Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15180 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017, (ud. 05/05/2017, dep.20/06/2017),  n. 15180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18293-2015 proposto da:

V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TAGLIAMENTO

55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO CASELLATI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A., P.I., P.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIULIANO CARRUCCIU giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

nonchè contro

M.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 524/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2017 dal Consigliere Dott. GRAZIOSI CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato CHIODETTI GUIDO per delega non scritta;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 11 maggio 1999 V.M. conveniva davanti al Tribunale di Vicenza P.A., odontoiatra, e M.L., odontotecnico, perchè fossero condannati a risarcirle i danni che sarebbero derivati dalla loro scorretta esecuzione di prestazioni odontoiatriche; i convenuti si costituivano resistendo. Nelle more del giudizio interveniva il decesso del P., e l’attrice lo riassumeva nei confronti degli eredi G.A., P.G. e P.I., oltre che nei confronti del M..

Con sentenza del 6 febbraio 2009 il Tribunale rigettava la domanda attorea.

Avendo proposto appello la V. ed essendosi costituiti resistendo gli eredi P., la Corte d’appello di Venezia, con sentenza dell’8 luglio 2014 – 2 marzo 2015, lo ha respinto.

2. Ha presentato ricorso la V. sulla base di un unico motivo; si difendono con controricorso G.A., P.G. e P.I..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 L’unico motivo del ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c..

Adduce la ricorrente di avere dimostrato il contratto da lei stipulato con lo studio P., “l’insorgenza della patologia a seguito dell’intervento del sanitario” e l’inadempimento di questo “a obblighi di comportamento o agli elementari principi di diligenza, prudenza e perizia che siano astrattamente idonei a provocare il danno lamentato”; e sotto quest’ultimo profilo la ricorrente fa riferimento pure all’intervento dell’odontotecnico M.L. in sostituzione del dentista P.A.. Erroneamente sarebbe stato imputato dal giudice di merito alla ricorrente l’omessa dimostrazione che le sue non contestate patologie “siano diretta ed esclusiva conseguenza dell’intervento dello studio P.”, benchè il c.t.u. non ne abbia individuata “altra plausibile ragione”. Viene richiamata, tanto nel ricorso quanto nella memoria che sotto questo profilo ulteriormente lo sviluppa, la giurisprudenza di questa Suprema Corte sul contenuto dell’onere probatorio di chi intende far valere la responsabilità contrattuale del medico per il risarcimento dei conseguenti danni, indicando poi “gli elementi che dimostrano inequivocabilmente che l’esecuzione del rapporto curativo si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno”, e da ciò desumendo che la corte territoriale abbia violato la ripartizione dell’onere della prova. Segue il richiamo, anche illustrativo del contenuto, di varie fonti probatorie, per giungere infine a ribadire che il giudice d’appello avrebbe violato l’art. 1697 c.c.: e infatti “s’appiattisce” sugli esiti della c.t.u., “il che di per sè costituisce violazione dei principi in materia dell’onere della prova perchè l’elaborato va a soccorrere la parte che non è stata in grado di dimostrare alcunchè”. Successivamente la ricorrente effettua una diffusa valutazione dell’elaborato sortito dalla c.t.u., così da concludere – con un asserto evidentemente non perspicuo – che “manca nel modo più assoluto la prova del nesso di causalità giuridica, mentre quello di causalità materiale emerge con estrema chiarezza”.

3.2 Il ricorso, dunque, pur avendo correttamente identificato le regole causali e, più in generale, il contenuto dell’onere probatorio di chi appunto intenda far valere la responsabilità contrattuale del sanitario, si sposta poi su una valutazione direttamente fattuale e alternativa a quella che è stata sposata dai giudici di merito, in particolare censurando l’elaborato dell’ausiliario tecnico del giudice e giungendo ad attribuirgli, a ben guardare, l’obbligo di identificare la causa delle patologie patite dalla ricorrente, così da creare anche una sorta di presunzione a favore della stessa non avendo il consulente tecnico d’ufficio identificato “altra plausibile ragione” rispetto alle prestazioni dello studio P.: presunzione che, in effetti, non è sostenibile sussista, giacchè la sua effettiva sostanza è l’esonero dall’onere probatorio. Nè, d’altronde, gode di alcuna fondatezza la critica che il giudice avrebbe violato proprio la ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., per essersi “appiattito” sugli esiti della c.t.u.: all’origine di questo asserto rimane ancora una volta un insostenibile esonero dell’attrice dall’onere della prova, che un argomento del genere appare, paradossalmente, porre invece a carico dello stesso giudicante. Nè, infine, nonostante anche questo elemento abbia serpeggiato nel tessuto argomentativo del ricorso, incide sull’adempimento dell’onere probatorio sotto il profilo del nesso causale il fatto – che non appare contestato – che una parte delle prestazioni furono effettuate non dall’odontoiatra, bensì dall’odontotecnico M.: che il contratto sia nullo nel caso in cui prestazioni del genere di cui si tratta siano fornite da un odontotecnico anzichè da un odontoiatra (v. da ultimo Cass. sez. 3, 23 giugno 2016 n. 12996) non comporta, logicamente, alcuna praesumptio in ordine al nesso causale tra le suddette prestazioni e patologie che affliggono la persona che le ha ricevute.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, sussistendo, vista la particolarità della vicenda – che non a caso ha condotto anche il giudice d’appello alla compensazione – in rapporto con il testo ratione temporis applicabile dell’articolo 92 c.p.c., motivi idonei a giustificare la compensazione integrale delle spese processuali.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

PQM

 

Rigetta il ricorso compensando le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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