Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15189 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. II, 11/07/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 11/07/2011), n.15189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRARO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23389/2005 proposto da:

MANGIMIFICIO MOLISANO MM1 SPA P.I. (OMISSIS) IN PERSONA DEL

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DOTT. D.

B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SPALATO 11, presso

lo studio dell’avvocato VENTOLA Michele, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PIZZUTI FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

G.F. P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato GENTILE

Gian Michele, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 33/2005 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 14/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/03/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Ventola Michele difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Messere Giovanni con delega depositata in udienza

dell’Avv. Gentile Gian Michele difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Mangimificio Molisano MM1 spa otteneva ingiunzione relativa a numerose forniture di mangime effettuate tra il novembre 1997 e il maggio 1998 in favore di G.F..

L’opposizione del G. veniva accolta dal tribunale di Campobasso limitatamente a una sola fornitura, sottoposta a verifica della merce con analisi.

Il tribunale condannava l’opponente al pagamento del residuo debito.

Riteneva che la prova di vizi di una sola partita non dimostrava ulteriori inadempimenti, ma affermava l’esistenza di un grave difetto di qualità di quella partita.

Su appello del G., la Corte di appello di Campobasso dichiarava risolto il contratto, qualificato come somministrazione, e dichiarava che nulla era dovuto in relazione a tutte le forniture effettuate.

A tal fine riteneva che il grave inadempimento dipendeva dagli effetti ricollegabili alla fornitura n. 4024. Osservava che se le forniture precedenti non fossero state viziate e non avessero causato inconvenienti al bestiame, l’appellante G. non avrebbe avuto motivo di prelevare in contraddittorio il campione di una fornitura ancora sigillata; che ciò non avrebbe fatto prima del manifestarsi di effetti tossici e che quindi quel prelievo era servito a verificare la riconducibilità alle forniture degli effetti sulla salute del bestiame. Di qui la prova presuntiva che tutte le partite erano avariate.

Quanto ai danni, in mancanza di prova specifica del decesso di animali o di altre malattie, in via equitativa la Corte stabiliva un risarcimento di 5.000,00 Euro per i danni alla salute dei bestiame.

La Mangimificio Molisano MM1 spa ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 3 ottobre 2005, articolato in sei motivi e resistito da controricorso del G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2) Con il primo motivo il Mangimificio lamenta violazione dell’art. 1559 c.c. e art. 115 c.p.c..

Critica la sentenza impugnata per avere qualificato come somministrazione il contratto tra le parti, sebbene non fosse stato dedotto – nè provato – un preventivo accordo di fornitura di un certo tipo di prodotti, per un dato periodo e per un prezzo predeterminato.

La censura è fondata. La Corte territoriale, pur non ritenendolo determinante, ha stabilito che le forniture erano state effettuate in forza di contratto di somministrazione, come desunto “dall’unicità dell’obbligazione e della causa delle varie forniture”.

Questa esile motivazione cela un errore di sussunzione (falsa applicazione di legge), perchè viene qualificato come contratto di somministrazione un rapporto giuridico, senza che siano stati accertati i caratteri tipici del tipo contrattuale.

Si legge in giurisprudenza che la somministrazione ha la sua essenza nella durata, poichè le singole forniture corrispondono ad un bisogno reiterato e durevole del somministrando, la quantità complessiva della prestazione non e determinabile a priori prima dell’inizio dell’esecuzione del contratto, ma diventa determinabile nel corso di detta esecuzione, in base alle finalità, previste in contratto, che le forniture debbono soddisfare, restando così individuata anche la durata del contratto, che avrà termine con l’esaurimento di tale finalità (Cass. 4228/76).

Nelle affermazioni del giudice di merito non emerge che la periodicità o la continuità delle prestazioni si pongono come elementi essenziali del contratto stesso, in funzione di un fabbisogno del somministrato (Cass. 7380/91).

E’ vero che nel tipo delineato dall’art. 1559 cod. civ., si individua un contratto di scambio, di durata, ad esecuzione continuata, che si caratterizza come negozio unitario pur nel ripetersi degli atti di esecuzione (Cass. 10521/95). Tuttavia la pluralità di prestazioni ad un cliente da parte di un fornitore non può essere condizione sufficiente per configurare il contratto de quo, ove non sia individuata la connessione tra le prestazioni stesse, ditalchè la affermazione resa in sentenza resta una erronea e superflua presa di posizione.

3) Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge (art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c.) e vizi di motivazione in relazione alla mancata prova degli inconvenienti derivati alla mandria dai pretesi vizi del mangime venduto al G..

La censura è palesemente fondata. La sentenza, con motivazione asfittica al punto tale da risultare illogica, ha affermato che i vizi emersi in occasione della fornitura n. 4024 del 1998 dovevano essersi verificati anche in occasione di tutte le forniture anteriori. Ha affermato ciò sulla base dell’impurità di una iniziale fornitura di latte in polvere per vitelli e della circostanza induttiva che se i vizi non si fossero manifestati in precedenza, il G. non avrebbe chiesto la verifica in contraddittorio del mangime della partita 4204, effettuando i relativi prelievi.

Parte ricorrente ha buon giuoco ad evidenziare la insufficienza logico-argomentativa di questa motivazione. In un insieme non precisato di numerose forniture svoltesi nell’arco di oltre sei mesi, risulta privo di aggancio ai criteri ordinari di causalità e della logica presuntiva pervenire alla conclusione che tutte le forniture fossero avariate, in presenza soltanto di prova di impurità di una (in novembre) e di accertamento di sostanze nocive in un’altra a fine aprile dell’anno successivo. Per dimostrare la persistente inadeguatezza di tutte le forniture sarebbe stato indispensabile allegare e dimostrare l’esistenza di effetti nocivi sul bestiame o di altri fattori rivelatori di adulterazione, accertati nel corso dei sei mesi e risultanti dai controlli verosimilmente predisposti dall’allevatore, il quale, se già la prima fornitura fosse stata significativamente viziata, avrebbe dovuto monitorare le successive, sì da essere in grado di documentare l’esito delle analisi.

Il ricorso lamenta invece l’assoluta assenza di riscontri (esami autoptici o diagnostici sugli animali, etc.) in tal senso e il silenzio della sentenza in proposito, oltre alla base presuntiva, valgono a dar conto della precaria apoditticità sulla quale è fondata la tesi accolta dai giudici di Campobasso.

4) Altrettanto insostenibile è il punto della decisione censurato dal quarto motivo, che lamenta l’avvenuto riconoscimento della somma di euro cinquemila per danni arrecati dalle forniture asseritamente avariate.

La sentenza ha dato atto della mancata prova dei “lamentati decessi” di animali o “dell’entità delle malattie”. Su questo presupposto i giudici di merito invece di optare per il prevedibile rigetto della pretesa risarcitoria hanno ritenuto di dover far luogo a liquidazione equitativa.

Fondatamente il ricorso denuncia illegittimità e vizi di motivazione di tale statuizione.

Pacifica giurisprudenza (basti il richiamo a Cass. 10607/10) insegna in proposito che: “L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza”.

Anche questo punto della sentenza impugnata va quindi cassato.

5) I restanti motivi di ricorso restano assorbiti dall’accoglimento di quelli esaminati.

Tanto vale per il terzo, relativo alla possibilità di risolvere ex art. 1458 c.c., le vendite di cui alle forniture intermedie; per il quinto e il sesto, relativi ai due motivi di appello incidentale proposti dal mangimificio per contestare la prima sentenza, in ordine alla ritenuta mancanza di qualità di una fornitura e alla contestazione dei danni lamentati dall’opponente.

La sentenza impugnata va pertanto cassata e la cognizione rimessa alla vicina Corte d’appello di Napoli, che procederà a nuovo a esame, attenendosi ai principi di diritto sopraevidenziati.

Il giudice di merito in sede di rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, secondo e quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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