Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15188 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 22/07/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 22/07/2016), n.15188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

EDIL.CO s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, viale Giuseppe Mazzini 11, presso

l’avv. Prof. Salvini Livia, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale per atto notaio Patrizia Speranza di Altamura

dell’8 maggio 2012, rep. n. 756675;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Basilicata (Potenza), Sez. 3, n. 31/3/12 del 12 gennaio 2012,

depositata il 26 gennaio 2012, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 7 luglio 2016

dal Relatore Cons. Raffaele Botta;

Udito l’avv. Livia Salvini per la parte ricorrente;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di recupero del credito d’imposta previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 8 (investimenti in aree svantaggiate) per gli anni 2004, 2005 e 2006. Il recupero era dovuto al fatto che la società contribuente: a) per l’anno 2004, per errore nella quantificazione dell’investimento netto, aveva utilizzato un credito in eccedenza rispetto all’importo spettante; b) per gli anni 2005 e 2006, era invece decaduta dal beneficio per aver realizzato un disegno elusivo verificato con processo verbale di constatazione del 18 giugno 2009 (mutamento della ubicazione della struttura produttiva da agevolare, esecuzione dei lavori da parte di terzi, mancato rispetto del termine, difetto di strumentalità delle opere all’attività esercitata).

La società contribuente opponeva: a) nullità della notifica; b) violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies come modificato dal D.P.R. n. 107 del 2001, art. 23; c) illegittimità dell’atto conseguente all’illegittimità delle verifiche effettuate; d) difetto di motivazione dell’atto; e) infondatezza nel merito della pretesa; f) illegittimità delle sanzioni per difetto di autonoma motivazione.

La Commissione adita, rigettata l’eccezione preliminare inerente al vizio di notifica, accoglieva il ricorso, ritenendo l’illegittimità dell’atto impugnato in quanto “riferito ad un’attività riveniente ad un organo non legittimato a porlo in essere” (Direzione regionale) e dichiarando assorbiti i restanti motivi di impugnazione. La decisione era riformata in appello, con la sentenza in epigrafe, con la quale non solo era affermata la legittimità dell’esercizio del potere istruttorio da parte della Direzione regionale, ma era dichiarata l’infondatezza nel merito dell’intera posizione rivendicata dalla società contribuente.

Avverso tale sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione con undici motivi, illustrati anche con memoria, la quale si sofferma in particolare sui motivi otto, nove e dieci dell’impugnazione. L’amministrazione resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con il primo, secondo e terzo motivo, la società contribuente denuncia omessa pronuncia (o in subordine pronuncia viziata per difetto di motivazione) sull’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’amministrazione che essa aveva sollevato in ordine alla mancata formulazione di una esplicita e specifica domanda di conferma dell’atto impositivo.

2. Il motivo non è fondato. Non di omessa pronuncia si tratta ma di rigetto implicito di una eccezione priva di fondamento, in quanto la legittimità dell’atto impositivo è la “sostanza del processo tributario”, che ha carattere di impugnazione-merito ed ha come connaturato obiettivo l’accertamento della pretesa tributaria, la richiesta di conferma della cui fondatezza è un contenuto implicito ed imprescindibile delle difese dell’Ufficio, come lo è della domanda di annullamento di una sentenza che sia stata sfavorevole alle posizioni dell’amministrazione.

3. Con il quarto, quinto e sesto motivo, la società contribuente denuncia omessa pronuncia (o in subordine pronuncia viziata per difetto di motivazione) sui motivi di appello incidentale condizionato proposti in ordine all’eccezione di inesistenza della notifica dell’atto di recupero, eccezione rigettata in prime cure con insufficiente motivazione (vizio anch’esso denunciato con l’appello incidentale e sul quale il giudice di merito non si è pronunciato).

4. Il motivo non è fondato. Non di omessa pronuncia si tratta ma di rigetto implicito di una eccezione priva di fondamento, in quanto nel caso di specie la notifica è stata eseguita a mezzo posta ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 3 in busta chiusa che nella specie risulta sottoscritta, come appunto richiede la norma (che non impone anche la “leggibilità” della sottoscrizione), dall’ufficiale notificatore. Si tratta di una modalità di notificazione rispetto alla quale è stata addirittura esclusa la sostanziale rilevanza della mancanza della relata di notifica, ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte una mera irregolarità (Cass. n. 14245 del 2015) o tutt’al più una nullità sanabile con la costituzione in giudizio del destinatario (Cass. n. 19563 del 2014). Risultano, quindi, osservate le formalità essenziali come correttamente rilevato dal primo giudice.

5. Con il settimo motivo, la società contribuente denuncia violazione e falsa applicazione della disciplina che definiva (nel periodo di interesse) i poteri di accesso, ispezione e verifica delle Direzioni regionali, sostanzialmente riproponendo una eccezione già sollevata nelle fasi di merito fin dal ricorso originario in ordine alla supposta di carenza dei poteri istruttori in capo alle Direzioni regionali.

6. Il motivo non è fondato sulla base dell’orientamento espresso da questa Corte, secondo cui “in materia di accertamento, le Direzioni regionali delle Entrate sono dotate di potere di accesso, ispezione e verifica ispettiva in attuazione delle previsioni di autorganizzazione dell’Agenzia delle Entrate ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 3, e del Regolamento di amministrazione n. 4 del 3 novembre 2000, il cui esercizio, peraltro, è limitato, ai sensi del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13, ai soli casi di contribuenti titolari di ingenti volumi di affari, rimanendo, in tutti gli altri casi, l’Agenzia delle Entrate titolare dei poteri e delle competenze relative alla gestione dei tributi erariali, già propri del Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze” (Cass. n. 848 del 2016). Nella predetta sentenza la Corte ha osservato che, alla luce del quadro normativo composto dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1, art. 61, comma 2, art. 66, commi 1, 2 e 3, il “Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate – approvato dal Comitato direttivo con Delib. 3 novembre 2000, n. 4 in G.U. n. 36/2000 – ha previsto, all’art. 3, comma 3 che le Direzioni Regionali “…esercitano, nell’ambito della rispettiva regione o provincia, funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli uffici, curano i rapporti con gli enti pubblici locali e svolgono attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento e del contenzioso”. In epoca successiva, il Direttore dell’Agenzia delle entrate con provvedimento 23 febbraio 2001, n. 36122, – in G.U., serie generale n. 151 del 2 luglio 2001 – adottato sulla base della delibera del Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4 – ha stabilito esplicitamente la competenza anche delle Direzioni regionali all’attività di verifica (cfr. parr. dal 14 al 18)”.

6.1. La ripartizione delle competenze degli organi operata dal Direttore dell’Agenzia delle entrate costituisce diretta attuazione dei poteri conferiti dal D.Lgs. n. 300 del 1999 – come noto emanato in attuazione della delega contenuta nella L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 11 così come modificato dalla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 7 dalla L. 16 giugno 1998, n. 191, art. 1 e dalla L. 8 marzo 1999, n. 50, art. 9: sicchè la predetta disciplina non si pone in contrasto con i principi costituzionali in tema di riserva di legge in materia fiscale, riservatezza e inviolabilità del domicilio, libertà personale, inviolabilità della corrispondenza.

6.2. Se si segue detta prospettiva, ha concluso la Corte, “si comprende che l’espressa abrogazione dell’art. 62 sexies, necessaria in ragione dell’originaria collocazione delle Direzioni regionali nel Ministero delle Finanze, non può in alcun modo avere amputato i poteri delle Direzioni regionali regolati dal Direttore dell’Agenzia delle entrate, nemmeno vulnerando i parametri costituzionali sopra ricordati, risultando i poteri di accesso, ispezione e verifica già ex lege in capo all’Agenzia delle entrate nel suo complesso e già attribuiti in via generale dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e dalla medesima esercitati secondo la disciplina adottata nell’ambito dei poteri di autorganizzazione”.

7. Con l’ottavo motivo, la società contribuente denuncia violazione dell’art. 53 Cost. e per il suo tramite dei principi elaborati dalla giurisprudenza che definiscono la figura dell’abuso del diritto da valere per l’ipotesi che il giudice d’appello abbia interpretato il mutamento della localizzazione dell’investimento come condotta elusiva diretta ad ottenere indebitamente il trattamento agevolato. Con il nono motivo si contesta sotto il profilo del vizio di motivazione la supposta dichiarazione di elusività della condotta con riferimento alla rilocalizzazione, tardività e non strumentalità dell’investimento.

8. Le censure sono inammissibili in quanto non emerge dalla sentenza impugnata che la ratio decidendi sia costituita da una ritenuta elusività della condotta posta in esse dalla contribuente. La sentenza impugnata è basata su un accertamento in fatto della non corrispondenza della situazione determinatasi rispetto all’originaria richiesta dell’agevolazione di cui è causa.

8.1. La società, afferma il giudice d’appello, “nel predisporre l’istanza per la concessione del credito d’imposta inviata al Centro di servizio di Pescara, aveva acquistato in data 11.12.2005 dalla sig.ra D.G.A. (titolare della concessione edilizia – DIA) un terreno e due capannoni in corso di costruzione in una zona diversa da quella dichiarata ed i fabbricati di fatto sono stati ultimati solo in data successiva al 31.12.2006, come si evince dalla comunicazione di fine lavori della D.G., titolare del permesso di costruire, effettuata in data 4 giugno 2007, debitamente sottoscritta dal rappresentante legale della Edilco, dal direttore dei lavori e dal rappresentante legale della ditta esecutrice, nonchè dalla dichiarazione di collaudo propedeutica al rilascio del certificato di agibilità dei fabbricati. Quanto alle altre contestazioni riguardo alla strumentalità dell’attività d’impresa e alle conclusioni sostenute dalla società contribuente in merito alla legittimità del suo operato, successivamente confutate con la dichiarazione sostitutiva di notorietà del direttore dei lavori, sono senz’altro da ritenere pretestuose e irrilevanti, atteso che l’attività principale esercitata dalla soc. Edilco corrisponde alla vi-sura camerale di “preparazione e assemblaggio di carpenteria in legno e metallica e di deposito di materiale edile””.

9. La consapevolezza evidente che la sentenza impugnata abbia innegabilmente accertato solo fatti – diversa localizzazione dell’investimento, completamento delle opere in epoca successiva a quella prevista, mancanza di strumentalità delle opere all’attività d’impresa – è alla base della formulazione del decimo motivo di ricorso, con il quale la società contribuente denuncia la violazione della L. n. 388 del 2000, art. 8 in relazione alla rilocalizzazione dell’investimento, per l’ipotesi che il giudice di merito abbia ritenuto la non corrispondenza tra quanto accertato e schema legale della norma agevolativa.

9.1. Ad avviso della ricorrente la “rilocalizzazione” era consistita solo in un mutamento di “strada” all’interno del medesimo Comune, laddove la stessa prassi (e cita la risoluzione n. 101/E del 30 luglio 2004) ammette anche la rilocalizzazione in altro Comune per il sopravvenire di circostanze imprevedibili e non imputabili al contribuente: sicchè l’interpretazione data dal giudice di merito alla fattispecie appare eccessivamente “rigorosa” e non coerente con la sostanza della previsione agevolativa.

10. Il motivo non è fondato. La “rilocalizzazione” è avvenuta in “zona” del tutto diversa, sotto il profilo della concreta e specifica utilizzazione, da quella originaria: la “nuova zona” di localizzazione dell’investimento era, infatti, un terreno destinato ad esclusivo uso agricolo, utile, quindi, per la realizzazione (costruzione) di depositi (capannoni) funzionali all’attività agricola e non alla diversa attività d’impresa della società contribuente (come accertato dal giudice di merito).

10.1. Invero il contrasto tra la realtà fattuale e la previsione normativa che il giudice ha accertato consiste in una concatenazione di “eventi distorsivi” dell’originario progetto d’investimento – localizzazione in un sito diverso (anche funzionalmente), ultimazione dei lavori in epoca successiva a quella preventivata, interruzione dello stretto nesso di strumentalità tra investimento ed attività d’impresa -, che, sotto il profilo della denunciata violazione della L. n. 388 del 2000, art. 8 non è nel suo insieme (e in realtà, nemmeno nelle sue singole parti, ad esclusione della nuova localizzazione) oggetto di censura, con la conseguente incoerenza dell’impugnazione con la ratio decidendi della sentenza impugnata.

11. Nessuna decisiva rilevanza può attribuirsi alla sentenza penale del Tribunale di Matera in quanto “nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione dal giudice tributario come possibile fonte di prova” (Cass. n. 5270 del 2007; n. 10578 del 2015), nel quadro di una autonoma valutazione dei fatti di causa che spetta esclusivamente al giudice tributario, anche in considerazione della radicale diversità di efficacia e di rilevanza degli elementi di prova apprezzabili nell’uno e nell’altro tipo di processo. Ed è quanto ha fatto il giudice di merito nel caso in discussione.

12. Con l’undicesimo motivo, la società contribuente denuncia omessa pronuncia sul motivo d’appello incidentale condizionato relativo alla nullità delle sanzioni irrogate per difetto di autonoma motivazione e violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, comma 1.

13. Il motivo non è fondato. Anche prescindendo dalla mancata specificazione dell’ubi consistam della denunciata violazione di legge, nella fattispecie le sanzioni sono irrogate contestualmente all’atto impositivo e al dettagliato processo verbale di constatazione, noto alla contribuente, che ne costituisce la base e trova in questi la sua sufficiente motivazione.

14. Il ricorso deve essere, pertanto, respinto. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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