Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15177 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 23/06/2010), n.15177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI FAGNANO OLONA, in persona del Sindaco R.S.,

rappresentato e difeso dall’avv. Battagliola Massimiliano e dall’avv.

Paolo Mereu, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma in

via G. G. Belli n. 27;

– ricorrente –

contro

FRATELLI DI DIO GIUSEPPE MATTEO CAIRLDO & C. snc,

rappresentata e

difesa dall’avv. MARRA Giuseppe ed elettivamente domiciliata in Roma

presso l’avv. Roberto Folchitto in via Sardegna n. 40;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 142/12/05, depositata il 19 luglio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16

febbraio 2010 dal Relatore Cons. Dr. Antonio Greco;

Udita l’avv. Alessandra Abbate per il ricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Fagnano Olona propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, confermando la decisione di primo grado, ha annullato gli avvisi di accertamento dell’ICI per l’anno 1993 relativi a 18 villette della s.n.c. Fratelli Di Dio Giuseppe, Matteo, Cataldo & C, che le aveva costruite.

Secondo il giudice di merito, infatti, non vi è alcuna prova che attesti la data di ultimazione dei lavori relativi a quegli immobili nell’anno 1993, “nè altro documento, a parte i certificati di residenza esibiti dal Comune su beni ancora (è quanto emerge dagli atti, e non contestati con prove valide dal Comune) in costruzione o quasi, non forniti, oltre che dell’abitabilità, di altri elementi, quali utenze, denunce per tassa rifiuti o altro”. Ne consegue che tali certificati di residenza, “per i quali non è stato documentato l’iter seguito per il loro rilascio (accertamento in loco da parte dell’organo di vigilanza sull’effettiva utilizzazione a fini abitativi di detti beni, ecc), non hanno, nel caso specifico, alcuna valenza certificativa. Unico dato certo, terzo ed incontrovertibile, è quello fornito dalla data di presentazione della domanda di accatastamento, avvenuta il 24 gennaio 1994”.

La snc Fratelli Di Dio resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il Comune ricorrente, denunciando “falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, lett. a) del comma 1 dell’art. 2”, censura come erronea l’interpretazione offerta dalla sentenza della disposizione in rubrica, assumendo che, poichè per i fabbricati di nuova costruzione “il momento impositivo è il primo fra questi due momenti: a) data di ultimazione dei lavori; b) uso del fabbricato”, alla data di acquisizione della residenza anagrafica, che, alla luce dell’art. 43 cod. civ., è presunzione legale di dimora e quindi di utilizzazione dell’abitazione in cui si risiede, sarebbe legittimo presumere l’esistenza, perlomeno ai fini dell’ICI, del fabbricato, laddove l’accatastamento degli immobili avverrebbe sempre in un momento successivo alla loro ultimazione, ragione per cui il legislatore “nel definire il momento iniziale dell’imposizione indica l’utilizzo ovvero l’ultimazione e non fa alcun riferimento all’accatastamento del bene”.

Con il secondo motivo si duole della violazione del principio dell’onere della prova per avere il giudice di merito ritenuto non attendibili le certificazioni pubbliche di residenza dei possessori – almeno 33 persone – degli appartamenti costruiti dalla società contribuente, in quanto esso Comune non aveva fornito la prova dell’iter seguito per la formazione dei certificati stessi, mentre costituiva onere della contribuente fornire un’eventuale prova contraria del fatto che quelle persone erano andate a vivere negli immobili alle date indicate. In questo modo, alla certificazione pubblica non sarebbe stato attribuito il valore che ad essa la legge riserva, ovvero quello di atto pubblico, il cui contenuto corrisponde alla verità salvo querela di falso.

I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, istitutivo dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), stabilisce che “presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa” (art. 1, comma 2), fornendo poi (art. 2, comma 2, lett. a) la nozione, ai fini dell’imposta, di fabbricato, da intendersi come “l’unità Immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbana ..”, e specificando, infine, che “il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all’imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato”.

In tale quadro, da cui emerge la natura reale dell’imposta, nel senso che essa suppone unicamente il possesso di un fabbricato iscritto o che deve essere iscritto nel catasto edilizio urbano, la giurisprudenza di questa Sezione ha chiarito, con riguardo ai fabbricati di nuova costruzione, come non assuma tra l’altro rilievo, ai fini della soggezione all’imposta, la presumibile inidoneità dell’immobile a produrre reddito, come si evince dall’art. 8, comma 1, che permette solo la riduzione alla metà, e non l’esclusione, dell’imposta, “per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati”, e permette ai comuni di stabilire un’aliquota minore per i “fabbricati realizzati per la vendita e non venduti dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o prevalente dell’attività la costruzione e l’alienazione di immobili” (Cass. n. 24924 del 2008, anche in motivazione); e come “il rilascio del certificato di. abitabilità non costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta, non potendosi desumere il contrario dal tenore dell’art. 8, comma 1, citato, che si riferisce esclusivamente all’ipotesi di fabbricati dichiarati inagibili e inabitabili a seguito di perizia dell’ufficio tecnico comunale, e di fatto non utilizzati” (Cass. n. 5372 del 2009).

La considerazione alternativa (Cass. n. 22808 del 2006) della data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero di quella anteriore di utilizzazione del fabbricato di nuova costruzione acquista perciò rilievo solo quando il fabbricato di nuova costruzione non sia ancora iscritto al catasto perchè tale iscrizione realizza, di per sè, il presupposto principale sufficiente per assoggettare l’immobile all’imposta comunale dovuta per i fabbricati (per Cass. n. 14673 del 2006 “la nozione di immobile urbano assoggettato ad ICI appare sostanzialmente coincidente con quella di immobile suscettibile di accatastamento”).

Nella specie, non è incorso nell’errore di diritto denunciato il giudice d’appello, che ha individuato il dies a quo della soggezione all’imposta nella data di presentazione della domanda di accatastamento, costituente un dato certo e non controverso, avendo ritenuto i certificati di residenza nelle villette di alcune persone non idonei, ai fini della soggezione all’imposta, a provare la data, che l’ente locale assumeva anteriore, di ultimazione di quegli immobili. La Commissione tributaria regionale ha infatti valutato quelle certificazioni, alla stregua di quanto ad essa commesso dalla norma del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), e cioè sotto il profilo della loro idoneità a dimostrare la data di ultimazione dei lavori di costruzione dei fabbricati ovvero quella di loro effettiva utilizzazione.

Ed è su tale piano ed a tali fini che ha rilevato che, “non essendo stato documentato l’iter seguito per il loro rilascio (accertamento in loco dell’organo di vigilanza sull’effettiva utilizzazione a fini abitativi di detti beni, ecc.)”, detti certificati “non hanno, nel caso specifico, alcuna valenza certificativa”, avendo un diverso oggetto, ed attestando una diversa circostanza, la residenza anagrafica delle persone non coincidente, con quelle, stabilite dalla legge recante la disciplina del tributo, costituite dalla ultimazione dei lavori di costruzione del fabbricato ovvero dalla sua effettiva utilizzazione (in termini analoghi, ad esempio, Cass. n. 8652 del 1996, che, in tema di diritto alla successione nel contratto di locazione – del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli affini, condizionato dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, all’abituale convivenza con il conduttore deceduto, ha affermato come ai fini della prova di tale complessa situazione determinante una comunanza di vita con detto conduttore non è sufficiente il certificato storico-anagrafico, avente un valore meramente presuntivo della comune residenza ivi annotata).

Nè è stato violato il principio dell’onere della prova, e neppure è stata “negata verididicità agli atti della pubblica amministrazione”, atteso che il giudice ha motivatamente ritenuto che quelle certificazioni non fossero idonee direttamente ad attestare e, indirettamente, a provare, accanto alle altre circostanze accertate, la data di decorrenza dell’assoggettamento all’imposta, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), u.p..

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del ricorso giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.400,00 ivi compresi Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

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