Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15177 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19192-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato VELLA GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO

50, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SORDA GIUSEPPE SAVERIO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 621/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 10/07/2006 r.g.n. 850/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega GIUSEPPE VELLA;

udito l’Avvocato SAVINA BOMBOI per delega BRUNO COSSU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Genova accoglieva la domanda del G. diretta all’accertamento dell’illegittimità di vari contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con la società Poste Italiane il 10 novembre 1997, il 16 febbraio 1998 ed il 5 giugno 1999, dichiarando in particolare l’illegittimità di quest’ultimo, e l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato da tale data, con condanna della società Poste al pagamento delle retribuzioni dalla data di costituzione in mora.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 10 luglio 2006, respingeva gli appelli proposti dalle parti (quello incidentale del G. inerente solo la compensazione parziale delle spese) ritenendo che il limite temporale di applicabilità dei vari accordi sindacali in materia andasse individuato al 31 dicembre 1998; che vi era stata valida offerta delle prestazioni lavorative con lettera del 10 giugno 2002; che l’eccepita risoluzione del rapporto per mutuo” consenso non era stata provata.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Poste, affidato a due motivi, poi illustrati con memoria. Resiste il G. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia la sentenza impugnata di violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e art. 1362 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione relativamente alla erronea interpretazione delle norme citate e della ritenuta scadenza temporale degli accordi sindacali intervenuti in materia in base al citato art. 23. Ad illustrazione del motivo formulaci il prescritto quesito di diritto.

Il motivo è infondato.

L’assunzione a termine in questione è stata effettuata in base all’accordo 25 settembre 1997, integrativo del c.c.n.l. 26 novembre 1994, che autorizzava la stipulazione di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in relazione alla trasformazione giuridica dell’ente, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

Nella stessa data, veniva stipulato un Accordo attuativo per assunzioni con contratto a termine, secondo il quale le parti si davano atto che, fino al 31 gennaio 1998, l’impresa si trovava nella situazione di cui al punto che precede (clausola “madre”, di cui sopra) dovendo affrontare di processo di trasformazione della sua natura giuridica con conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di trattativa.

Successivamente, l’accordo attuativo per assunzioni con contratto a termine, siglato il 16 gennaio 1998, riporta la stessa dicitura del primo accordo attuativo, stabilendo che in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30 aprile 1998.

In data 27 aprile 1998 viene stipulato un Accordo modificativo dell’art. 14 c.c.n.l., comma 4 (del c.c.n.l. 26 novembre 1994), con il quale, oltre che estendere anche al mese di maggio le assunzioni per il periodo di ferie, le parti prendevano atto, inoltre, che l’azienda dopo l’avvenuta trasformazione in S.p.A., si trovava a dover fronteggiare esigenze imprevedibili e contingenti scaturite dai nuovi processi di ristrutturazione e riorganizzazione. Per fronteggiare tale esigenze, si conveniva che l’Azienda avrebbe disposto la proroga di 30 giorni dei rapporti di lavoro a termine in scadenza al 30 aprile 1998, così come previsto dalla normativa vigente in materia. Nel settembre 1998, infine, interviene l’accordo relativo al Pati-time “Addendum all’art. 7 c.c.n.l. 26 novembre 1994”, con il quale viene modificata l’originaria disciplina collettiva sui contratti di assunzione a tempo determinato e parziale, e si stabilisce altresì che le assunzioni di cui trattasi avvengono in applicazione dell’accordo sottoscritto in data 25 settembre 1997 come successivamente integrato che si intende pertanto prorogato a tutto il 31 dicembre 1998.

Questa Corte ha ripetutamente affermato (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass.3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603) che, negando che le parti collettive, con l’accordo del 25 settembre 1997, avessero inteso introdurre limiti temporali al ricorso ai contratti a termine, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi sopra indicati non avrebbero avuto alcun senso, neppure se considerati come meramente ricognitivi.

In particolare, se il contratto del 25 settembre 1997 non prevedesse alcun termine di efficacia per la facoltà conferita all’Azienda di stipulare i contratti a termine – essendo questa consentita al definitivo compimento della ristrutturazione – non avrebbe avuto alcun senso stipulare gli accordi attuativi in cui invece un termine risulta indicato; una diversa interpretazione escluderebbe qualunque effetto sia all’accordo attuativo in pari data, in cui si dava atto che l’azienda si trovava in stato di ristrutturazione fino al 31 gennaio 1998, sia al successivo accordo “attuativo” del 16 gennaio 1998, giacchè nulla ci sarebbe stato da “attuare” e nulla da “riconoscere” dal punto di vista temporale. Ancora minore senso avrebbe avuto la pattuizione contenuta in quest’ultimo accordo per cui ai contratti a termine poteva procedersi fino al 30 aprile 1998, ovvero che la società sarebbe stata specificamente legittimata a ricorrere ai contratti a termine “oltre” la data fissata.

Ne consegue l’illegittimità dei contratti a termine stipulati, per la causale in questione e come nel caso oggetto del presente giudizio, oltre il 30 aprile 1998.

2. – Con il secondo motivo la società Poste denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, 1362, comma 2, e art. 2697 c.c., oltre che dell’art. 115 c.p.c., nonchè omessa insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, valutato il lungo periodo di inerzia del lavoratore dopo la cessazione di fatto del rapporto (4 anni) e la breve durata di esso.

Ad illustrazione del motivo formulava il prescritto quesito di diritto. Anche tale motivo risulta infondato.

Questa Corte ha più volte affermato che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione di un termine a numerosi contratti intervallati da periodi di inattività, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo dissenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, con la precisazione che, a tal fine, non è sufficiente la mera discontinuità della prestazione lavorativa o il mero decorso del tempo (da ultimo, Cass. 11 marzo 2011 n. 5887; Cass. 18 novembre 2010 n. 23319; Cass. 15 novembre 2010 n. 23057). Ovviamente la valutazione del significato e della portata del complesso dei predetti elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

Nella specie la corte territoriale ha congruamente valutato l’irrilevanza del decorso del tempo e che il G. stipulò con la società Poste Italiane non solo il contratto del 5 giugno 1999, ma altri due contratti nell’anno precedente della durata di oltre cinque mesi.

3. -Il ricorso deve in definitiva respingersi, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura – che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va evidenziato che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 30,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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