Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15178 del 02/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15178 Anno 2014
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 14786-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente contro
SOCIETA’ ITALIANA PER CONDOTTE D’ACQUA SPA in
persona del Presidente del Consiglio di Gestione e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ARCHIMEDE 97, presso lo studio dell’avvocato DE’ MEDICI
LEOPOLDO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a
margine del controricorso;

– controricorrente –

F

Data pubblicazione: 02/07/2014

avverso la sentenza n. 249/35/2012 della Commissione Tributaria
Regionale di ROMA del 12.12.2012, depositata il 18/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI
CONTI;

avv. Leopoldo de’ Medici) che si riporta agli scritti.
In fatto e in diritto
L’Agenzia delle entrate ha impugnato con ricorso per cassazione, affidato a un
unico motivo, la sentenza resa dalla CTR Lazio n.249/35/12, depositata
1’1/2/2013, che ha confermato la sentenza resa dalla CTP di Roma, che aveva
annullato l’avviso di accertamento relativo a IVA ripresa a tassazione per
l’anno 2005 nei confronti della Società italiana per condotte d’acqua SPA.
Secondo il giudice di appello era da ritenere legittimo l’esercizio del diritto a
detrazione da parte della società cessionaria contribuente, la quale si era vista
addebitare dalla propria cedente —società Condotte spa- l’IVA nella misura del
20%, ancorchè l’importo dovuto andava liquidato con aliquota al 10%- , non
potendo l’errore della cedente pregiudicare il diritto a detrazione della
cessionaria esercitato sulla base della fattura regolarmente emessa.
L’Agenzia delle entrate, nel controricorso, deduce l’erroneità della decisione
impugnata per violazione degli artt.17,18 e 19 dPR n.633172.
La parte ricorrente ha depositato controricorso nel quale ha contestato la
censura dell’Agenzia, sostenendo il pieno diritto alla detrazione dell’IVA
corrisposta e l’esistenza di un indebito arricchimento in favore dello Stato in
caso di accoglimento della censura.
Successivamente la controricorrente ha depositato in modo rituale memoria in
prossimità dell’udienza camerale.
Il ricorso è manifestamente fondato.
Ha infatti errato il giudice di appello nel ritenere che il diritto a detrazione
spettante al cessionario di prestazione o acquirente del bene sia semplicemente
correlato all’esistenza dell’imposta detratta nella fattura emessa dal cedente.
Questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di IVA, – ai sensi del d.P.R. n.
633 del 1972, art. 19, ed in conformità all’art. 17 della sesta direttiva del
Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE- non è ammessa in ogni
caso la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione
di beni o per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa, atteso
che, in base alla normativa citata, ai fini della detrazione, non è sufficiente che
le dette operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, ma è,
altresì, indispensabile che esse siano, a loro volta, assoggettabili all’IVA nella
misura dovuta(cfr. Cass.n.4419/2003; Cass. n. 8959/2003, Cass. 12146/2009,
Cass. n. 11110/03; Cass. 11110/03, 8959/03,12756/02, 8786/01, 7602/93Cass.n.20977/13). In sostanza, se l’operazione è stata erroneamente
assoggettata all’I.V.A., “sono privi di fondamento il pagamento dell’imposta da
parte del cedente, la rivalsa da costui effettuata nei confronti del cessionario e la
Ric. 2013 n. 14786 sez. MT – ud. 22-05-2014
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udito per la controricorrente l’Avvocato Renato Famiglietti (per delega

Ric. 2013 n. 14786 sez. MT – ud. 22-05-2014
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detrazione da quest’ultimo operata nella sua dichiarazione I.V.A. e pertanto: il
cedente ha diritto di chiedere all’ amministrazione il rimborso dell’I.V.A.; il
cessionario di chiedere al cedente la restituzione dell’I.V.A. versata in via di
rivalsa; l’amministrazione ha il potere (dovere) di escludere la detrazione
dell’I.V.A. pagata in rivalsa dalla dichiarazione I.V.A. presentata dal
cessionario”- Cass., 10 giugno 1998, n. 5733-.
Tale conclusione trova piena conferma nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia – sent. 13 dicembre 1989 in causa C-342187, Genius Holding, p. 13,
ove si è ritenuto che l’esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto alle
imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione
soggetta all’IVA o versate in quanto erano dovute. Indirizzo, quest’ultimo,
ribadito nelle sentenze 19 settembre 2000, causa C-454198, Schmeink & Cofreth
AG & Co. KG; Cofreth e Strobel, punto 53, 6 novembre 2003, cause riunite da
C-78/02 a C-80/02, Karageorgou e a., punto 50 e 15 marzo 2007, causa C35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, p.23-.
Tali principi sono stati di recente confermati da questa Corte, espressamente
richiamando le disposizioni introdotte dalla dir.112/2006 CE e l’interpretazione
fornita dalla giurisprudenza della Corte europea-cfr.Cass.n.13314/2013 e
Cass.n.13313/2013-.
Si è infatti ricordato come Corte giust. 31 gennaio 2013, causa C-643/11,LVK
— 56 EOOD, p.34 ss., ha ritenuto che conformemente agli articoli 167 e 63
della direttiva 2006/112, il diritto di detrarre l’IVA fatturata è connesso, come
regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile (v.
sentenza del 26 maggio 2005, António Jorge, C-536/03, Racc. pag. 1-4463,
punti 24 e 25) e l’esercizio di tale diritto non si estende all’IVA dovuta, ai sensi
dell’articolo 203 di tale direttiva, esclusivamente per il fatto di essere indicata
nella fattura (v., in particolare, sentenze del 13 dicembre 1989, Genius, C342/87, Racc. pag. 4227, punti 13 e 19, nonché del 15 marzo 2007, Reemtsma
Cigarettenfabriken, C-35/05, Racc. pag. 1-2425, punto 23). Nella medesima
occasione la Corte europea ha tenuto poi a precisare che il rischio di perdita di
gettito fiscale non è, in via di principio, eliminato completamente, fintantoché il
destinatario di una fattura che indica un’IVA non dovuta possa utilizzarla al
fine di siffatto esercizio, ai sensi dell’articolo 178, lettera a), della direttiva
2006/112 (v., in tal senso, sentenza Stadeco, cit., punto 29). Alla luce di ciò,
l’obbligo stabilito all’articolo 203 di tale direttiva mira ad eliminare il rischio di
perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione previsto agli
articoli 167 e segg. di tale direttiva (v. sentenza Stadeco, cit., punto 28).
Orbene, tali principi, idonei a confutare le prospettazioni difensive della
controricorrente, sono stati totalmente disattesi dalla sentenza impugnata, che
ha ritenuto di giustificare il diritto a detrazione della società contribuentecessionaria- ancorchè fosse pacifico che l’IVA indica dal cedente eccedesse
l’aliquota applicabile, con la conseguenza che la cessionaria non poteva in
alcun modo portare in detrazione l’importo dell’IVA versata indebitamente.
Né le prospettazioni difensive esposte dalla parte contribuente esposte nel
controricorso e ribadite nella memoria sono idonee, a giudizio della Corte, a
incrinare il contenuto della relazione che il Collegio condivide, precisandosi
soltanto, in aggiunta, che proprio il meccanismo delle rivalse sopra ricordato,
fondato sulla legittimazione del cedente a chiedere allo Stato il rimborso
dell’IVA in eccedenza e del cessionario nei confronti del cedente, esclude

l’ipotizzato indebito arricchimento delll’erario e non vulnera in alcun modo il
principio di neutralità consustanziale, al regime dell’IVA. In questa direzione,
come già accennato, si pone la già ricordata sentenza 5 marzo 2007, causa C —
35/05, resa dal giudice eurounitario, nella quale è stato affermato che i principi
di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione
nazionale, quale quella italiana, secondo cui soltanto il prestatore di servizi è
legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle
autorità tributarie a titolo di I.V.A., mentre il destinatario dei servizi può
esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del
prestatore.
Sulla base di tali argomentazioni, il ricorso deve essere accolto e la sentenza
cassata.
Non ricorrendo la necessità di ulteriori accertamenti di merito la causa può
essere decisa nel merito ex art.384 c.p.c. con il rigetto del ricorso della parte
contribuente.
Le spese della fase di merito vanno compensate fra le parti mentre quelle del
giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo in favore dell’Agenzia
P. Q. M.
La Corte, visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta
il ricorso della parte contribuente.
Compensa le spese della fase di merito e condanna la parte contribuente al
pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in
favore dell’Agenzia in euro 3000,00 per compensi, oltre spese prenotate a
debito.
Così deciso nella camera di consiglio della sja sezione civile all’udienza del
22 maggio 2014 in Roma.

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