Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15189 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 23/06/2010), n.15189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

LUCREZIO CARO 67, presso lo studio dell’avvocato SALIS LUCIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PICONE GIUSEPPE, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, COMM. GOVERNO BANCO DI NAPOLI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 62/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 08/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PICONE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso, assorbiti gli altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.S. propose ricorso avverso la cartella di pagamento Registro 1995 per Euro 23.068,38 eccependo la mancata indicazione degli elementi costitutivi della pretesa; la mancanza di ogni preventivo avviso di accertamento, di liquidazione od ordine di pagamento; la prescrizione del diritto; il difetto del diritto impositivo, nell’ipotesi in cui la richiesta fosse relativa ai rapporti di conto dell’oramai cessata esattoria, per non essere mai stata preventivamente adita la Corte dei Conti; l’infondatezza della domanda per mancanza di prova della sua fondatezza. Il concessionario, costituitosi, eccepiva l’inammissibilità del ricorso.

La Commissione tributaria Provinciale rigettava il ricorso.

Il contribuente proponeva appello reiterando le sue doglianze e censurando la impugnata sentenza per non avere esaminato nessuno dei motivi dell’opposizione e per essere totalmente carente di motivazione.

La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello. Contro la relativa sentenza il contribuente ricorre per cassazione con quadruplice motivo, il concessionario non controdeduce; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, privo di legittimazione, non essendo stato parte del giudizio di merito.

Il contribuente deduce con il primo motivo del ricorso il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 4, per mancanza di motivazione o motivazione apparente in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att.; con il secondo motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4; con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att., con vizio della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5; con il quarto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 24 Cost., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. d) L. n. 241 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, art. 118 disp. att. e art. 112 c.p., con vizio della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5. L’Agenzia controricorrente, a sua volta, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per essere tutti i motivi dedotti attinenti ai presupposti dell’iscrizione a ruolo della riscossione e non alla cartella e comunque la conoscenza da parte del contribuente della pretesa tributaria.

I motivi primo, terzo e quarto del ricorso possono essere esaminati congiuntamente affrontando, da diverse angolature (art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5) la medesima tematica della nullità della sentenza per inesistenza, illogicità e contradittorietà della motivazione circa i fatti controversi decisivi per il giudizio.

La censura è manifestamente fondata alla luce dei consolidati principi enucleati da questa Corte che ha già affermato: “E’ noto che secondo il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2 e 4 – la cui formulazione è quasi del tutto identica a quella dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – la sentenza della Commissione tributaria deve contenere, tra l’altro, “la concisa esposizione dello svolgimento del processo” e la “succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”. L’art. 118 disp. att. c.p.c. – sicuramente applicabile anche al nuovo rito tributario in forza del generalissimo rinvio materiale alle norme del codice di rito civile “compatibili” operato dall’art. 1, comma 2, del predetto decreto delegato – stabilisce, tra l’altro (comma 1), che “la motivazione della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., numero 4, del codice consiste nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione”. Le richiamate disposizioni costituiscono attuazione, anche nel processo tributario, del principio costituzionale secondo cui “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati” (art. 111 Cost.). Orbene, costituisce costante orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio e sicuramente pertinente anche alle sentenze dei giudice tributario, in forza di quanto stabilito dalle disposizioni testè richiamate – quello, secondo cui la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa e l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza, allorquando rendono impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (cfr. Cass. nn. 2711/1990, 5101/1999, 3282/1999,1944/2001).” Alla luce di tali principi la impugnata sentenza deve considerarsi nulla in quanto la motivazione della stessa non solo non è autosufficiente (nel senso che solo dalla lettura della stessa e non aliunde sia possibile rendersi conto delle ragioni di fatto e di diritto che stanno alla base della decisione), ma è costituita da assioma tiene e concise espressioni che, in sè considerate, risultano totalmente immotivate proprio perchè disancorate da qualsiasi precisazione in fatto ed in diritto. Tutte le eccezioni sollevate dal contribuente vengono meramente elencate nello svolgimento del processo ma non affrontate in alcun modo nella parte motivazionale della sentenza: in particolare non è dato sapere quale sia l’iter logico-giuridico seguito dai giudici dell’appello in relazione alla ritenuta – ma meramente assunta – irrilevanza della lamentata mancanza di indicazione degli elementi costitutivi della pretesa o della notifica dell’accertamento in base al quale è stata emessa l’impugnata cartella. Ancora appare meramente apodittico assumere che “vertendosi, come lo stesso S. afferrma, in materia di rapporti relativi alla funzione di esattore di cui egli stesso era titolare, lo stesso noti poteva non conoscere a quale rapporto esattoriale si riferisse la pretesa impositiva, l’esistenza del preteso rapporto in testa al medesimo appellante, l’eventuale cessione operata a favore della società a lui subentrata nel rapporto esattoriale, la compensazione che all’esattore rompetemi tra debiti e crediti esattoriali”. Trattasi di parole che si commentano da sole se solo si considera che il contribuente, come risulta dal ricorso dotato della necessaria autosufficienza, aveva specificamente eccepito sia in primo che in secondo grado sia la totale carenza di elementi dai quali desumere il petitum e la causa petendi della pretesa tributaria, sia, ove mai la pretesa si riferisse al cessato rapporto esattoriale, il difetto del potere impositivo per non essere mai stata adita la Corte dei Conti, oltre ad aver eccepito la mancanza di notifica dell’atto impositivo prodromico alla cartella esattoriale, la prescrizione del diritto.

D’altra parte si rileva che ancora in sede di controricorso l’Agenzia, pur a fronte della ventilata ipotesi, (come si legge nel ricorso) di un caso di omonimia per essere forse l’imposta (ex codice del tributo) dovuta a seguito di concessione di bene demaniale – mai chiesto nè ottenuto dallo stesso – non solo non ha contrastato tale punto ma ha assiomaticamente e laconicamente affermato la piena conoscenza da parte del contribuente della natura de tributo di cui alla cartella esattoriale in questione.

Sulla base delle svolte argomentazioni, rimanendo assorbito il secondo motivo di ricorso con cui si denuncia la violazione dell’art 112 c.p.c., per non avere la sentenza omesso di esaminare i motivi dell’appello, l’impugnata decisione deve essere annullata per carenza di motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa viene decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente. Le spese dell’intero giudizio seguono il principio della soccombenza nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, mentre vengono compensate nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, tenuto conto dell’inammissibilità del ricorso contro lo stesso proposto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Accoglie il primo, terzo e quarto motivo del ricorso, assorbito il secondo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa le spese nei confronti del Ministero. Condanna l’Agenzia alle spese dell’intero procedimeato che liquida in Euro 3.700,00 delle quali Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

 

 

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