Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15190 del 04/06/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/06/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 04/06/2019), n.15190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21305-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

EGIMOTORS SRL UNIPERSONALE in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso

lo studio dell’avvocato MARIALUCREZIA TURCO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE FRANCESCO LOVETERE,

GIUSEPPA MARIA TERESA (GIUSI) LAMICELA giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 774/2016 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 30/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2019 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso il rigetto eccezione preliminare,

inammissibile il 1 motivo, rigetto dei motivi 2 e 3, assorbito il 4

motivo;

udito per il ricorrente l’Avvocato COLLABOLLETTA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato LOVETERE che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel corso del 2004, la Egimotors s.r.l. unipersonale effettuò presso la Dogana di Genova importazioni di veicoli ruotati 4×4 c.d. All Terrain Vehicles (ATVs), prodotti dalla statunitense Polaris Sales Inc, denunciandoli sotto la voce doganale “8703 – Autoveicoli da turismo e scontando dazi nella misura del 10%. Con sentenza del 27.4.2006 resa nella causa n. C-15/05 (c.d. Kawasaki-1), la Corte di Giustizia delle Comunità Europee dichiarò tuttavia l’invalidità del Punto 5 del Regolamento n. 2518/98 (sul cui presupposto la Egimotors aveva denunciato la merce suddetta), stabilendo che la tipologia di veicoli in questione avrebbe dovuto classificarsi sotto la voce “8701 – Trattori…”, ed in particolare – al concorso di quattro determinate condizioni (su cui infra) – alle sottovoci da 87019011 a 87019039 a seconda della potenza dei motori di cui sono dotati, con conseguente totale esenzione dai dazi, come previsto dal Regolamento CEE n. 2658/87. La Egimotors, ritenendo che – alla luce di detta decisione – la voce doganale denunciata per le importazioni in questione fosse conseguentemente errata, inoltrò in data 17.5.2007 istanza di revisione dell’accertamento, nonchè di rimborso di Euro 7.549,96, ai sensi del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11. Stante il silenzio-rifiuto opposto dall’Ufficio, la società propose ricorso dinanzi alla C.T.P. di Genova, che con ordinanza interlocutoria dispose C.T.U., al fine di verificare se i veicoli in discorso fossero o meno dotati delle caratteristiche tecniche di cui alla sentenza Kawasaki-1. Acquisito l’elaborato, la C.T.P. accolse il ricorso della contribuente con sentenza del 3.4.2012, condannando l’Ufficio al chiesto rimborso. La C.T.R. della Liguria, adita dall’Ufficio, respinse l’appello con sentenza del 30.5.2016. Osservò il secondo giudice che i veicoli in discorso rispondevano ai requisiti di cui alla sentenza Kawasaki-1, essendo dotati a. di un solo sedile, b. di un manubrio che consente di sterzare le ruote direzionali, secondo il principio di Ackerman, c. di un dispositivo di aggancio e d. di una capacità di traino pari al doppio del proprio peso, sicchè correttamente la C.T.P., sulla scorta delle risultanze della C.T.U., aveva ritenuto di doverli classificare nelle sottovoci da 87019011 a 87019050, a seconda della potenza del loro motore. Ha poi escluso che la decisione sia stata illegittimamente fondata solo sulla C.T.U., essendo invece basata sulla documentazione prodotta dalle parti ed esaminata dal perito in contraddittorio con i consulenti di parte, negando anche l’applicabilità del D.L. n. 688 del 1982, art. 19, conv. in L. n. 873 del 1982, invocata dall’Ufficio, concernente la c.d. traslazione del tributo.

L’Agenzia delle Dogane ricorre ora per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso Egimotors s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. ha deciso la controversia sulla base delle risultanze della C.T.U. e facendo quindi ricorso a mezzi di prova acquisiti d’ufficio – facoltà eccezionalmente concessa al giudice tributario, ai sensi del citato art. 7 – così sovvertendo il regime probatorio, stante l’onere gravante sulla parte che agisce chiedendo il rimborso. Peraltro, il nominato C.T.U. si sarebbe addentrato in valutazioni giuridiche, non consentite al consulente.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5. Secondo la ricorrente, la C.T.R. non ha minimamente tenuto conto delle critiche mosse dal proprio C.T.P. all’elaborato peritale.

1.3 – Con il terzo motivo, si denuncia violazione della normativa concernente la tariffa e le regole generali per l’interpretazione della nomenclatura combinata del Reg. CEE n. 2658/1987, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole del fatto la C.T.R. ha fatto applicazione della Regola Generale Interpretativa (RGI) 3(a) premessa alla Tariffa Doganale Comune, secondo cui la voce più specifica deve avere priorità sulle voci di portata più generale, e ritenendo quindi di dover ricorrere alla sottovoce 87019020. In particolare, l’Agenzia rileva che, avuto riguardo alle Note esplicative del 2002, applicabili ratione temporis, i trattori agricoli sono “generalmente” dotati di un dispositivo idraulico volto a far alzare o abbassare gli attrezzi agricoli, nonchè di una presa di forza e di un dispositivo di attacco per i rimorchi; i trattori forestali, invece, hanno un verricello fisso, idoneo a trasportare gli alberi abbattuti, sicchè – in difetto di tali caratteristiche, non riscontrabili nei veicoli in questione – era da ritenere corretta la classificazione 87019090, e ciò in forza della RGI 3(c), secondo cui, qualora la merce non sia classificabile secondo quanto previsto dalle RGI 3(a) o 3(b), la merce deve classificarsi nella voce che, in ordine di numerazione, è posta per ultima tra quelle suscettibili di essere validamente prese in considerazione.

1.4 – Con il quarto motivo, infine, si denuncia violazione del D.L. n. 688 del 1982, art. 19, conv. in L. n. 873 del 1982, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ha errato ulteriormente la C.T.R., secondo l’Agenzia, nel non ritenere applicabile la normativa in rubrica, che fa divieto del rimborso nel caso di c.d. traslazione del tributo: esso è appunto rimborsabile, per i diritti doganali corrisposti prima del 2007, solo se il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti. Rileva la ricorrente di aver dato adeguata prova, con la produzione dei bilanci della società, che questa aveva riversato l’onere del tributo sugli acquirenti dei veicoli, sicchè la domanda della società non avrebbe comunque potuto accogliersi.

2.1 – Preliminarmente, va dichiarata inammissibile l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla società controricorrente.

Invero, questa assume di aver prodotto già in grado d’appello le sentenze rese dalla C.T.P. di Milano in data 14.7.2011 e 30.8.2011, nonchè dalla C.T.R. della Lombardia in data 21.11.2011. Dette sentenze, sulle medesime questioni agitate in questo giudizio, e specialmente sulla classificazione dei veicoli per cui è causa, si sarebbero già definitivamente pronunciate in senso favorevole alla controricorrente, che ne avrebbe conseguentemente invocato l’autorità di cosa giudicata già nel giudizio d’appello.

Ora, con la decisione impugnata, la C.T.R. non ha esplicitamente affrontato la questione, ovviamente di natura pregiudiziale, ma ha delibato (dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello per tardività) il merito della vicenda, sicchè può dirsi che l’eccezione sollevata dalla società in appello, con le controdeduzioni, sia stata implicitamente rigettata.

Così stando le cose, è evidente che l’esame del preteso giudicato esterno sia in concreto precluso in questa sede, perchè la società, pur essendo vittoriosa sul merito, avrebbe dovuto proporre ricorso incidentale condizionato in relazione al rigetto implicito dell’eccezione, impugnando la decisione d’appello, ma ciò non ha fatto. Nè, del resto, può recuperarsi una valenza impugnatoria all’eccezione stessa, perchè manca nel controricorso ogni e qualsiasi riferimento ad un sia pur minimo errore che, sul punto, sarebbe stato commesso dalla C.T.R. nel non rilevare detto giudicato esterno.

3.1 – Ciò posto, il primo motivo è inammissibile sotto molteplici profili, in tutte le sue articolazioni. Ed è comunque infondato, nei sensi di cui appresso.

Anzitutto, la pretesa violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in cui sarebbe incorso il giudice del merito, risulta essere stata sollevata per la prima volta in questa sede di legittimità, come correttamente eccepito dalla società in controricorso. La ricorrente, infatti, non tiene nella dovuta considerazione la circostanza che la C.T.U. (che, secondo la sua tesi, sarebbe consistita in un mezzo di prova disposto d’ufficio dal giudice ed idoneo a sollevare la parte tenuta a provare i fatti costitutivi dal relativo onere, ex art. 2697 c.c.) è stata disposta in primo grado dalla C.T.P.

Ne deriva che il vizio qui denunciato – pacifico essendo che la C.T.R. ha vagliato il medesimo materiale istruttorio utilizzato dal primo giudice – avrebbe dovuto proporsi già contro la prima decisione, il che non risulta dalla stessa esposizione dei fatti contenuta in ricorso. In definitiva, il motivo in esame è affetto, in parte qua, da novità.

3.2 – Stessa sorte segue la connessa censura sulla pretesa violazione dell’art. 2697 c.c., ma sotto altro profilo.

Invero, la ricorrente, dopo aver ribadito che, in tema di rimborso, l’onere della prova del fatto costitutivo grava sul contribuente, si duole del fatto che la C.T.R. avrebbe utilizzato la C.T.U. quale unica fonte di prova, giacchè la società, nel corso del giudizio, aveva prodotto documenti che non provavano alcunchè, in quanto i manuali d’uso concernevano modelli prodotti in epoca successiva a quelli in concreto importati. Aggiunge poi l’Agenzia che il C.T.U. si sarebbe spinto ad effettuare valutazioni non solo tecniche, ma anche giuridiche.

Al riguardo – ribadito che le critiche al contenuto della C.T.U. avrebbero dovuto proporsi già con l’appello – è in ogni caso fin troppo evidente che la ricorrente è incorsa nella violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, giacchè da un lato essa non indica specificamente quali giudizi espressi dal C.T.U. avrebbero travalicato i limiti della valutazione tecnica, e dall’altro non riproduce, neppure per sintesi, il contenuto dei documenti cui fa riferimento e che sarebbero stati mal considerati dal C.T.U., così non consentendo a questa Corte di valutare, dalla mera lettura del ricorso, se la questione possa rivestire carattere di decisività.

3.3 – In ogni caso, la censura sulla pretesa inversione dell’onere della prova è infondata, perchè dalla stessa esposizione contenuta in ricorso, nonchè dal tenore del quesito peritale (riportato alle pp. 8 e 9 del ricorso) e dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, risulta che il C.T.U. ha valutato il materiale documentale prodotto dalle partii e nel pieno contraddittorio con i rispettivi consulenti. Pertanto, alcuna inversione dell’onere della prova, gravante senz’altro sulla contribuente, può riscontrarsi nella specie, giacchè la decisione impugnata – pur fondata sulle immediate risultanze della C.T.U. – trova conforto nei documenti prodotti dalle parti e, segnatamente, dalla stessa società, odierna controricorrente.

4.1 – Il secondo motivo è infondato.

Con esso, ci si duole del mancato esame di fatto decisivo, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, fatto che si individua nella mancata considerazione dei rilievi mossi alla C.T.U. dal consulente di parte dell’Agenzia. Tuttavia, costituisce ormai ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, la circostanza che detta norma introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 26305/2018). Il che vale, con ogni evidenza, anche in relazione a deduzioni di tipo tecnico, quali essenzialmente sono quelle che la C.T.R., a dire della ricorrente, avrebbe omesso di esaminare. Non senza evidenziare, infine, che l’omesso esame di elementi istruttori (anche a voler così latamente qualificare le deduzioni del C.T.P. in discorso) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così, Cass. n. 27415/2018). Il che, innegabilmente, è quanto avvenuto nella specie, tanto è vero che la società, in controricorso, ha anche indicato quella parte della relazione di C.T.U. – le cui risultanze finali sono state fatte proprie dai giudici di merito – in cui le critiche mosse dal consulente dell’Agenzia erano state vagliate e disattese dallo stesso consulente d’ufficio.

5.1 – Il terzo motivo è infondato.

Ritiene la Corte che la C.T.R. abbia correttamente fatto riferimento, ai fini della classificazione per cui è processo, alla RGI 3(a), trattandosi – quella prescelta – della voce specificamente ascrivibile ai veicoli in discorso e non essendovi quindi ragione di ricorrere alla voce residuale, come invece pretenderebbe l’Agenzia.

La descritta censura non coglie quindi nel segno, ed è peraltro palesemente non in linea con la recente sentenza della Corte di Giustizia del 22.9.2016, resa nella causa C-91/15 (di seguito, “Kawasaki-2”), che ha dichiarato l’invalidità del Regolamento n. 1051/2009, al punto 2 dell’allegato (nella parte in cui stabilisce l’ascrivibilità di un veicolo analogo a quelli qui in discorso alla sottovoce 87019090, e quindi con dazio pari al 7%, giacchè “la classificazione come trattore agricolo o trattore forestale è esclusa, in quanto il veicolo non presenta una presa di forza e neppure un dispositivo di sollevamento idraulico o un verricello”), proprio perchè in contrasto con i dettami della sentenza Kawasaki-1. In particolare, sviluppando i punti da 50 a 61, la sentenza Kawasaki-2 ha convintamente escluso la possibilità di considerare i mezzi ATVs come rientranti nella sottovoce 87019090, addirittura ritenendo irrilevante la circostanza che essi possano essere utilizzati per mero svago, sufficiente invece essendo che l’uso corrispondente alla caratteristica obiettiva (destinazione agricola o forestale) ne costituisca la destinazione essenziale.

Lo stesso Reg. n. 1051/2009 (che, per quanto qui interessa, aveva reso obbligatoria, ai fini della classificazione in esenzione daziaria dei veicoli in discorso, la presenza di quegli elementi prese di forza, verricelli, ecc. – dapprima indicati dalle Note esplicative del 2002), richiamato dalla C.T.R. in motivazione, sebbene per escluderne l’applicabilità ratione temporis, è dunque invalido in parte qua, avendo la Commissione Europea travalicato le proprie competenze, attribuitele dal Reg. CEE n. 2658/1987, art. 9, par. 1, lett. a). Facendo governo di quanto precede, una volta riscontrate le quattro caratteristiche descritte e delineate dalla sentenza Kawasaki-1 (ossia, l’essere i veicoli dotati a) di un solo sedile, b) di un manubrio che consente di sterzare le ruote direzionali, secondo il principio di Ackerman, c) di un dispositivo di aggancio e d) di una capacità di traino pari al doppio del proprio peso), ai fini che qui interessano, si è al cospetto di veicoli la cui classificazione, nell’ambito delle sottovoci da 87019011 a 87019039, può variare soltanto in ragione della potenza del motore, ma pur sempre in esenzione doganale, dovendo quindi escludersi che essi possano classificarsi nella sottovoce 87019090.

La decisione d’appello è dunque esente da censure sul punto, perchè – dopo aver accertato la compresenza dei quattro requisiti suddetti – ha correttamente escluso la rilevanza di elementi (quelli “generalmente” presenti nei trattori agricoli o forestali, secondo le Note esplicative del 2002) tuttavia non ritenuti caratterizzanti dalla sentenza Kawasaki-1 (e, per quanto di ragione, dalla sentenza Kawasaki-2) ai fini che qui interessano.

6.1 – Il quarto motivo, infine, è inammissibile e comunque infondato.

Infatti, la C.T.R. ha motivato il rigetto del relativo motivo d’appello – con cui si deduceva il preteso errore del primo giudice nel non aver applicato il D.L. n. 688 del 1982, art. 19, conv. in L. n. 873 del 1982, concernente la c.d. traslazione del tributo – sulle base di due autonome rationes decidendi: da un lato si è affermato che alcuna prova della traslazione era stata fornita dalla parte pubblica, atteso che le risultanze dei bilanci della società per gli anni 20032005, da cui emergeva sempre un utile di esercizio, non erano idonee a supportare alcuna presunzione nel senso richiesto; dall’altro, si è comunque osservato che il citato art. 19, ai sensi della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 3, si applica soltanto se i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario. Nella specie, indubbia essendo la rilevanza comunitaria del tributo in discorso (i dazi essendo risorse proprie dell’UE), non v’è quindi spazio per il citato art. 19.

La ricorrente, in proposito, ha censurato solfo la prima ratio decidendi, ma non anche quest’ultima, sicchè il motivo è inammissibile.

In ogni caso, non v’è dubbio che il citato art. 19 non sia applicabile nella fattispecie, proprio in forza della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 3, sicchè il motivo risulta comunque infondato.

7.1 – Il ricorso è dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Infine, nulla va disposto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1, comma 1-quater, trattandosi di ricorso proposto da Amministrazione dello Stato, ammessa alla prenotazione a debito (Cass. n. 1778/2016).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

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