Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15187 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 22/07/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 22/07/2016), n.15187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Bingo Puglia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Panama 12, presso

l’avv. Carlo Colapinto, che la rappresenta e difende giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via del Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

Equitalia Sud S.p.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia (Bari), Sez. 5, n. 20/5/11 del 31 gennaio 2012, depositata il

17 aprile 2012, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 7 luglio 2016

dal Relatore Cons. Raffaele Botta;

Udito l’avv. Carlo Colapinto per la parte ricorrente;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di una cartella emessa a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis a seguito di controllo della dichiarazione presentata dalla società contribuente ai fini delle imposte dirette per l’anno 2005, controllo dal quale risultava un utilizzo in compensazione di un credito di imposta per un importo eccedente rispetto al disponibile.

La società contribuente deduceva l’illegittimità del ruolo per duplicazione dell’imposizione (i fatti rilevati erano già stati oggetto di un avviso di accertamento annullato dalla CTP di Bari e era stata emessa altra cartella poi sgravata per effetto di detta pronuncia), il difetto di motivazione dell’atto impositivo, nonchè l’infondatezza della pretesa tributaria per mancanza di prova.

La Commissione adita rigettava il ricorso. La decisione era confermata con la sentenza in epigrafe avverso la quale la società contribuente propone ricorso per cassazione con tre motivi. L’amministrazione resiste con controricorso. Il concessionario non si è costituito.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente eccepisce l’omissione di pronuncia, chiedendo al giudice di legittimità di effettuare l’esame degli atti del giudizio di merito e, quindi, dell’atto di appello (della medesima società) che si trascrive, in (supposto) ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso.

2. Il motivo è inammissibile perchè si risolve nell’integrale trascrizione degli atti processuali (nella specie l’atto d’appello) e un invito al giudice di legittimità ad un raffronto tra contenuto dell’atto trascritto e contenuto della motivazione della sentenza (impugnata) perchè egli stesso proceda all’individuazione del vizio di omessa pronuncia denunciato: in tal modo è proprio il principio di specificità dell’impugnazione che viene a mancare in quanto è in ultima istanza totalmente rimessa alla discrezionale valutazione del giudicante la “concreta” formulazione del motivo di impugnazione che spetta invece all’impugnante individuare nei suoi precisi contorni.

2.1. In realtà, poi, non è rilevabile nel ragionamento del giudice di appello alcuna omissione di pronuncia, poichè lo stesso, oltre a confermare (e condividere) le soluzioni adottate dal primo giudice, analizza le deduzioni dell’appellante concludendo che dall’esame condotto “non è dato rilevare elementi di certezza sui quali fondare quelle prove che possano indurre questo Collegio a ritenere fondata le conclusione di Parte”.

3. Con il secondo motivo, la società contribuente sostanzialmente ripropone quanto lamentato con la prima censura, ora sotto il profilo del vizio di omessa e insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia costituiti dai (supposti) difetto di motivazione della cartella, mancanza di prova degli importi pretesi, assenza dei presupposti per l’iscrizione a ruolo, duplicazione dell’imposta.

4. Il motivo non è fondato. La decisione impugnata non si risolve in un mero rinvio alla (pur condivisa) motivazione della sentenza di primo grado – peraltro giustificato con il rilievo (non adeguatamente censurato nel ricorso) che “le argomentazioni sviluppate nell’atto d’appello… sono tali e quali a quelle esposte del ricorso di primo grado” – ma, con il dichiarato scopo di non lasciare “spazio ad incertezze”, esplicitamente si propone di vagliare nella loro completezza le eccezioni e le doglianze dell’appellante. Emerge così con nitidezza l’indirizzo funzionale del ricorso della società contribuente ad una inammissibile revisione del merito che faccia prevalere le convinzioni (e le valutazioni) della ricorrente su quelle del giudicante.

5. La sentenza impugnata mette in luce che nella fattispecie si tratta di una cartella D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione – per la quale l’amministrazione non ha alcun particolare onere di motivazione se non “quando la contestazione dell’erario si fondi su interpretazioni giuridiche od elaborazioni della documentazione allegata dal contribuente” (Cass. n. 9224 del 2011) – da cui risulta una sostanzialmente non contestata eccedenza dell’importo dichiarato in compensazione: la contribuente non ha dedotto “una eventuale regolarità delle compensazioni effettuate” e si è limitata “a sostenere una presunta duplicazione di imposizione che in realtà non sussiste”, ma è frutto di una “confusione procedimentale insita nella convinzione del contribuente”, stante il fatto che “l’attuale iscrizione a ruolo si riferisce, per natura e importo, a situazione diversa da quella che ha dato origine al precedente contenzioso”.

6. Con il terzo motivo la società contribuente denuncia un vizio di motivazione apparente rilevabile nella non giustificata dichiarazione di assorbimento di motivi dell’appello, che ad avviso della ricorrente riguarderebbe i seguenti motivi:

a) “nullità della sentenza per nullità dell’avviso di recupero per violazione della L. n. 242 del 1990, art. 3 e dell’art. 7 dello Statuto del contribuente (difetto di motivazione)”;

b) “nullità della sentenza per illegittimità della cartella di pagamento per inesistenza del presupposto, cioè del rapporto di imposta: difetto assoluto di motivazione; violazione dell’art. 2697 c.c. – onere della prova; infondatezza della pretesa, violazione D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13”.

7. Il motivo non è fondato. In realtà non è rilevabile dalla sentenza impugnata, anche alla luce di quanto sin qui rilevato, alcuna mancata risposta alle doglianze ed eccezioni della contribuente, nè risulta una non motivata dichiarazione di assorbimento di alcuni specifici motivi d’appello. Di ben diverso tenore è l’affermazione che si ritrova nella sentenza impugnata: le “considerazioni che precedono”, dice il giudice d’appello, “assorbono tutti i motivi” dell’impugnazione. Questa affermazione è tutt’altro che una dichiarazione “tecnica” di assorbimento di alcune censure rispetto ad altre (che comunque non sarebbe certamente illegittima): essa significa, come evidenzia l’uso del termine “tutti” riferito ai “motivi di appello”, che il giudice con l’impianto motivazionale della decisione ha inteso dare risposta all’intera impugnazione, nessuna eccezione o deduzione esclusa. Ed invero una attenta lettura della sentenza convince, anche alla luce di quanto dapprima riportato, che nulla è stato trascurato dal giudice di merito e che la posizione espressa dalla contribuente non aliena da una ripetitività delle censure proposte ora sotto un profilo ora sotto un altro – è stata compiutamente esaminata e valutata.

8. Quanto sin qui detto vale anche ad illustrare le ragioni di infondatezza del quarto motivo di ricorso, con il quale si ripropone sotto il profilo del vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’eccezione argomentata con il terzo motivo, per l’ipotesi, da escludersi per quanto già osservato, che “il giudice abbia omesso la considerazione di fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della quaestio facti in funzione dell’esatta qualificazione e sussunzione in iure della fattispecie”.

9. Pertanto il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio nei confronti della costituita Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi Euro 17.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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