Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1518 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16859-2010 proposto da:

G.A.M., F.C., elettivamente domiciliati in

ROMA VIA PIEVE DI CADORE 30 PAL. 6, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE GUALTIERI, che li rappresenta e difende giusta delega a

margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI LA SPEZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 65/2009 della COMM.TRIB.REG. DELLA LIGURIA, ,

depositata il 27/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

G.A.M. presentava ricorso avverso il diniego di definizione della lite pendente emesso dall’Agenzia delle Entrate di La Spezia, a seguito della domanda dalla stessa presentata e relativa alla cartella di pagamento impugnata dalla contribuente con ricorso n. 1656/02 dinanzi alla C.T.P. di La Spezia.

Si costituiva l’Ufficio contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

La C.T.P. di La Spezia accoglieva il ricorso limitatamente al diniego di condono relativo alle sanzioni comminate e dichiarava dovuta l’imposta non versata per Euro 14.236,65, oltre interessi legali e sanzioni calcolate secondo le modalità previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 1, n. 3.

Avverso detta sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate, ribadendo le tesi già svolte in primo grado, segnatamente riguardo alla legittimità delle sanzioni applicate alla contribuente.

La C.T.R. della Liguria, con sentenza n. 65 depositata il 27 aprile 2009, in accoglimento dell’appello, riformava la sentenza impugnata sul rilievo che “l’inammissibilità della domanda di definizione della lite relativamente al tributo si estende altresì alle sanzioni”.

Avverso la suddetta pronuncia G.A.M. ed il coniuge F.C., coobbligato in solido, propongono ricorso per cassazione, sulla base di un motivo.

L’intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza in forma semplificata, giusta decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016.

2. I ricorrenti, senza enunciare alcun specifico motivo ex art. 360 c.p.c., hanno svolto considerazioni critiche in ordine alla sentenza impugnata, omettendo di formulare alcun quesito di diritto o momento di sintesi in relazione a vizi motivazionali.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto non è prospettato alcuno dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c. e non risulta altresì formulato nè un quesito di diritto, nè un momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis per essere stata la sentenza impugnata depositata il 27 aprile 2009.

Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel periodo di vigenza dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per cassazione deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un quesito di diritto idoneo, cioè tale da integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico (in termini, Cass. civ., sez. trib., 08-052013, n. 10758). Inoltre, “in tema di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso; tale sintesi non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 10, n. 4, ma assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente” (ex plurimis, Cass. civ., sez. trib., 08-03-2013, n. 5858).

3. Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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