 5 gennaio 1999, sottoposto a condizione sospensiva, al quale avevano fatto seguito la denuncia di avveramento della condizione in data 27 gennaio 1999 e un ulteriore atto, stipulato il 24 marzo dello stesso anno e presentato per la registrazione il 1^ aprile, con il quale si era stabilito in via definitiva il corrispettivo della cessione.

In particolare, il giudice d’appello, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che l’Ufficio non fosse incorso nella decadenza triennale stabilita dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, poichè il dies a quo del termine decadenziale andava individuato nell’anzidetto atto “integrativo”.

2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

3. Il ricorso, originariamente fissato per l’adunanza in Camera di consiglio del 4 giugno 2009, è stato in quella sede rinviato dal Collegio alla pubblica udienza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., comma 3, (nel testo vigente ratione temporis).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando difetto di motivazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, si duole del fatto che il giudice d’appello si sia “appiattito”, “senza alcuna argomentazione di fatto o di diritto, sulle conclusioni del tutto superficialmente raggiunte dai giudici di primo grado” in ordine alla questione della decorrenza del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione dell’Ufficio.

Il motivo è infondato.

Pur prescindendo dal rilievo che non è ammissibile, in questa sede, una censura di vizio di motivazione attinente all’interpretazione e applicazione di norme giuridiche, poichè – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 cod. proc. civ., u.c., deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata (da ult, Cass., Sez. un., n. 28054 del 2008), la doglianza è comunque infondata, in quanto il giudice d’appello, come si dirà in prosieguo, ha esaurientemente ed autonomamente espresso la ratio decidendi.

2.1. Con il secondo, complesso, motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, deduce: a) la “errata motivazione dell’avviso di liquidazione”, in quanto quest’ultimo ha considerato l’atto del 24 marzo 1999 come realizzazione di una condizione sospensiva, laddove esso consisterebbe invece in una pattuizione ulteriore rispetto al contratto originario, relativa ad un evento successivo allo stesso;

b) la intervenuta decadenza dell’Ufficio dal potere di liquidazione, poichè l’atto impugnato è stato notificato il 15 marzo 2002, cioè oltre il termine triennale stabilito dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, che deve essere calcolato a decorrere dalla denuncia di avveramento della condizione sospensiva (presentata il 27 gennaio 1999), a nulla rilevando che, successivamente (e precisamente, come detto, in data 24 marzo 1999), le parti si siano nuovamente incontrate ed abbiano pattuito, con un nuovo atto, seppure collegato al precedente, la riduzione del corrispettivo della cessione.

2.2. Il motivo, le cui censure vanno esaminate congiuntamente essendo strettamente connesse, si rivela non fondato.

Il giudice di appello, nella sentenza impugnata, dopo avere, nella parte narrativa, affermato che la società, con il contratto originario, “trasferiva un ramo d’azienda sottoponendo l’atto a condizione sospensiva e con possibilità di modifica del corrispettivo”, ha poi qualificato l’atto del 24 marzo 1999 “integrativo e sostanziale”, “col quale le parti intervenute nell’atto determinavano il corrispettivo definitivo della cessione e che non può essere scisso dal precedente atto sottoposto a condizione sospensiva”.

Appare evidente, pertanto, che il giudice di merito, esercitando i suoi poteri di interpretazione delle convenzioni intercorse tra le parti, ai sensi degli artt. 1362 e segg. cod. civ., ha ravvisato nel caso in esame un contratto a formazione progressiva, o, quanto meno, un oggettivo collegamento strutturale e funzionale tra gli atti stipulati dalle parti, tale da configurare, ai fini dell’imposta di registro, secondo il criterio dettato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, una effettiva sostanziale unitarietà del fenomeno negoziale (cfr. Cass. nn. 2618 del 1973, 4064 del 1997, 9944 del 2000, 2713 del 2002, 11769 del 2008), con la conseguenza che il dies a quo del termine di decadenza del potere dell’Ufficio va individuato in quello della richiesta di registrazione dell’ultimo atto dell’unica fattispecie complessa.

Tale accertamento, che si risolve in un apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito, non è stato oggetto di adeguata censura da parte della ricorrente, la quale si è limitata a contrapporre, a quella effettuata dal giudice a quo, senza evidenziarne specifici vizi logico-giuridici, una propria, diversa, ricostruzione ed interpretazione del contenuto delle pattuizioni intercorse (peraltro ignorando – nell’attribuire all’atto del 24 marzo 1999 natura distinta dal precedente e connessa al verificarsi di un evento successivo – che il medesimo giudice aveva invece sottolineato la circostanza che nel contratto originario era stata espressamente prevista la possibilità di modifica del corrispettivo, che, pertanto, era stato sostanzialmente determinato in via provvisoria).

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo (al riguardo va precisato che la costituzione dell’Agenzia delle entrate, unico soggetto passivamente legittimato, ha sanato, con effetto ex tunc, la nullità del ricorso, proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, privo di legittimazione ad causarti: cfr. Cass. n. 27452 del 2008).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5100,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre contributo unificato, spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

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