Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15177 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 16/07/2020), n.15177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1217/2015 R.G. proposto da:

Impresa Caf srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. De Cicco Nicolina, con

domicilio eletto in Milano, via Pietro Calvi n. 9/11 presso lo

studio del difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 4992/30/2014 del 14 luglio 2014, depositata il 26

settembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio

2020 dal Consigliere Manzon Enrico.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 4992/30/2014 del 14 luglio 2014, depositata il 26 settembre 2014 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto da Impresa Caf srl in liquidazione avverso la sentenza n. 624/17/14 della Commissione tributaria provinciale di Milano che ne aveva respinto il ricorso contro il diniego di rimborso IVA 2000.

La CTR osservava in particolare che il PVC versato in atti dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, evidenziava la fondatezza del diniego di rimborso impugnato, posto che da tale atto istruttorio emergeva la sussistenza di fatture per operazioni inesistenti, sicchè la detrazione de qua non poteva essere riconosciuta.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo cinque motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo si denuncia la sussistenza di un vizio motivazionale della sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo controverso ovvero violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

La censura è inammissibile quanto al profilo sussumibile nella previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, stante la preclusione di cui all’art. 348-ter, stesso codice, trattandosi di un caso di “doppia conforme”.

La censura stessa è invece infondata quanto al profilo deducente il vizio motivazionale assoluto per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 118, disp. att. c.p.c., posto che la motivazione della sentenza impugnata si pone ben oltre la soglia del c.d. “minimo costituzionale” (cfr. Cass. SU, 8053/2014).

Il giudice tributario di appello infatti ha sinteticamente, ma puntualmente, esposto sia gli elementi caratterizzanti l’oggetto del processo in primo ed in secondo grado sia le ragioni essenziali per le quali ha deciso di confermare la sentenza appellata, con particolare riguardo alla, affermata dirimente, valenza del PVC giudizialmente prodotto dall’agenzia fiscale ed alla validità formale di tale atto.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36,artt. 112 e 113, c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., poichè la CTR ha omesso di pronunciarsi sui vari profili di nullità del provvedimento di diniego impugnato, asseritamente, dedotti nel giudizio di merito.

Anzitutto la censura è inammissibile per difetto di autosufficienza. Non è infatti specificato in alcun luogo del ricorso ed in alcun modo chiaro se tali eccezioni hanno formato oggetto del ricorso introduttivo della lite, mentre la proposizione delle medesime quali motivi di appello è del tutto generica e non suffragata da una trascrizione adeguata ovvero dall’allegazione del ricorso in secondo grado.

La sentenza impugnata non offre elementi integrativi di tali lacune che possano colmarle.

In ogni caso l’articolata censura è complessivamente infondata in quanto:

– nessuna norma positiva nè principio unionale prevedelsancisce l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale nel caso in cui il contribuente proponga un’istanza di rimborso;

– nemmeno esiste una norma positiva che impone particolari oneri motivazionali ed in particolare il riferimento alla richiesta di informazioni e/o del responsabile del procedimento, tantomeno sanzionati con previsioni di invalidità, del diniego di rimborso, potendo lo stesso pacificamente assumere la forma del silenzio-rifiuto (cfr. Cass., n. 8998 del 18/04/2014, Rv. 630299 – 01).

Va perciò fatta applicazione del consolidato principio di diritto che “Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex pluribus conf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018).

Infine la censura risulta altresì inammissibile nell’articolazione conclusiva relativa all’impugnabilità della risposta dell’agenzia fiscale alla sua, ultima, diffida ad effettuare il rimborso, non essendo tale circostanza in alcun modo ricompresa nelle rationes decidendi della sentenza impugnata, nemmeno implicitamente ovvero come obiter dictum, non risultando peraltro la stessa devoluta alla cognizione del giudice di appello.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2-3-4, artt. 112 e 113, c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2, L. n. 212 del 2000, art. 10, poichè la CTR ha omesso di pronunciare sulll’eccepita violazione dei principi statutari di collaborazione e buona fede a causa del persistente silenzio opposto dall’agenzia fiscale alle reiterate richieste di rimborso nel tempo proposte dalla società contribuente.

La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza analogamente a quanto rilevato per il secondo mezzo, altresì trattandosi di una questione che non risulta devoluta alla cognizione della CTR ed è in ogni caso implicante una valutazione di merito (prospettazione di una ragione risarcitoria estranea al presente processo) che non rientra nel sindacato di questa Corte. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2-3-4, artt. 112,113 e 115, c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2, art. 2697 c.c., poichè la CTR ha omesso di pronunciare sulle eccezioni di nullità per vizi di notifica e di motivazione degli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta per i quali è stato richiesto il rimborso.

La censura è infondata.

Il giudice tributario di appello infatti ha espressamente pronunciato sul punto, negando ogni incidenza di tali eccezioni nel presente contenzioso di rimborso e comunque affermandone l’infondatezza. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione delle medesime disposizioni legislative evocate con il quarto mezzo, poichè la Commissione tributaria regionale, con motivazione asseritamente “apparente”, ha affermato che il diniego di rimborso opposto dall’agenzia fiscale trova fondamento nel PVC in atti e non ha tenuto conto delle eccepite decadenze maturate in sfavore dell’agenzia fiscale stessa.

La censura è inammissibile, per difetto di autosufficienza non essendo indicato il luogo processuale nel quale queste eccezioni di decadenza siano state formulate, il che, tra l’altro, inibisce alla Corte di valutarne la tempestività.

In ogni caso la censura stessa è per altro profilo da considerarsi inammissibile, poichè la sentenza impugnata non risulta in alcun modo basata sulle questioni di prescrizione/decadenza che, con notevole confusione e difetto di specificità, sono agitate con il mezzo in esame.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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