Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15191 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14389 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

B.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefano Loconte per

procura speciale a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliato

in Roma, via Giovan Battista Martini, n. 14, presso lo studio

dell’Avv. Paolella Marzia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 49/27/2012, depositata il giorno 16

aprile 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti di B.D., titolare della ditta Global Trading, un avviso di accertamento con il quale, a seguito di rinvenimento presso Fusion Point s.r.l. di fatture a firma del ricorrente relative all’anno 2004 ritenute fittizie, aveva contestato l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, recuperando a tassazione maggiori Irpef, Irap e Iva; avverso il suddetto atto impositivo B.D. aveva proposto ricorso, deducendo che la firma apposta alle fatture era falsa e che lo stesso aveva costituito la ditta nell’ottobre 2003 ed aveva cessato l’attività a fine novembre 2003, mentre le fatture erano state emesse nel 2004; la Commissione tributaria provinciale di Varese aveva rigettato il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: non sussisteva il vizio di motivazione della sentenza di primo grado; circa il motivo di appello con il quale era stata contestata l’omessa pronuncia sulla richiesta di consulenza grafologica sulla firma apposta alle fatture, seppure fondata, era comunque da considerarsi inammissibile, sia in quanto la fattura è un mero documento contabile che non necessita della firma per la sua validità sia in quanto il contribuente avrebbe dovuto proporre formale istanza di disconoscimento; era inammissibile l’istanza di ammissione della prova testimoniale nel giudizio tributario; sussistevano, nella fattispecie, elementi presuntivi che rendevano legittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria;

avverso la suddetta pronuncia B.D. ha proposto ricorso affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in particolare per non avere esaminato la perizia grafologica redatta dalla Dott.ssa V.F. e il verbale relativo all’udienza del 2 marzo 2009 presso il tribunale penale di Varese, contenente le dichiarazioni della suddetta Dott.ssa V.F., nonchè quattordici prospetti paga della ditta REED di Londra, nonchè per avere reso una pronuncia insufficiente sotto il profilo degli elementi di prova presuntiva posti a fondamento della pretesa dell’amministrazione finanziaria;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, si limita a censurare la decisione del giudice del gravame per non avere esaminato la perizia grafologica della Dott.ssa V.F. nonchè le dichiarazione dalla stessa resi quale teste nel processo penale instauratori nei confronti del contribuente, nonchè quattordici prospetti paga della ditta REED di Londra, senza tuttavia, in violazione del principio di specificità del motivo, di cui all’art. 366 c.p.c., allegare o riprodurre in questa sede il contenuto degli stessi, non consentendo, in tal modo, a questa Corte di apprezzare la rilevanza della documentazione ai fini della valutazione della fondatezza del motivo;

nè può ragionarsi in termini di insufficiente motivazione, in quanto, a fronte della contestazione della omessa dichiarazione e conseguente assolvimento degli obblighi fiscali, il giudice del gravame ha fondato la decisione su diversi elementi di prova presuntiva, in particolare: il fatto stesso della sottoscrizione delle fatture emesse su carta intestata della ditta; la circostanza che il giudice penale, che aveva assolto il contribuente con formula dubitativa, aveva comunque ritenuto fondata la circostanza che le fatture fossero state emesse a fronte di prestazioni inesistenti; il contenuto delle dichiarazioni del legale rappresentante della Fusion Point ai verificatori, non smentite da alcuna contestazione, che aveva affermato di avere trattato personalmente con il signor B. con il quale aveva avuto rapporti commerciali (vd. pag. 3, e 4, sentenza); la circostanza che la querela era stata proposta contro ignoti;

dal suddetto quadro indiziario il giudizio del gravame ha ritenuto di dovere evincere la fondatezza delle pretesa dell’amministrazione finanziaria: si tratta, invero, di una valutazione degli elementi presuntivi da cui se ne è fatto discendere la considerazione finale della inesistenza delle operazioni di cui alle fatture, non censurabile in questa sede, attenendo al merito della decisione;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, per non avere accertato se parte ricorrente aveva assolto al proprio onere di prova contraria;

il motivo è inammissibile;

la censura in esame, in sostanza, si fonda sulla considerazione che il giudice del gravame non avrebbe tenuto in considerazione gli elementi di prova contraria prospettati dal ricorrente;

in realtà, anche in questo caso la ragione di censura, tesa a dare rilievo agli elementi di prova contraria prospettati dal ricorrente, risulta priva di specificità, secondo quanto si è già avuto modo di evidenziare in sede di esame del primo motivo di ricorso;

d’altro lato, il giudice del gravame ha comunque valutato la prova contraria, ritenendo che la stessa non fosse idonea a superare gli elementi di prova presuntiva fatti valere dall’amministrazione finanziaria, sicchè, in tal modo, ha reso evidente di essersi confrontato con le stesse ai fini del decidere;

in conclusione, i motivi sono inammissibili, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto;

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 16 luglio 2020

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