Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15181 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017, (ud. 05/05/2017, dep.20/06/2017),  n. 15181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19608-2015 proposto da:

ASSICURATRICE MILANESE SPA, in persona del Presidente e legale

rappresentante Dr. C.D., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CARLO FELICE, 89, presso lo studio dell’avvocato TIZIANO

MARIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA PELLEGRINI

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.A.M., N.A., N.M., NO.AL.,

in proprio e in qualità di eredi legittimi di N.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZZA DELLA LIBERTA’, 20, presso

lo studio dell’avvocato FRANCESCO CAROLEO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIORGIO ALBE’ giusta procura

speciale in calce al controricorso;

CENTRO DIAGNOSTICO VARESINO SRL, in persona dell’amministratore Dr.

R.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MACCHI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

ZA.TU., AXA ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

Nonchè da:

ZA.TU., elettivamente domiciliato in ROMA, V.CLAUDIO

MONTEVERDI 20, presso lo studio dell’avvocato ROSSELLA FERRANTE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO VINCI giusta procura

speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

AXA ASSICURAZIONI SPA, CENTRO DIAGNOSTICO VARESINO SRL

N.M., N.A., NO.AL., Z.A.M.,

ASSICURATRICE MILANESE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2224/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e di quello incidentale;

udito l’Avvocato LEONARDO BRASCA per delega orale; udito l’Avvocato

GUIDO FRANCESCO ROMANELLI;

udito l’Avvocato FRANCESCO CAROLEO;

udito l’Avvocato GABRIELE FERABECOLI per delega orale;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 15 marzo 2011 Z.A.M., N.A., No.Al. e N.M. convenivano davanti al Tribunale di Varese Za.Tu., dermatologo, e il Centro Diagnostico Varesino Srl, nella cui struttura il dermatologo svolgeva la sua attività professionale, perchè fossero condannati a risarcirli quali eredi per i danni patiti da N.S. – rispettivamente loro marito e padre – nonchè per i danni patiti jure proprio, tutti derivanti dalla attività professionale dello Za., cui era risultata attribuibile la tardiva diagnosi di un carcinoma spinocellulare di cui era affetto N.S. e che lo aveva condotto alla morte: N.S. si era rivolto fin dal 2005 allo Za., ma la patologia neoplastica, già a quell’epoca sussistente, gli fu diagnosticata solo nel 2009 da un altro specialista, ed egli ne morì il (OMISSIS). Venivano poi chiamate in causa le compagnie assicuratrici per la responsabilità civile dei convenuti, cioè Axa Assicurazioni S.p.A. per il Centro Diagnostico Varesino Srl e Assicuratrice Milanese S.p.A. per lo Za..

Con sentenza n.803/2014 il Tribunale dichiarava sussistente la responsabilità solidale dello Za. – per mancata diagnosi e mancata corretta terapia – e del Centro, condannandoli conseguentemente in solido a risarcire agli attori i danni ereditati dal defunto nella misura di Euro 123.789,10, nonchè a risarcire a ciascuno degli attori i danni patiti jure proprio: in particolare alla Z. per l’importo di Euro 303.474 – di cui Euro 300.000 quale danno non patrimoniale e il resto quale danno patrimoniale -, a N.M. e N.A. per l’importo di Euro 160.000 ciascuno in quanto figli non più conviventi con la famiglia d’origine e ad No.Al. per l’importo di Euro 180.000 in quanto figlio ancora convivente con essa. Il Tribunale respingeva le domande del Centro nei confronti di Axa Assicurazioni, per difetto di copertura, e nei confronti di Assicuratrice Milanese per difetto di rapporto contrattuale; accoglieva invece la domanda dello Za. nei confronti di Assicuratrice Milanese quanto ai danni patiti da N.S., escludendo quelli subiti dai congiunti jure proprio, in quanto non coperti dalla polizza. Rigettava poi la domanda di regresso proposta da Assicuratrice Milanese nei confronti di Axa Assicurazioni per inoperatività della polizza di quest’ultima a favore del Centro, accoglieva la domanda di manleva del Centro proposta nei confronti dello Za. e respingeva la domanda reciproca.

Avendo proposto appello principale lo Za., appello incidentale gli Z./ N. e ulteriore appello incidentale Assicuratrice Milanese, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 5-21 maggio 2015, in parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello incidentale degli Z./ N., ha condannato Assicuratrice Milanese a tenere indenne, entro il limite del massimale, lo Za. da ogni somma da pagare agli Z./ N. e/o al Centro, ha condannato Assicuratrice Milanese a rifondere per l’intero le spese legali sostenute in primo grado dallo Za. (il Tribunale l’aveva condannata alla rifusione solo del 50% delle spese), ha condannato lo Za. e il Centro, in solido, a risarcire agli Z./ N. i danni ereditati dal congiunto per un capitale di Euro 136.000, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

2. Ha presentato ricorso Assicuratrice Milanese. Si sono difesi con controricorso Z.A.M., N.A., No.Al. e N.M., e con altro controricorso il Centro Diagnostico Varesino; ha presentato controricorso e ricorso incidentale con unico motivo Za.Tu..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso principale presenta formalmente tre motivi.

3.1.1 Quello che viene indicato come primo motivo denuncia, in un’unica rubrica, extrapetizione ai sensi dell’art. 112 c.p.c., omesso esame di fatto discusso e decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione del giudicato ex articolo 2909 c.c. quanto al capo della sentenza di primo grado che aveva affermato l’operatività di primo rischio della polizza stipulata dallo Za. con Assicuratrice Milanese per responsabilità derivante da colpa grave dell’assicurato.

Nelle condizioni generali della polizza, all’art. 16, comma 3, n. 4, si stabilisce che, se un’ASL, una casa di cura, un ente ospedaliero o i relativi assicuratori “agiscano in rivalsa nei confronti del medico assicurato per danni da questi involontariamente cagionati per colpa grave, la presente assicurazione si intende operante a primo rischio limitatamente alla rivalsa azionata”. Per la copertura assicurativa sussisterebbe pertanto un duplice presupposto: l’esercizio dell’azione di rivalsa e l’accertamento della colpa grave del medico. Nel caso in esame il Centro Diagnostico Varesino ha esercitato l’azione di rivalsa nei confronti dello Za., integralmente accolta dal Tribunale e dalla Corte d’appello; ma nè il Centro nè lo Za. avrebbero chiesto di accertare la responsabilità per colpa grave dello Za. quale fatto costitutivo dell’azione di rivalsa.

Il Tribunale ha ritenuto sussistente la copertura ai sensi dell’art. 16 del contratto accogliendo l’azione di rivalsa del Centro e osservando che, ai sensi del comma 3 suddetto art., se quella del medico è un’attività di libero professionista in una struttura sanitaria, anch’essa ugualmente responsabile, la garanzia opera oltre il massimale assicurato dall’ente o, se l’ente non è coperto da un’assicurazione, per l’ipotesi di insolvenza dell’ente, ed è quindi una polizza di secondo rischio; “quando tuttavia la struttura sanitaria eserciti azione di manleva nei confronti dello specialista assicurato, l’assicurazione opera in primo rischio limitatamente alla rivalsa azionata”. E nel caso in esame, ha ancora osservato il giudice di prime cure, il Centro “ha formulato domanda di rivalsa nei confronti del sanitario”, che è stata accolta, per cui la polizza opera in primo rischio riguardo la rivalsa (citazione della motivazione.

Peraltro, adduce la ricorrente, lo Za. non avrebbe impugnato la suddetta sentenza di primo grado nella parte in cui nega la copertura quanto agli “obblighi risarcitori direttamente gravanti sul medico assicurato nei confronti dei soggetti danneggiati”, riconoscendo la copertura soltanto, invece, per l’azione di rivalsa, onde tale statuizione sarebbe passata in giudicato. Nel suo atto di appello, Assicuratrice Milanese avrebbe impugnato la sentenza del Tribunale per avere affermato l’operatività della polizza rispetto alla rivalsa, in quanto la colpa grave “non era stata dedotta in causa, non era stata accertata dal Giudice ed in ogni caso non risultava in concreto sussistente”. Al riguardo la corte territoriale (pagine 21-22 della motivazione della sua sentenza) ha rilevato che la stessa Assicuratrice Milanese, nella comparsa di costituzione in appello, aveva riconosciuto che la garanzia assicurativa da essa prestata opera a primo rischio sulla rivalsa della casa di cura (o della sua compagnia assicuratrice) nei confronti del medico per danni cagionati mediante una condotta improntata a colpa grave; e nel caso in esame “la macroscopica imperizia e la gravissima negligenza” dello Za., osserva ancora la corte, “integrano certamente” la colpa grave che il Tribunale “ha accertato nei suoi elementi fattuali”. In tal modo, però, secondo la ricorrente, oltre a confermare la sentenza di primo grado, il giudice d’appello ha condannato Assicuratrice Milanese a tenere indenne lo Za. da quanto dovrà pagare ai congiunti del defunto e/o al Centro. Da tutto ciò la ricorrente ricava, quindi, tre censure.

3.1.2 In primo luogo, viene denunciato vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c., in quanto non vi sarebbe stata una mera questione di qualificazione giuridica dei fatti, bensì una questione di allegazione e richiesta di accertamento di un fatto costitutivo del diritto all’indennizzo dello Za.. Quest’ultimo non avrebbe chiesto di accertare di avere posto in essere una condotta di colpa grave, nè tale accertamento sarebbe stato chiesto dalle altre parti: inconferente sarebbe pertanto il rilievo della corte territoriale sull’accertamento della colpa grave da parte del primo giudice, laddove invece la corte avrebbe dovuto respingere la domanda di garanzia avanzata dallo Za.. E, non avendola respinta, sarebbe incorsa in violazione dell’art. 112 c.p.c.

In secondo luogo, sussisterebbe, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo, dato che per la colpa grave occorre accertare una straordinaria ed evidente negligenza. I consulenti G.M. e Gu.Fa., che effettuarono la c.t.u. disposta in primo grado, avrebbero individuato la colpa grave nella condotta dello Za. nelle visite effettuate a N.S. negli anni 2008 e 2009, definendo tale condotta “sconcertante”, ma avrebbero escluso il nesso causale tra essa e la morte del paziente, perchè causa determinante sarebbe stata la condotta dello stesso Za. nella visita dell’anno 2006, che però non sarebbe “connotata da elementi di gravità”. Affermando quindi la responsabilità per colpa grave del dermatologo, il giudice di secondo grado – che pure avrebbe, sostanzialmente, ripreso i rilievi e le conclusioni della c.t.u. avrebbe operato “una macroscopica omissione” di un fatto discusso e decisivo. Rispetto alla visita del 2006, fonte della responsabilità dello Za., secondo la ricorrente vi sarebbe colpa lieve, ed ad essa andrebbe riferita l’azione di rivalsa, discendendone l’assenza di copertura assicurativa; e la “sintetica motivazione” della corte territoriale sulla esistenza di “macroscopica imperizia” e di “gravissima negligenza” dello Za. “nell’adempimento delle sue prestazioni”, sempre ad avviso della ricorrente, “attesta” l’omesso esame del fatto discusso e decisivo.

In terzo luogo, la ricorrente lamenta extrapetizione ex art. 112 c.p.c. e violazione del giudicato ex art. 2909 c.c.

Se fosse realmente operativa la polizza in forza dell’art. 16, comma 3, n. 4 del contratto, Assicuratrice Milanese avrebbe potuto essere condannata soltanto a tenere indenne lo Za. “limitatamente alla rivalsa azionata”, come tale clausola prevederebbe e sarebbe stato statuito dal Tribunale. Quest’ultimo condannò l’attuale ricorrente a tenere indenne lo Za. “da quanto lo stesso andrà a pagare” al Centro “per la presente sentenza” solo per i danni ereditati dai congiunti e “salvi i limiti di polizza”. Lo Za. non avrebbe impugnato la sentenza di primo grado riguardo alla non operatività della copertura sui suoi obblighi di risarcimento diretti nei confronti dei danneggiati, per cui si sarebbe formato al riguardo il giudicato. Quindi sarebbe incorsa in extrapetizione la corte territoriale condannando Assicuratrice Milanese a tenere indenne lo Za. anche da quanto avrebbe dovuto versare ai congiunti, cioè dall’obbligo di risarcimento diretto dei danneggiati.

Da quanto si è appena esposto emerge chiaramente che sono stati presentati, in effetti, tre motivi entro quello che viene formalmente definito primo motivo.

3.1.3 La prima censura, allora, si appalesa infondata, in quanto attraverso una prospettazione artificiosa e giuridicamente erronea – giacchè, se fosse fondata, difetterebbe l’interesse processuale nella proposizione della domanda – mira a scindere la proposizione di una domanda dalla richiesta di accertamento dei fatti costitutivi della pretesa. Proponendo l’azione di rivalsa in forza di una specifica clausola della polizza assicurativa, invece, fu, logicamente pur se implicitamente, richiesto dall’attore l’accertamento dei presupposti per essa individuati dalla suddetta clausola – nel caso l’art. 16 -, inclusa quindi la colpa grave come connotazione sul piano soggettivo della condotta attribuibile all’assicurato.

3.1.4 La seconda censura si impernia sulla identificazione sia della condotta dello Za. causante i danni – che la ricorrente colloca nella visita del paziente avvenuta nel 2006 – sia dell’elemento soggettivo della colpa che tale condotta causante qualifica: soprattutto sotto questo aspetto argomenta la ricorrente, prospettando che nel 2006 la colpa dello Za. sarebbe stata lieve, mentre sarebbe stata grave soltanto nei successivi anni 2008 e 2009, adducendo a sostegno di siffatta prospettazione gli esiti della c.t.u. disposta dal giudice di primo grado, e infine sfociando nell’asserto che il giudice d’appello avrebbe, vista la sua “sintetica motivazione”, addirittura omesso di esaminare, quale fatto discusso e decisivo, la sussistenza di una colpa grave dello Za..

Questa doglianza è sostanzialmente fattuale, in quanto persegue dal giudice di legittimità un accertamento in ordine al nesso causale tra la condotta dello Za. e l’evento dannoso nonchè in ordine alla qualificazione in termini di elemento soggettivo della condotta causante, una volta che questa sia stata accertata.

Nè, d’altronde, è fondata quell’unica parte in cui il motivo non risulta inammissibile per quanto appena rilevato, cioè la parte che imputa alla corte territoriale di non avere effettuato il necessario esame della sussistenza o meno di colpa grave nella condotta determinante l’evento dannoso posta in essere dallo Za.. La stessa ricorrente, a ben guardare, ammette che l’esame sussiste, proprio laddove richiama quella che definisce “sintetica motivazione” del giudice d’appello sull’esistenza di “macroscopica imperizia” e “gravissima negligenza” dello Za. “nell’adempimento delle sue prestazioni”: invero, il vizio delineato dal testo vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non censura una conformazione sintetica della motivazione che esterna l’esame del fatto discusso e decisivo, potendosi identificare detto vizio esclusivamente in una motivazione materialmente assente oppure apparente: e neppure la ricorrente qualifica apparente la motivazione, fermando la critica appunto ad una pretesa sinteticità. Ad abundantiam, poi, si osserva che definire sintetica la motivazione offerta dalla corte territoriale in ordine alla condotta dello Za. sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo non corrisponde all’effettiva conformazione dell’apparato motivativo, il quale invero, secondo elementare logica, deve essere recepito integralmente. Una semplice contestualizzazione, quindi, di quanto il giudice di secondo grado concisamente rileva (pagine 21-22 della sentenza impugnata) sul grado della colpa criticato dalla Assicuratrice Milanese nel suo appello incidentale in relazione all’azione di rivalsa con tutto quello che lo stesso giudice aveva già ampiamente evidenziato a proposito dell’appello principale proposto dallo Za. quanto alle caratteristiche della condotta di quest’ultimo conduce a ritenere che la corte abbia più che adeguatamente adempiuto al proprio obbligo motivazionale.

3.1.5 La terza censura, infine, contrasta con le conclusioni dell’atto d’appello proposto dallo Za., così come riportato dalla stessa Assicuratrice Milanese a pagina 41 del ricorso. In tali conclusioni veniva chiesto di “condannare Assicuratrice Milanese…a tenere indenne e manlevare in via diretta il Dr. Za.Tu. da quanto questi è tenuto a pagare in virtù ed esecuzione della sentenza n. 803/14 del Tribunale di Varese o comunque della emananda sentenza di gravame (anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 1917 c.c.) per capitale, interessi ed accessori”. Avendo allora chiesto l’appellante principale Za. che l’attuale ricorrente fosse condannata a tenerlo indenne da tutto quanto avrebbe dovuto pagare in forza della sentenza di primo grado, non è sostenibile che la sentenza di primo grado sia passata in giudicato quanto, appunto, alla non operatività della copertura degli obblighi risarcitori diretti dello Za. nei confronti dei danneggiati. E quindi la doglianza risulta infondata.

3.2.1 Mediante quello che la ricorrente definisce secondo motivo – ed è effettivamente, invece, il quarto – viene denunciata violazione degli abrogati artt. 1469 bis e 1469 quater c.c. nonchè del vigente D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 3 quanto al capo della sentenza dall’art. 16 del contratto assicurativo “in applicazione delle norme dettate per la tutela del consumatore”.

Sostiene la ricorrente che il Tribunale aveva limitato la copertura assicurativa ai danni subiti dal paziente del medico assicurato ai sensi dell’art. 16, comma 1, delle condizioni di polizza, e che il giudice d’appello ha accolto l’impugnazione al riguardo proposta dallo Za., estendendo la copertura ai danni patiti jure proprio dai congiunti del paziente. Rinvenendo un’ambiguità letterale nella clausola, la corte territoriale si è avvalsa di criteri ermeneutici integrativi: il criterio sistematico che si fonda sull’esercizio della professione medica, la continuità con una precedente polizza e la trasparenza. La qualificazione dello Za. come consumatore e l’applicazione della relativa disciplina “concorre”, ad avviso della ricorrente, entro la “complessiva motivazione” offerta dalla corte territoriale; la quale pertanto avrebbe errato perchè lo Za. nella stipulazione del contratto assicurativo non ha rivestito la qualifica di consumatore, bensì quella di professionista. Infatti l’abrogato art. 1469 bis c.c., al secondo comma, qualificava consumatore “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”; e questa definizione è stata sostanzialmente ripresa dal D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 3 Codice del consumo.

3.2.2 Non può non riconoscersi che l’art. 3 Codice del consumo stabilisce che consumatore è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (così è il testo della lettera a) dell’articolo, come modificato dal D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221, art. 3). E’ del tutto evidente, quindi, che nello stipulare la polizza diretta a coprire i rischi della sua attività professionale lo Za. non ha agito come consumatore, per cui la disciplina attinente a tale qualifica non è applicabile, neppure a un mero livello ermeneutico, al contratto assicurativo di cui si tratta. Sotto questo aspetto quindi, la motivazione del giudice d’appello reca in sè un’evidente errore di diritto, laddove (a pagina 15 s.) richiama per interpretare la polizza l’art. 1469 quater c.c., commi 1 e 2 qualificando lo Za. come un consumatore perchè nel contratto tra un professionista ed un consumatore, ad avviso del giudice d’appello, professionista sarebbe la compagnia assicuratrice e comunque consumatore l’assicurato. Sia la norma abrogata, sia la norma vigente, infatti, escludono ictu oculi che un assicurato sia consumatore nel caso in cui, appunto, “agisce” – nel caso stipulando una polizza assicurativa – per tutelarsi dalla responsabilità civile che potrebbe insorgere dalla sua attività professionale.

Peraltro, questo errore di diritto non ha apportato una reale incidenza sulla decisione impugnata. Si tratta, invero, di uno soltanto tra i vari elementi che la corte territoriale pone a fondamento della sua interpretazione dell’art. 16, comma 1, della polizza; e gli altri in particolare il rapporto con la precedente polizza, di cui quella in esame era stata la sostitutiva, e la regola generale dell’art. 1370 c.c. – sono stati utilizzati in modo del tutto corretto, risultando comunque ben sufficienti a sostenere l’esito ermeneutico ottenuto dal giudice d’appello (e per di più l’art. 1469 quater c.c., comma 2, assume nell’intreccio argomentativo una funzione superfluamente ripetitiva del principio sancito in via generale dall’art. 1370 c.c.).

Anche questa censura, dunque, risulta infondata.

3.3 Il terzo motivo – che, come si è visto, in realtà è il quinto – denuncia violazione degli artt. 1223, 1227 e 2043 c.c., artt. 40 e 41 c.p. quanto al capo della sentenza che, “pur avendo riconosciuto” la responsabilità dello Za. “solo in termini probabilistici”, ha addossato allo Za. l’intero danno patito dai congiunti per perdita di rapporto parentale, senza tenere conto dello stato di malattia in cui si trovava N.S., dei rischi a essa intrinsecamente connessi e della incidenza di tale stato patologico sulle conseguenze risarcibili.

La corte territoriale, nella motivazione della sentenza impugnata (pagine 8-11), riconosce che, se la diagnosi fosse stata tempestiva, N.S. avrebbe avuto ottime probabilità di sopravvivenza, determinate dai consulenti tecnici d’ufficio in oltre il 50%; nonostante ciò ha liquidato ai congiunti l’intero danno da perdita del rapporto parentale, laddove, ad avviso della ricorrente, sarebbe stato necessario tener conto della sussistenza e della incidenza in termini risarcitori della patologia di cui era affetto N.S. per conseguentemente limitare il risarcimento dei danni imputabili allo Za..

Il motivo, a ben guardare, è del tutto privo di consistenza, in quanto le sue argomentazioni sono dirette al tentativo di ridurre l’effettuato accertamento della responsabilità dello Za. nella causazione della morte del suo paziente – accertamento correttamente operato secondo il noto criterio del “più probabile che non” – ad un accertamento di una mera perdita di chances del paziente (e quindi anche perdita di chances dei suoi congiunti quanto alla permanenza del rapporto parentale), inevitabilmente poi spostandosi per dimostrare ciò su un piano direttamente, e quindi inammissibilmente, fattuale.

In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato.

4. Il controricorrente Za. ha proposto pure un ricorso incidentale fondato su un unico motivo, che lamenta l’omissione da parte del giudice d’appello di pronuncia sulla sua richiesta di condanna di Assicuratrice Milanese alla corresponsione diretta della somma dovuta in forza del contratto assicurativo ai danneggiati ai sensi dell’art. 1917 c.c., comma 2, corresponsione diretta richiesta “sin dalla sentenza di primo grado” e che Assicuratrice Milanese avrebbe qualificato domanda tardiva e quindi inammissibile, laddove si tratterebbe di una mera difesa. Nel caso in esame la corresponsione diretta era stata richiesta “nell’atto d’appello”, oltre che in posteriori lettere ad Assicuratrice Milanese, ma la corte territoriale non avrebbe assunto alcuna posizione al riguardo.

Effettivamente, nelle conclusioni dell’atto d’appello proposto dallo Za. viene chiesto di “condannare Assicuratrice Milanese…a tenere indenne e manlevare in via diretta il Dr. Tullio Za. da quanto questi è tenuto a pagare in virtù ed esecuzione della sentenza n. 803/14 del Tribunale di Varese o comunque della emananda sentenza di gravame (anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 1917 c.c.) per capitale, interessi ed accessori”. La corte territoriale, invece, nella motivazione non ha considerato tale evidente richiesta, e parimenti nel dispositivo l’ha ignorata, così statuendo: “condanna all’appellata Assicuratrice Milanese S.p.A. a tenere indenne Za.Tu., entro i limiti del massimale assicurato, da ogni somma che lo stesso dovrà pagare agli appellati incidentali Z.A.M., N.A., No.Al. e N.M. e/o all’appellata Centro Diagnostico Varesino S.r.l., in esecuzione della sentenza sopra detta (la sentenza di primo grado: n.d.r.) e della presente sentenza che la ha parzialmente riformata”.

La violazione dell’art. 112 c.p.c. risulta dunque evidente e, data la natura della questione, il giudice di legittimità può pronunciare nel merito. La richiesta di applicazione dell’art. 1917 c.c., comma 2 non costituisce in effetti oggetto di una vera e propria domanda, bensì meramente l’esercizio di una facoltà dell’assicurato di determinazione della modalità di adempimento da parte dell’assicuratore della sua obbligazione, tanto è vero che non è configurabile un’azione surrogatoria da parte del danneggiato (cfr. p. es. Cass. sez. 3, 5 dicembre 2011 n. 26019 e Cass. sez. 3, 8 giugno 2007 n. 13391). Conseguentemente, in accoglimento del ricorso incidentale si condanna Assicuratrice Milanese a corrispondere il dovuto stabilito dalla sentenza d’appello direttamente ai danneggiati, come richiesto dall’assicurato ai sensi appunto dell’art. 1917 c.c., comma 2.

Essendo stato rigettato il ricorso principale, Assicuratrice Milanese deve essere condannata altresì a rifondere a ciascun controricorrente le spese processuali, liquidate come da dispositivo, tenendosi conto per lo Za. pure della vittoria nel ricorso incidentale volto avverso Assicuratrice Milanese.

Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale e, in accoglimento del ricorso incidentale, condanna Assicuratrice Milanese S.p.A. a corrispondere il dovuto stabilito dalla sentenza impugnata direttamente ai danneggiati ai sensi dell’art. 1917 c.c., comma 2.

Condanna la ricorrente principale a rifondere ai controricorrenti Z.A.M., N.A., No.Al. e N.M. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge, a rifondere al controricorrente Centro Diagnostico Varesino S.r.l. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge e a rifondere a Za.Tu. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.200, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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