Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15184 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7235-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA S. ANDREA

DELLA VALLE 3, presso lo studio dell’avvocato MARIO D’ANTINO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2013 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 28/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal Consigliere Dott.ssa ZOSO LIANA MARIA TERESA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. P.A. impugnava l’avviso di liquidazione emesso dall’agenzia delle entrate a seguito della sentenza pronunciata dalla commissione tributaria provinciale di Roma, depositata l’8 maggio 2002, con cui era stato ridotto il valore complessivo di un bene immobilè in relazione al quale era stato emesso un avviso di accertamento per l’imposta di registro che era stato oggetto di impugnazione. A seguito del passaggio in giudicato di detta sentenza l’ufficio aveva notificato l’avviso di liquidazione in data 19 luglio 2006 che il contribuente impugnava. La commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso. Proposto appello da parte del contribuente, la CTR del Lazio lo accoglieva sul rilievo che la sentenza della commissione tributaria provinciale era divenuta definitiva il 23 giugno 2003 e l’ufficio non avrebbe potuto avvalersi della proroga biennale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a, trattandosi di atto liquidatorio e non accertativo, sicchè alla data di notifica dell’avviso di liquidazione impugnato era decorso il termine triennale di decadenza di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato ad un motivo. Resiste con controricorso il contribuente, il quale ha altresì depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78. Sostiene che nel caso in esame deve trovare applicazione unicamente la norma di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78 che dispone testualmente che il credito dell’amministrazione finanziaria definitivamente accertato si prescrive in 10 anni, e non già quella di cui allo stesso D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, che si riferisce all’esercizio del potere impositivo. Dunque la CTR ha errato nell’affermare che l’ufficio era incorso in decadenza.

2. Il ricorso è fondato. Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui la definitività dell’atto impositivo determinata dalla sentenza di merito fa sì che la pretesa liquidatoria vada esercitata entro il termine decennale di prescrizione previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 78 e non entro quello triennale di decadenza di cui al del medesimo D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, che concerne l’esercizio del potere di imposizione (ex multis, Cass. n. 11555 del 11/05/2018; Cass. n. 16354 del 17/07/2014; ” Cass. n. 12748 del 06/06/2014; Cass. n. 15619 del 09/07/2014).

Ed, invero, va ribadito il principio secondo cui il credito erariale può essere riscosso nel termine decennale di prescrizione, decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 78, ove non sia necessaria alcuna ulteriore attività di determinazione dell’imposta per avere il giudice rigettato integralmente il ricorso del contribuente o, in caso di accoglimento parziale, provveduto alla relativa quantificazione, in quanto, da un lato, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17 (ora art. 25), si riferisce ai soli crediti derivanti da atti divenuti definitivi per omessa impugnazione e, dall’altro, dello stesso D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 nel prevedere il termine triennale di decadenza dal passaggio in giudicato della sentenza, tende ad accelerare non l’attività di riscossione, ma quella ulteriore di determinazione dell’imposta ed ha, perciò, carattere residuale, concernendo la sola ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria debba procedere ad un ulteriore accertamento (Cass. n. 20153 del 24/09/2014; Cass. n. 12748 del 06/06/2014; Cass. n. 842 del 17/01/2014).

Nel caso che occupa, avendo la CTP di Roma accertato in via definitiva il valore del bene sul quale andava liquidata l’imposta con calcolo matematico, non vi era luogo per alcun ulteriore accertamento da parte dell’ente impositore, che avrebbe, dunque, dovuto procedere con l’emissione di un atto meramente liquidatorio.

L’eccezione proposta dal controricorrente, il quale assume la novità della questione giuridica introdotta dall’ufficio, il quale solo in questo giudizio ha richiamato il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, laddove nei gradi di merito aveva perorato la tesi della proroga biennale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a, in forza della quale non sarebbe decaduto per il decorso del triennio previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, è infondata.

Invero in tema di procedimento tributario, come in quello civile, non sussistendo sul punto preclusione di compatibilità, l’applicazione del principio iura novit curia fa salva la possibilità-doverosità per il giudice di dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite nonchè all’azione esercitata in causa, ricercandò, a tal fine, le norme giuridiche applicabili alla vicenda descritta in giudizio e ponendo a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto eventualmente anche diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, con il solo limite dell’immutazione della fattispecie da cui conseguirebbe la violazione del principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciatO (Cass. n. 8645 del 09/04/2018; Cass. n. 30607 del 27/11/2018; Cass. n. 8645 del 09/04/2018).

Il ricorso va dunque accolto e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed il ricorso originario del contribuente va rigettato. Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano tra le parti per l’alternarsi delle vicende processuali e quelle di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.

Compensa le spese processuali relative ai giudizi di merito e condanna il contribuente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali di questo giudizio che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 16 luglio 2020

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