Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15184 del 01/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 01/06/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 01/06/2021), n.15184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 221/2016 R.G. proposto da:

ALPICAR Srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Parioli n. 43, presso lo

studio dell’Avv. Francesco D’Ayala Valva, che lo rappresenta e

difende, anche disgiuntamente con gli Avv.ti Gianni Marongiu e

Andrea Bodrito, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12/2/2015 della Commissione Tributaria

Regionale della Val d’Aosta, depositata in data 19 maggio 2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con due distinti avvisi di accertamento, notificati in data 21 giugno e 23 ottobre 2013, emessi sulla base di un processo verbale di constatazione elevato dalla Guardia di Finanza Nucleo Operativo di Aosta in data 15 novembre 2012 – che aveva contestato alla Srl ALPICAR, svolgente attività di commercio di autovetture, la sottofatturazione dei ricavi di vendita per gli anni 2010 e 2011 sulla base delle differenze, per 63 veicoli, fra il prezzo di vendita dei veicoli indicato in fattura dalla ALPICAR ed il maggiore prezzo del bene indicato nelle pratiche di finanziamento dell’acquisto dei medesimi veicoli, nonchè la indebita deduzione per il 2010 di componenti negativi per Euro 6.085,00 relativi a multe ed ammende – l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Valle d’Aosta recuperò a tassazione nei confronti della detta società maggiori ricavi per Euro 81.847,00 per il 2010 e per Euro 42.036,00 per il 2011 e componenti negativi indebitamente dedotti nel 2010 per Euro 6.085,00, determinando il maggior importo dovuto per IRES, IRAP e IVA e sanzioni e interessi consequenziali.

Investita da due distinti ricorsi proposti contro i due accertamenti dalla società Alpicar, che aveva dedotto il vizio di motivazione degli accertamenti poichè faceva esclusivo riferimento al pvc senza alcuna considerazione, da parte dell’ente impositore, degli elementi portati dalla parte con due memorie prodotte in sede di verifica fiscale ed aveva altresì contestato il merito degli atti impugnati, la Commissione Tributaria Provinciale di Aosta, con sentenza n. 51/3/2014, previa riunione dei ricorsi, li respinse rilevando che la motivazione per relationem era legittima e, nel merito, che era corretto l’operato dell’Erario, il quale, in seguito ad una totale verifica delle operazioni contabili effettuate dalla società, aveva individuato e messo a verbale quelle non regolari, evidenziando nella maggior parte dei casi che gli importi annotati nella contabilità aziendale della società Alpicar erano inferiori al prezzo indicato sui rispettivi moduli di compravendita.

Contro la sentenza di primo grado propose appello la società ALPICAR lamentandone la nullità per error in procedendo non avendo motivato in relazione a punti decisivi della controversia e per error in iudicando per non avere considerato l’autenticità dell’attività di vendita degli autoveicoli da parte della contribuente con confusione tra l’aspetto economico – finanziario della vicenda e quello del ricorso da parte dell’acquirente al credito intermediario vigilato.

La Commissione Tributaria Regionale di Aosta, con sentenza n. 12/2/15, depositata in data 19 maggio 2015, rigettò l’appello e condannò la ricorrente alle spese di lite ribadendo, quanto alla dedotta nullità degli accertamenti per vizi di motivazione, che l’obbligo di motivazione degli accertamenti poteva essere adempiuto anche per relationem al pvc già notificato alla parte, come nel caso in esame, e, quanto al merito, che erano corretti gli accertamenti dell’Ufficio, emessi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 sulla base della discrasia (relativa a 63 casi, mentre negli altri casi i prezzi indicati in fattura e nel contratto di vendita coincidevano perfettamente con quelli indicati nel contratto di finanziamento) tra i prezzi delle auto fatturati ed inseriti nei contratti di vendita e quelli ben maggiori dichiarati nel contratti di finanziamento relativi, mentre la asserzione a pagina 9 dell’appello con riguardo ai componenti negativi del reddito era improponibile poichè il recupero non era stato espressamente impugnato in sede di ricorso di primo grado.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la ALPICAR Srl, affidato a quattro motivi, con atto notificato in data 21 dicembre 2015 – 8 gennaio 2016.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la società ALPICAR deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della violazione dell’obbligo della motivazione rafforzata dell’avviso di accertamento, per avere la sentenza appellata ritenuto sufficiente una motivazione sommaria e semplificata degli accertamenti senza alcuna autonoma valutazione delle osservazioni svolte dal contribuente in due memorie, depositate dal contribuente, in sede di verifica, cui aveva dato riscontro il pvc ma sulle quali non avevano espresso una autonoma valutazione gli accertamenti, pur avendo la contribuente confermato le memorie difensive nella sezione conclusiva del pvc.

2. Con il secondo motivo lamenta, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c) e dell’art. 2729 c.c., per avere la sentenza impugnata – a fronte degli elementi di fatto addotti dalla contribuente con riguardo alle divergenze esistenti tra prezzo/valore del veicolo ed importo da finanziare – errato nella applicazione delle norme che regolano l’accertamento fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, poichè la differenza negativa tra i prezzi indicati nel contratto di finanziamento ed i prezzi risultanti dalla fattura al netto dello sconto non aveva forza probante idonea a sorreggere la rettifica e comunque la motivazione della sentenza si poneva in contrasto con i risultati degli accertamenti che avevano diversificato i casi e con la tabella allegata dalla contribuente alla memoria difensiva presentata in appello.

3. Con il terzo motivo si duole di violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 360 c.p.c., n. 4 per essere inesistente la motivazione della sentenza impugnata in quanto non aveva affrontato l’argomento sollevato dalla contribuente relativo alla infondatezza dei più rilevanti recuperi, costituito dalle differenze tra la somma dei prezzi e degli sconti da fattura e i “prezzi del veicolo” indicati nei contratti di finanziamento.

4. Infine, con il quarto motivo sostiene la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 con riguardo alla domanda di annullamento del recupero degli oneri di cui all’accertamento per la annualità 2010, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, poichè con il ricorso di primo grado aveva osservato alle pagine 17 – 19 che la contabilità esponeva sanzioni e penalità per Euro 5.451,00, per cui era scaturito che la società aveva ripreso a tassazione un maggior importo di Euro 1.577,00, con conseguente obbligo del giudice di appello di pronunciarsi nel merito con riguardo all’affermata ripresa a tassazione, appunto, del maggior importo di Euro 1.577,00.

4. Il ricorso è infondato.

5. Quanto al primo motivo, dedotto per violazione delle disposizioni relative all’obbligo del recupero dei tributi mediante accertamenti motivati, occorre premettere che correttamente la sentenza impugnata ha richiamato e fatta propria la interpretazione di tali disposizioni offerta da questa Corte in via consolidata, per cui “in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. per tutte Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018 Rv. 652115 -01; conformi Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017 Rv. 646303 – 01; N. 21119 del 2011 Rv. 619740 – 01).

5.1. Nella specie era del tutto pacifico che gli accertamenti impugnati erano stati preceduti dalla verifica della Guardia di Finanza nel corso della quale la contribuente aveva presentato due memorie alle quali la Guardia di Finanza aveva dato riscontro nel pvc (come espressamente riconosciuto dalla ricorrente a pagina 6 del ricorso per cassazione) e che inoltre il pvc era stato regolarmente notificato alla parte, per cui la motivazione dell’avviso di rettifica, che rinvii a processi verbali della Guardia di Finanza, individuando in tal modo la causa giustificativa della pretesa impositiva, è requisito formale di validità dell’atto che si distingue da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 6524 del 09/03/2020 Rv. 657410 – 01) ed è nel contempo sufficiente ad integrare la motivazione dell’accertamento tributario nel senso voluto dalla legge.

5.2. La ricorrente sostiene che peraltro la violazione di legge discenderebbe nella specie dalla circostanza che, pur avendo il contribuente richiamato le proprie memorie nella sezione conclusiva del pvc con la formula “confermo quanto dichiarato nelle due memorie difensive allegate al presente atto”, la motivazione degli accertamenti non aveva poi dato risposta autonoma a tali memorie, che sarebbe stata doverosa benchè la risposta fosse già stata data dal pvc.

5.3. Anche tale argomentazione appare infondata poichè con riguardo, addirittura, al caso di mancata risposta alle memorie presentate ai sensi dell’art. 12, comma 7, dello statuto dei diritti del contribuente, che sono disciplinate dalla legge, questa Corte ha ritenuto che, in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, che qui interessa, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8378 del 31/03/2017 Rv. 643641 – 01; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3583 del 24/02/2016 (Rv. 639031 – 01).

5.4. Il motivo è pertanto infondato. Tanto più che, come rilevato dalla controricorrente (pag. 7 del controricorso) e come riconosciuto dalla stessa ricorrente, in sede di pvc vi era stata già una motivata risposta dei verificatori alle argomentazioni portate nelle memorie difensive del 16 e 25 ottobre 2012, per cui la Agenzia delle Entrate non aveva alcun obbligo di rispondere al mero richiamo alle memorie difensive in sede di sottoscrizione del pvc, a fronte di una risposta da parte dei verificatori che ha fatto propria, così disattendendo implicitamente le deduzioni del contribuente posto che aveva dato corso all’accertamento, in assenza di qualsiasi elemento nuovo non portato dopo la risposta dei verificatori e neppure con la memoria prevista dall’art. 12, comma 7, dello statuto dei diritti del contribuente che la parte aveva rinunciato a presentare.

6. Il secondo motivo di ricorso rivela in primo luogo ampi profili di inammissibilità poichè con esso si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c) e dell’art. 2729 c.p.c. per avere la sentenza impugnata errato nella applicazione delle norme che regolano l’accertamento fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, poichè la differenza negativa tra i prezzi indicati nel contratto di finanziamento ed i prezzi risultanti dalla fattura al netto dello sconto non aveva forza probante idonea a sorreggere la rettifica, ma poi si contesta, in realtà, la motivazione della sentenza assumendo che una si poneva in contrasto con i risultati degli accertamenti che avevano diversificato i casi e con la tabella allegata dalla contribuente alla memoria difensiva presentata in appello, avendo omesso altresì, in particolare, di prendere in esame la diversità soggettiva ed oggettiva delle due tipologie di contratti, le diverse logiche commerciali, la presenza di sconti praticati dal creditore che portava ad una riduzione dei casi in cui era sostenibile la sussistenza della discrasia dei prezzi prospettata dai verificatori.

6.1. In proposito occorre premettere che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre, viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, fra l’altro sottratta al sindacato di legittimità e la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538 – 03); il che dimostra la infondatezza del motivo nel caso specifico poichè la ricorrente, onde sostenere la violazione della disposizione che autorizza l’accertamento dei redditi ed il recupero dell’IVA in presenza di presunzioni gravi precise e concordanti, ha preso in esame esclusivamente la valutazione della fattispecie concreta da parte del giudice di appello, invocando un diverso scrutinio delle risultanze processuali attraverso un riesame dei dati fattuali che non è consentito nel giudizio di legittimità.

6.2. La sentenza impugnata ha fatto applicazione di corretti principi giuridici ed anche delle disposizioni sull’onere della prova in ordine all’accertamento analitico dei redditi D.P.R. n. 600 del 1973. ex art. 39, comma 1, poichè ha indicato le presunzioni precise e concordanti su cui ha basato gli accertamenti e cioè la discrasia evidente per 63 contratti di vendita tra i prezzi delle auto fatturati ed inseriti nei contratti e quelli, ben maggiori, dichiarati – come prezzi – nei contratti di finanziamento, il che costituiva prova della sottofatturazione anche perchè per tutti gli altri contratti i prezzi in fattura coincidevano con gli importi indicati nel contratto di finanziamento, sulla base di un procedimento la cui rispondenza alla disciplina legislativa è stata già riconosciuta da questa Corte in ipotesi del tutto similari, quale quella, ad esempio, dell’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili che può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova (v., per tutte, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 14388 del 09/06/2017 Rv. 644429 – 01).

6.3. Nel caso in esame parte ricorrente contesta, però, come si è già rilevato, l’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di appello e la omessa valutazione di alcune argomentazioni offerte dalla contribuente fin dalla fase procedimentale che contrasterebbero con i risultati cui erano pervenuti, in fatto, i verificatori, il che non può essere dedotto sotto il profilo della violazione di legge, ma neppure sotto quello della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o della “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile” – e ciò anticipa quanto costituisce oggetto del terzo motivo di ricorso – trattandosi eventualmente di un caso di un motivazione “insufficiente”, che, come tale, resta irrilevante poichè la censura s’infrange ora anche contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis, secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez. un. 19881 del 2014).

7. Il terzo motivo, che attiene alla pretesa violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere inesistente la motivazione della sentenza impugnata in quanto non aveva affrontato l’argomento sollevato dalla contribuente relativo alla infondatezza dei più rilevanti recuperi costituito dalle differenze tra la somma dei prezzi e degli sconti in fattura e i “prezzi del veicolo” indicati nei contratti di finanziamento, è ugualmente infondato.

7.1. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268 -01; Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018 Rv. 648018 – 01).

7.2. Nella specie la ricorrente ha dedotto un vizio di mancanza della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, che determina la nullità della sentenza per “error in procedendo”, il quale implica la completa omissione della motivazione e si traduce in una violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, da fare valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, così come avvenuto, ma poi ha contraddittoriamente sostenuto, nella esplicitazione del motivo, che la sentenza impugnata non aveva tenuto conto di uno degli argomenti che la contribuente aveva portato a sostegno della propria tesi e cioè un vizio di carente o insufficiente motivazione che avrebbe potuto essere fatto valere, eventualmente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione senza adeguata giustificazione (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 13866 del 18/06/2014 Rv. 631333 – 01).

7.3. Ciò rivela quindi ampi profili di inammissibilità del motivo, peraltro anche infondato poichè la ricorrente ha trascurato che si è in presenza di una sentenza di appello completamente confermativa della motivazione di quella di primo grado, con la quale la motivazione di appello andava a saldarsi, considerato anche l’espresso richiamo da parte della sentenza di appello agli argomenti già esposti da quella di primo grado e che comunque il giudice di appello ha dato conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (v., da ultimo, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019 Rv. 654951 – 01); come è avvenuto nel caso in esame, in cui la sentenza di appello, in aggiunta alla motivazione di primo grado, riportata nella sentenza di appello e che aveva evidenziato come “nella maggior parte dei casi gli importi annotati nella contabilità aziendale della società Alpicar erano inferiori al prezzo indicato sui rispettivi moduli di compravendita”, ha preso in esame anche i motivi di gravame e li ha rigettati, rilevando che il confronto era avvenuto fra i prezzi effettivi delle auto come fatturati ed i prezzi indicati nei contratti di finanziamento, già tenuto conto quindi degli sconti, di cui peraltro, come indicato dalla ricorrente a pagine 12 e 13 del ricorso (che trascrive sul punto gli accertamenti) gli accertamenti avevano, a loro volta, tenuto già conto, tanto che “i verbalizzanti avevano comunque provveduto a decurtare dal valore del bene indicato nei contratti di finanziamento il valore dello sconto indicato nelle fatture al fine di verificare se quanto meno ci fosse un risconto matematico a quanto dichiarato dalla parte nella memoria difensiva”.

8. E’ infine inammissibile l’ultimo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 57 avendo il giudice di appello omesso di pronunciarsi nel merito della contestazione relativa al recupero degli oneri perchè non proposta con il ricorso introduttivo.

8.1. La ricorrente ha sostenuto che la contestazione in merito al recupero dei costi per l’anno 2010 era stata proposta fin dal primo grado sotto il profilo (pag. 19 del ricorso introduttivo) che “da un rinnovato esame delle riperse fiscali, e in raffronto con quanto risulta dal processo verbale, è scaturito che la società ha ripreso a tassazione un maggior importo di Euro 1.577,00”, per cui il recupero doveva essere ridotto di Euro 1.577,00, però, come condivisibilmente rilevato dalla Agenzia delle Entrate nel controricorso, non si vede come una tale asserzione contenuta nel corpo del ricorso possa integrare un motivo di ricorso che comporta l’obbligo per il giudice di pronunciarsi sulla doglianza.

8.2. Manca infatti la trascrizione del preteso motivo e d’altronde non è stato neppure prodotto il ricorso iniziale per cui il motivo difetta di autosufficienza, considerata la difficile intelligibilità e genericità della asserzione sopra trascritta e da ciò deriva la inammissibilità del motivo di ricorso. Tanto più che la ricorrente non trascrive neppure il preteso motivo di appello, limitandosi genericamente a sostenere di avere riproposto in appello le questioni già prospettate in primo grado e neppure la sentenza impugnata indica tale doglianza fra i motivi di appello, mentre si limita a rispondere ad una osservazione contenuta a pagina 9 dell’atto di appello con riguardo al recupero concernente “componenti negativi di reddito” rilevando la sua improponibilità poichè non aveva formato oggetto di uno specifico motivo proposto con il ricorso introduttivo.

9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo. Sussistono, ratione temporis, i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater essendo stato il ricorso notificato in data 8.1.2016.

P.Q.M.

La Corte: Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2021

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