Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15190 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 23/06/2010), n.15190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

ENI SPA, già AGIP PETROLI SPA, in persona del Direttore legale,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI 11, presso lo

studio dell’avvocato SALVINI LIVIA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CIPOLLA GIUSEPPE MARIA, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 61/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 07/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIACOBBE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato SALVINI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Agip Petroli s.p.a., con atti di fusione reg.ti il 16.12.94 al n. 56430/1B e il 22.12.94 al n. 57968/1B, incorporava rispettivamente la società Agip Raffinazione s.p.a. e Agipplass s.p.a. e, in sede di registrazione, scontava l’imposta proporzionale di registro pari all’1% del valore delle operazioni. Quindi con distinti ricorsi impugnava il silenzio-rifiuto maturatosi in relazione alle istanze di rimborso avanzate per l’imposta versata sostenendo che, in virtù dell’art. 4, par. 1, lett. C) e art. 7, par. 1 della Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 17.7.69 n. 335, e successive modifiche, a partire dal 1.1.1986 le operazioni societarie di fusione dovevano essere esentate dall’imposta di registro; richiamava altresì la sentenza della Corte Costituzionale 168/1991. L’ufficio controdeduceva di essersi attenuto al D.L. n. 323 del 1996 che, pur recependo le direttive comunitarie, non prevedeva la retroattività delle disposizioni.

L’adita Commissione tributaria Provinciale con distinte sentenze accoglieva i ricorsi.

Contro le stesse l’Ufficio proponeva ricorsi, poi riuniti dalla Commissione Tributaria Regionale, sostenendo che la Corte di giustizia Europea aveva ritenuto, con sentenza 27.10.98 (causa C 152/97) che la cit. Direttiva 335/69 non osta alla riscossione dell’imposta in esame nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, la società incorporante detenga già l’intero pacchetto dell’incorporata. La contribuente resisteva eccependo che tale eccezione era formulata per la prima volta in appello. La Commissione Tributaria Regionale ha rigettato l’appello ritenendo proposta un’eccezione nuova e ribadendo la tesi affermata dal giudice di primo grado.

Contro tale ultima sentenza ricorrono per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate con motivo unico. La contribuente resiste controdeducendo.

Motivazioni:

Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, in quanto privo di legittimazione, non essendo stato parte del giudizio di merito.

L’agenzia delle Entrate ricorre deducendo – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e D.P.R. n. 131 del 1986, art. 50 dell’art. 4, lett. b) della tariffa ad esso allegata e dell’art. 7 della Direttiva CEE 69/335, come modificata dalle Direttive 73/80 e 85/303: assume di non avere, in sede di appello, proposto delle eccezioni nuove ma unicamente approfondito, alla luce delle ultime novità giurisprudenziali e legislative, l’esatta collocazione da attribuire alla questione dell’applicabilità delle Direttive Comunitarie alla fattispecie; conseguentemente lamenta che l’impugnata sentenza non ha tenuto conto della evoluzione della giurisprudenza comunitaria che esclude l’esenzione dall’imposta in esame nell’ipotesi in cui si abbia una fusione per incorporazione, con estinzione della società incorporata, da parte di altra società già proprietaria dell’intero pacchetto sociale dell’incorporata.

La contribuente-controricorrente eccepisce in primo luogo l’inammissibilità dei ricorso per difetto di autosufficienza del ricorso, non essendo stato riportati i motivi dell’appello con i quali veniva proposta innanzi a quel giudice, per la prima volta, la questione poi non trattata perchè ritenuta inammissibile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57; inoltre osserva che con tale eccezione l’Ufficio contesta che l’operazione di fusione in questione, per le caratteristiche sue proprie – non essendovi un aumento effettivo del capitale sociale -, possa essere ricompresa tra quelle che godono dell’esenzione, ed eccepisce che tale questione non è stata mai trattata e che sulla stessa non si è formato un contraddittorio.

Alla luce delle considerazioni svolte da entrambe le parti questa Corte ritiene il ricorso ammissibile.

E’ infatti l’impugnata sentenza a dare conto dell’esistenza e del contenuto specifico dell’eccezione già sollevata dall’Ufficio nell’atto di appello: nella stessa si legge. “Avverso tali decisioni l’Ufficio proponeva distinti appelli soste ne do che nei caso in cui (come nella fattispecie) la società incorporante detenga l’intero pacchetto azionano o sociale dell’incorporata, la Corte di Giustizia GEE – con sentenza 27.10.98 causa C-2152/97 – aveva ritenuto che la direttiva n. 335 del 17.7.69 non osta alla riscossione dell’imposta di registro e che di conseguenza non erano dovuti i rimborsi richiesti. La società Cui s.p.a. incorporante l’Agip Petroli controdeduceva resistendo ed eccependo anche che il motivo anzidetto era stato formulato per la prima volta in sede di appello”.

Essendovi pertanto un chiaro collegamento tra le enunciazione del mezzo di impugnazione e la sentenza impugnata, il cui deposito è imposto dalla legge ai sensi dell’art. 369 c.p.c., è possibile il richiesto controllo di legittimità senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee al ricorso e quindi, ad elementi ed atti attinenti al pregresso giudizio di merito.

Il ricorso è pertanto ammissibile.

Lo stesso si appalesa inoltre fondato per essere l’eccezione sollevata dall’Ufficio solo in grado appello rientrante tra quelle consentite di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

Va premesso che la formulazione dell’eccezione in esame fonda su di un’elaborazione giurisprudenziale, oramai consolidata (Cass. n. 9284/99; 11100/99; 15528/2002; 2691/2003; 6234/2003; 2819/2004), affermata da questa Corte.

L’art. 1 della Direttiva CEE 85/303, che ha sostituito l’art. 7 della precedente Direttiva 69/335, ha mantenuto, quale requisito essenziale della riduzione dell’aliquota sui conferimenti della totalità di patrimoni sociali, la condizione che “i conferimenti siano esclusivamente remunerati mediante attribuzione di quote sociali”.

Sul punto questa Corte ha già avuto modo di affermare che oggetto della Direttiva 69/335 sono soltanto le imposte indirette sui conferimenti di capitali in società, qualora, per effetto di trasferimento, si modifichi l’assetto sociale dell’incorporante, con conferimento remunerato con diritti propri dei soci o con quote sociali (art. 4, n. lett. d) e 7 n. 1 lett. b) Direttiva 69/335 cit).

La normativa CEE sussume dunque quelle fattispecie in cui il trasferimento patrimoniale incide sulla struttura societaria, con conseguente ridistribuzione di quote, ovvero passaggio di diritti propri dei soci alla società conferitaria.

Viceversa, essendo il capitale sociale costituito dall’insieme dei conferimenti, qualora nella fusione per incorporazione non vi sia aumento di capitale sociale, per essere le quote sociali incorporate già tutte appartenenti all’incorporante, non vi è aumento di capitale, ma soltanto modifica del fondo sociale costituito dal patrimonio e dal capitale, senza che si realizzi una “raccolta” o la “libera circolazione di capitali” di cui alla citata Direttiva (Cass. n. 11100 del 1999; n. 2819 del 2004 cit.), poichè il capitale dell’incorporata non aumenta quello dell’incorporante, ma rientra nell’attivo del bilancio di questa. Tale situazione, esulando dalle previsioni e dalle finalità della normativa CEE, consente l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro sull’atto di incorporazione di società ad opera di altra società che detiene già la totalità delle azioni e delle quote della società incorporata.

Resta da esaminare la tematica della proponibilità della eccezione, sollevata dall’Ufficio per la prima volta in sede di appello, sull’applicabilità alla fattispecie delle Direttive Comunitarie sopra richiamate, eccezione ritenuta inammissibile dalla sentenza impugnata. Viene, in proposito, invocata la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 27 n ottobre 1998 in causa C – 152/97, AGAS C. Amministrazione Finanziaria, nella quale è stato esplicitamente affermato che le predette direttive non ostano alla riscossione di un’imposta di registro in caso di incorporazione di società da parte di un’altra società che già ne detiene la totalità delle azioni o delle quote.

Sulla questione dell’esenzione, e particolarmente se la regola enunciata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia sia o meno applicabile ove per la prima volta dedotta in cassazione questa Corte si è già pronunciata (Cass. Sez. U, n. 26948 del 2006) affermando “In tema di imposta di registro, e con riferimento alla fusione di società mediante incorporazione, la contestazione da parte dell’Ufficio della possibilità d’invocare l’art. 4 della direttiva n. 69/335/CEE del Consiglio, del 17 luglio 1969 (come modificata dalla direttiva n. 73/80/CEE del Consiglio, del 9 aprile 1973, (in applicazione del principio di effettività del diritto comunitario) e dalla direttiva n. 85/303/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1.985), indipendentemente dalle ragioni poste a base della relativa deduzione, vale ad introdurre, anche in sede di legittimità (analogamente a quanto accade in presenza di una pronuncia di illegittimità costituzionale o di “ius superveniens”), l’indagine in ordine alla sussistenza del presupposto prescritto dalla predetta disposizione ai fini dell’esenzione dall’imposta proporzionale, ovverosia alla sussistenza di un effettivo conferimento nel capitale dell’incorporata, ed implica quindi l’esclusione del beneficio nell’ipotesi in cui l’incorporante detenga già l’intero capitale dell’incorporata. Il potere-dovere del giudice di conformarsi al diritto comunitario nella decisione della controversia comporta infatti la necessaria disapplicazione delle regole processuali di diritto interno che, precludendo in sede di legittimità l’esame di questioni non specificamente dedotte dal ricorrente e l’introduzione di nuove questioni di fatto, impediscono la piena applicazione delle norme comunitarie”.

Tale principio comporta che la conformazione del diritto interno deve trovare piena attuazione anche con riguardo alle regole processuali o procedimentali che impediscono una piena applicazione del diritto comunitario. La Corte di Giustizia ha infatti affermato (nella sentenza 14 dicembre 1995 in causa C – 312/93, Peterbroek, Van Campenhout & Cie SCS.) che i principi di effettività e di non discriminazione ostano “all’applicazione di una norma processuale nazionale che … vieta al giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, di valutare d’ufficio la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, quando quest’ultima non sia stata invocata dal singolo entro un determinato termine”.

Il principio in esame, pertanto, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui la contestazione sull’applicabilità alla fattispecie concreta delle Direttive Comunitarie sia stata affrontata per la prima volta in sede di appello.

Per quanto riguarda, infine, il problema dei presupposti di fatto necessari per l’applicazione del principio di effettività affermato dalla giurisprudenza comunitaria, e cioè che nella fattispecie in esame vi sia stata una fusione per incorporazione, con estinzione della società incorporata, da parte di una società che già deteneva l’intero pacchetto sociale dell’incorporata, si rileva che nella fattispecie in esame la detenzione da parte della società incorporante dell’intero capitale dell’incorporata costituisce una circostanza assolutamente incontestata, costituendo oggetto di doglianza da parte della controricorrente non tale dato ma solo la novità della relativa eccezione e quindi la mancanza di esame del giudice di prime cure sulla stessa. Tanto determina la insussistenza della necessità di nuove indagini di fatto e consente alla Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 cod. proc. civ., di rigettare il ricorso introduttivo della ENI s.p.a..

In definitiva, la decisione della commissione tributaria regionale, che ha applicato il regime agevolativo in un caso in cui – secondo il diritto comunitario – lo stesso non può essere riconosciuto, deve essere cassata senza rinvio.

Stante la complessità della questione e l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza al momento della proposizione del ricorso, deve adottarsi una pronuncia di compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Compensa interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

 

 

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