Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15190 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 22669 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.O. rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al controricorso, dall’Avv. Eugenia Concetta Pagano,

domiciliato presso la cancelleria della Corte di cassazione;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia-Romagna n. 9/04/2013, depositata in data 22

febbraio 2013

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 febbraio 2020 dal Relatore Consigliere Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

che:

-con sentenza n. 9/04/2013, depositata in data 22 febbraio 2013, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna aveva accolto parzialmente l’appello proposto da G.O. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 137/03/10 della Commissione tributaria provinciale di Bologna che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Bologna, previo p.v.c. della G.d.F., aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 32,39, per l’anno 2005, un maggiore reddito imponibile, ai fini Irpef, Irap e Iva, assumendo come ricavi non dichiarati gli accreditamenti e gli addebitamenti bancari non giustificati;

– la CTR- rideterminando il reddito imponibile, per l’anno 2005, in Euro 144.988,74 – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) a fronte della contestazione dell’Ufficio con l’avviso di accertamento in questione nei confronti di G.O., esercente attività di ragioniere-commercialista, di un maggiore reddito imponibile quale titolare di una “struttura imprenditoriale di lavoro autonomo” finalizzata – come da previo p.v.c. della G.d.F. – a commettere truffe in danno di compagnie assicuratrici- avvalendosi di una struttura organizzata ramificata con i vari medici che redigevano le compiacenti relazioni e con i carrozzieri che rilasciavano fatture concernenti danni maggiori di quelli effettivi – con versamento degli assegni relativi ai lucrati più alti indennizzi, comprensivi anche del proprio compenso, sui conti correnti a lui intestati, il contribuente aveva prodotto le copie degli assegni e l’indicazione dei beneficiari degli importi prelevati superando la presunzione legale di riconduzione ai ricavi delle movimentazioni bancarie asseritamente ingiustificate; 2)l’Agenzia non aveva eccepito la non veridicità di tale documentazione nè che i beneficiari degli assegni fossero soggetti diversi ovvero avessero ricevuto i titoli per causali diverse; 3) ne conseguiva il superamento della presunzione normativa e la riduzione del reddito non dichiarato dell’anno 2005 alla differenza tra le somme versate e quelle prelevate dai conti correnti pari a Euro 144.988,74 (totale versamenti Euro 1.866.842,00; totale prelevamenti Euro 1.721.853,26);

-avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

-con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, per avere la CTR erroneamente ritenuto automaticamente giustificati i versamenti per l’importo pari ai prelievi effettuati, con conseguente rideterminazione del reddito imponibile pari a 144.988,74 quale differenza tra i versamenti e i prelevamenti dai conti correnti del contribuente, ancorchè i prelievi non possano essere considerati di per sè costi deducibili dovendo quest’ultimo provare che sia le operazioni attive che quelle passive asseritamente ingiustificate siano estranee ai fatti imponibili;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, per avere la CTR – nel ritenere deducibili gli importi versati dal contribuente sui propri conti correnti, indebitamente percepiti dalle compagnie assicurative, per poi consegnarli ai complici depurati della propria percentuale- ammesso, in violazione della citata L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, in deduzione i costi direttamente utilizzati per il compimento dei reati ascritti al contribuente;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio per avere la CTR argomentato in modo insufficiente sulla assunta giustificazione dei movimenti in uscita (avendo “il G. analiticamente elencato i soggetti beneficiari degli importi prelevati e prodotto le copie dei titoli”) senza vagliare ogni singola movimentazione essendo evincibile dalla documentazione bancaria prodotta dal contribuente anche la presenza di numerosi prelevamenti in contanti;

– il primo motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate;

– ed invero, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili; in particolare, detta presunzione legale ha portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano (Cass. n. 19692/11) e pone un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, a prescindere dal regime di contabilità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1560 del 2015). La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità(Cass. n. 13035/12),In particolare, precisa la Corte, posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) non può essere contrapposta una mera affermazione di carattere generale, pur potendo il contribuente fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass. 30 novembre 2011, n. 25502; per la tesi più rigorosa, secondo cui il contribuente nel fornire la prova contraria, non può ricorrere a presunzioni, vedi Cass., ord. 24 luglio 2012, n. 13035; Cass. 6 ottobre 2010, n. 20735; Cass. 5 dicembre 2007, n. 25365; discorre di onere della prova del contribuente anche Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589). Ha ulteriormente precisato, al riguardo, questa Corte che, soltanto dopo che il contribuente abbia esaurientemente ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati. E dopo l’adempimento di tale onere di contestazione, può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio (Cass. 5 maggio 2011, n. 9892; Sez. 5, Sentenza n. 17250 del 2013);

– in tal senso si è espressa questa Corte (Cass. Sent. Sez. 5 n. 26111/2015) ritenendo che debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (Cass. n. 26692 del 2005; n. 20199 del 2010; n. 16650 del 2011; n. 26173 del 2011; n. 30376 del 2018; -con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in materia di imposte sui redditi; n. 15217 del 2012; n. 1418 del 2013; n. 6595 del 2013; n. 21303 del 2013; n. 20668 del 2014; n. 26111 del 2015. La presunzione legale in questione ha superato il vaglio di costituzionalità in relazione agli artt. 3 e 53 Cost. – sentenza Corte Cost. n. 225 del 2005 -: cfr. Cass. n. 13036 del 2012. Vedi Corte Cost. ord. n. 260 del 2000; Corte Cost. ord. n. 173 del 2008; Corte Cost. n. 228 del 2014);

– peraltro, questa Corte ha già avuto modo di precisare che, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, dovendosi, peraltro, escludere l’automatica inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili, in quanto le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili” (Sez. 5, Ordinanza n. 31024 del 28/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 25317 del 28/11/2014; Sez. 5, Sentenza n. 5192 del 04/03/2011);

-pertanto, il contribuente è tenuto a fornire prova contraria alle risultanze, che deve essere valutata dal giudice, non già in modo generico, ma in rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali operazioni la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile soltanto quanto risultante dai singoli movimenti bancari (Cass.n. 16650/2011; sulla necessaria corrispondenza, a fronte della analiticità nella deduzione del mezzo di prova da parte del contribuente, di una speculare analiticità da parte del giudice nell’esaminare quanto dedotto e documentato v., da ultimo; Cass. Sez. 5, Ord. n. 30786 del 28/11/2018);

-nel caso di specie, premesso che, come si evince dalla sentenza impugnata, la contestazione dell’Ufficio, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, nei confronti di G.O. di un maggiore reddito imponibile in forza di riscontrate movimentazione bancarie asseritamente ingiustificate e, dunque, presuntivamente imputabili ai ricavi poggia sulla configurazione in capo al contribuente medesimo in base ai rilievi formulati dalla G.d.F. nel previo p.v.c. – di una vera e propria “struttura organizzata in forma imprenditoriale” di lavoro autonomo finalizzata, attraverso la collaborazione anche di medici e carrozzieri compiacenti, alla commissione di truffe ai danni di compagnie assicurative, la CTR non facendo corretta applicazione dei principi in materia, si è limitata ad affermare che il G. avesse assolto la prova contraria con superamento della presunzione legale (relativa) di imputazione ai ricavi delle movimentazioni bancarie ingiustificate, attraverso la produzione delle copie degli assegni e l’indicazione dei correlati beneficiari “con riduzione del reddito non dichiarato, per l’anno 2005, alla differenza tra le somme versate e quelle prelevate dai conti correnti pari a Euro 144.988,74”; con ciò senza, dunque, verificare l’effettivo assolvimento da parte del contribuente all’onere probatorio circa l’estraneità delle operazioni attive e passive (asseritamente ingiustificate) all’attività di impresa medesima come sopra configurata ma anzi ammettendo che così come i versamenti sul conto corrente fossero costituiti dagli indennizzi percepiti dalle compagnie assicurative comprensivi anche del proprio compenso, i prelevamenti servissero proprio a distribuire i proventi delle truffe agli altri partecipi dei contestati illeciti;

– l’accoglimento del primo motivo, rende inutile la trattazione degli altri con assorbimento degli stessi;

– in conclusione, va accolto il primo motivo, assorbiti gli altri; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, affinchè esamini il merito della vicenda.

P.Q.M.

la Corte:

accoglie il primo motivo; assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 16 luglio 2020

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