Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15177 del 01/06/2021

Cassazione civile sez. un., 01/06/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 01/06/2021), n.15177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato AURELIA DE NUNZIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di SALERNO (r. g. n. 8138/2018),

emesso il 16/04/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2021 dal Consigliere ROBERTO GIOVANNI CONTI;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale RENATO FINOCCHI

GHERSI, il quale chiede che la Corte dichiari l’inammissibilità del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.C. ha proposto ricorso per cassazione, contro il Ministero dell’Interno, impugnando il decreto del Tribunale di Salerno, Sezione Specializzata in materia di Protezione internazionale, che ha rigettato la sua opposizione avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale che aveva, a propria volta, disatteso le sue domande di riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria.

Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

La prima Sezione civile della Cassazione, ritenendo preliminare rispetto all’esame dei motivi proposti la valutazione dell’ammissibilità del ricorso, in ragione del difetto di espressa certificazione della data della procura speciale risultante (21. 5. 2019) rilasciata dal ricorrente all’avv. A. De Nunzio su foglio separato e congiunto materialmente al ricorso, ha evidenziato che detta procura, seconza che risultasse la data di comunicazione del decreto impugnato, recava unicamente l’autentica della firma del ricorrente – con la formula “Tale è” – e che non era certificata la data di rilascio della procura.

Dopo aver rilevato un contrasto all’interno della Corte in ordine agli effetti della mancata specifica certificazione della data apposta sulla procura da parte del difensore e richiesta dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), convertito, con modificazioni, in L. n. 46 del 2017, la sezione prima, con ordinanza n. 5213/2021, ha rimesso gli atti al Primo Presidente perchè valutasse l’opportunità di assegnare il ricorso a queste Sezioni Unite, al fine di comporre il segnalato contrasto e di risolvere la questione di massima di particolare importanza circa l’interpretazione conforme ai parametri costituzionali e dell’Unione Europea del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13.

Innanzi a queste Sezioni Unite sono stati trattati alla medesima udienza ulteriori procedimenti, uno dei quali rimesso a queste sezioni unite dalla medesima sezione prima – ordinanza n. 5214/2021, relativa al procedimento proposto da Abbas Shamas – R. G. n. 17070/2019 – e gli ulteriori rimessi dalla Sezione seconda civile, con le ordinanze interlocutorie nn. 28208/2020, 28209/2020, 29250/2020, 29251/2020, le quali hanno prospettato, nei giudizi di cassazione rispettivamente proposti da Mustafa Aurangzeb -R. G. n. 26228/2019 – Aigbedion Courage – R. G. n. 25481/2019 – Mike Osato -R. G. n. 21971/2019 – Daouda Dabreo – R. G. n. 21970/2019-, analoghe questioni di massima di particolare importanza rispetto a quelle esposte nell’ordinanza interlocutoria n. 5213/2021, in quanto vertenti sui contenuti e sulle modalità di rilascio al difensore della procura speciale nel ricorso per cassazione relativo a diniego di protezione internazionale.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sono stati rimessi all’esame di queste Sezioni Unite diversi procedimenti, pendenti innanzi alla prima sezione civile ed alla seconda sezione civile, accomunati dal presentare problemi interpretativi in ordine alle modalità di rilascio della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione in materia di protezione internazionale e riconoscimento dello stato di rifugiato politico.

Muovendo da quelle più risalenti nel tempo, le quattro ordinanze interlocutorie della seconda Sezione civile sopra indicate segnalano, con motivazioni fra loro sovrapponibili, il contrasto emerso all’interno della Corte in ordine agli effetti della mancata certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, – inserito dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), convertito, con modificazioni, in L. n. 46 del 2017, ed applicabile, giusta l’art. 21, comma 1, stesso D.L. , alle cause e ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, a tenore del quale “la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima”.

2. La Sezione seconda ricorda che tale norma, e in special modo l’inciso finale relativo alla certificazione della data della procura, ha dato luogo nella giurisprudenza delle sezioni di questa Corte a soluzioni divergenti, a volte riconoscendosi implicitamente la validità della procura in caso di certificazione unica da parte del difensore dell’autenticità della data e della firma del ricorrente, al-tre volte invece pervenendosi, esplicitamente, alla inammissibilità del ricorso in cui la procura era rilasciata su foglio materialmente congiunto al ricorso, recante una data successiva a quella del decreto impugnato, ma priva di autonoma certificazione della data, ritenendo assente il requisito della specialità richiesto dall’art. 365 c.p.c.- Cass. n. 15211/2020 -.

3. La seconda sezione ricorda ancora altre pronunzie di questa Corte che, per pervenire alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, hanno valorizzato l’assenza di data e, all’interno della procura, del riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio di cassazione, ritenuti elementi idonei ad incidere sul re-quisito, essenziale, della specialità del giudizio di cassazione (Cass. n. 4069/2020, Cass. n. 16040/2020), evocando il generale indirizzo interpretativo che giunge a ritenere l’inammissibilità del ricorso per cassazione in caso di procura contenente espressioni incompatibili con la proposizione di detta impugnazione ed univocamente dirette ad attività proprie di altri gradi e fasi processuali (Cass. nn. 23381/04, 6070/05, 18257/17, 60711/18, 25177/18, 17708/19 e 4069/2023).

4. La Sezione seconda dà quindi atto dell’esistenza di un terzo filone interpretativo che, nel pervenire all’inammissibilità del ricorso, ha ritenuto che la data in cui la procura è stata conferita va certificata dal difensore al fine di assolvere al requisito della posteriorità alla comunicazione del decreto impugnato, non assolvendo alla funzione certificatoria la sola autentica della firma, nè il citato requisite, potendo discendere dalla mera inerenza all’atto steso a fianco o dalla sequenza notificatoria (Cass. n. 1043/20; conf. Cass. n. 12083/20).

5. Le ordinanze interlocutorie di cui si discute, nel dichiarare di condividere l’ultimo degli indirizzi teste ricordati, hanno espresso riserva sul secondo indirizzo, escludendo di poter ritenere che la certificazione autonoma della data intenda disciplinare il requisito della specialità della procura già previsto in generale per il ricorso per cassazione, non differendo nella materia della protezione inter-nazionale il ricorso per cassazione da quello regolato dal codice di procedura civile (art. 365 c.p.c.), se non per la contrazione del termine impugnatorio, ciò, peraltro, risultando confermato dalle modifiche apportate al testo contenuto del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, lett. g), nel quale il contenuto testuale -“(l)a procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere apposta in calce o a margine del medesimo ricorso e, qualora sia stata conferita al momento della proposizione del ricorso innanzi al tribunale, deve essere rinnovata, a pena di inammissibilità, nelle forme di cui al presente periodo” – sembrava indicare la volontà del legislatore di incidere sulla possibilità di rilascio della procura su foglio separato ancorchè congiunto al ricorso. Espressione che, una volta modificata dal nuovo testo convertito nella L. n. 43 del 2017, non lascerebbe dubbi in ordine alla ratio sottesa alla disposizione anzidetta, intesa ad attribuire al difensore la potestà certificativa “anche” della data di rilascio. Le ordinanze evidenziano, altresì, la diversità di disciplina della disposizione di cui all’art. 35 bis, comma 13, cit. , rispetto al contenzioso civile ordinario, nel quale la modalità attraverso la quale si forma il rapporto interno tra la parte ed il suo procuratore è di regola indifferente per l’ordinamento, attribuendovi rilievo l’ordinamento solo quando lo stesso rapporto si esteriorizza. Per converso, nell’ambito della protezione internazionale tale indifferenza circa le modalità di formazione del rapporto interno verrebbe meno per il rilievo pubblicistico che connota la materia della richiesta d’asilo. Imponendo al difensore di certificare, a pena d’inammissibilità del ricorso, anche la data di rilascio della procura, necessariamente posteriore alla comunicazione della decisione impugnata, l’ordinamento avrebbe inteso evitare che la procura speciale a ricorrere per cassazione possa derivare da una sottoscrizione preventiva e da un riempimento successivo, senza alcuna garanzia che il richiedente sia ancora presente sul territorio dello Stato. Presenza che costituirebbe, in generale, il presupposto per la validità della procura e dell’attestazione del procuratore che ne autentica la sottoscrizione – a tal guisa richiamando Cass. 665/11 e 21753/13-.

6. In questa direzione, secondo la sezione seconda, deporrebbe anche la circostanza che per la proposizione del ricorso per cassazione nella materia della protezione internazionale l’ordinamento non riproduce il contenuto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 2, che consente la proposizione del ricorso contro i provvedimenti della Commissione territoriale anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana (in tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e la procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare).

7. Secondo le ordinanze interlocutorie “… L’aver la norma in commento connesso la modalità di rilascio della procura speciale alla presenza del richiedente sul territorio dello Stato, e questa a un contatto attuale col difensore, costituisce una scelta discrezionale del legislatore. Essa è motivata (anche in considerazione degli oneri di patrocinio a carico dello Stato, frequenti in materia) dalla necessità di evitare che attraverso convenzioni verbali di riempimento (o anche in assenza di esse) il ricorso per cassazione sia proposto sulla base su di una pregressa sottoscrizione in bianco.

E ciò indipendentemente da una verifica dell’attualità dell’interesse, tutt’altro che scontata data la precarietà sul territorio dello Stato del richiedente in attesa di protezione”.

7.1. Tale opzione legislativa sarebbe immune da dubbi di legittimità costituzionale, sia sotto il profilo dei parametri di ragionevolezza e di uguaglianza, sia alla stregua dell’art. 10 Cost. , comma 3, che, pur non escludendo affatto forme di protezione extraterritoriale, presuppone, pur sempre, di regola, la presenza dello straniero nel territorio dello Stato quale presupposto stesso della protezione (c. d. asilo territoriale).

8. Secondo le ordinanze interlocutorie la giurisprudenza della Corte costituzionale, indurrebbe a ritenere che i limiti posti (nella specie non all’ingresso, ma) all’esercizio del diritto alla protezione internazionale – pur sempre collegato alla presenza del richiedente sul territorio nazionale – risulterebbero tutt’altro che irragionevoli. In tal senso deporrebbero le sentenze Corte Cost. n. 94/09 e Corte cost. n. 104/69, che riconoscono l’esistenza di un margine di libertà inferiore rispetto a quello che compete al cittadino all’interno del territorio dello Stato, potendo lo straniero “entrarvi e soggiornarvi solo conseguendo determinate autorizzazioni (revocabili in ogni momento) e, per lo più, per un periodo determinato” e parimenti le decisioni Corte cost. n. 148 del 2008, n. 361 del 2007, n. 224 e n. 206 del 2006, n. 250/10 che attribuiscono ampia discrezionalità allo Stato nel fissare limitazioni all’ingresso degli stranieri. Ciò perchè il fine perseguito dal legislatore sarebbe quello di evitare che siffatta tutela (con i costi sociali ed economici connessi, inclusi quelli, eventuali, di patrocinio a carico dello Stato) sia accordata ad un richiedente il quale, essendo nuovamente emigrato nel frattempo, non ne abbia più diritto o comunque interesse.

8.1. Da qui la conclusione che il riferimento alla specialità della procura rilasciata per il ricorso per cassazione sarebbe estraneo tanto alla lettera, quanto alla finalità della norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, non potendo quest’ultimo essere interpretato ed applicato a misura del grado in cui il provvedimento impugnato sia identificabile all’interno della procura. Nè avrebbe pregio la ricerca nella procura stessa di indici formali di riempimento (ad esempio, inserzione di dati a penna su modulo prestampato) o, per contro, di contestualità (ad esempio, apposizione della procura a margine del ricorso), intendendo il legislatore unicamente imporre che il difensore certifichi anche la data di rilascio della procura, la cui sottoscrizione in epoca non anteriore alla comunicazione del provvedimento impugnato non può essere surrogata o desunta altrimenti, meno che mai sulla base d’un ragionamento inferenziale.

9. Le ordinanze interlocutorie della sezione seconda hanno poi sottolineato che non occorrerebbe una duplicità di formule certificative da parte del difensore, essendo sufficiente anche una sola firma in calce, purchè essa rechi una comune dizione di autenticità, riferibile cioè sia alla sottoscrizione del richiedente, sia alla data di rilascio della procura. Ma proprio in questo stesso contesto le ordinanze interlocutorie sottolineano che un ulteriore contrasto risulterebbe esistente nella giurisprudenza della Corte in ordine al caso alla stessa sottoposto, nel quale la procura recava tanto la data che la firma, mentre l’autenticazione del difensore era espressamente riferita alla sola sottoscrizione del richiedente, con espressioni del tipo “è vera la firma” o “per autentica della sottoscrizione” o altre equipollenti. In tali casi, secondo le ordinanze interlocutorie, sarebbe dubbia la possibilità di estendere la volontà certificativa oltre quanto espressamente dichiarato, tanto più che, sebbene tenutovi, il difensore potrebbe omettere di certificare la data, della cui ipotetica falsità, pertanto, non risponderebbe penalmente.

10. Non dissimili, nella sostanza, risultano le questioni sollevate dalle due ordinanze di rimessione al primo Presidente – ordd. 5212 e 5213 del 2021, cit. – della prima Sezione civile che, pur insistendo sulla sicura connotazione pubblicistica della norma di cui all’art. 35 bis cit. , comma 13, concordando sulla ratio sottesa alla disposizione in parole – evitare che la tutela in materia di protezione internazionale con i costi sociali ed economici connessi, inclusi quelli (eventuali ma comprensibilmente frequenti) di patrocinio a carico dello Stato sia accordata ad un richiedente il quale, essendo medio tempore nuovamente emigrato, non vi abbia interesse -. Tali ordinanze sottolineano la compatibilità di detta finalità con il quadro UE e, segnatamente, con l’art. 46, par. 11 della dir. 2013/32/UE, laddove precisa che gli Stati membri possono stabilire nel diritto nazionale le condizioni che devono sussistere affinchè si possa presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato o rinunciato al ricorso di cui al paragrafo 1, nonchè le norme procedurali applicabili, se letto insieme all’art. 28, che consente agli Stati membri di presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato la domanda di protezione internazionale o rinunciato a essa, quando è accertato che il richiedente è fuggito o si è allontanato senza autorizzazione dal luogo in cui viveva o era trattenuto, senza contattare l’autorità competente in tempi ragionevoli, pur garantendo il diritto del richiedente a permanere nel territorio dello stato sino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto ad un ricorso effettivo o, in caso di esercizio del diritto stesso, in attesa dell’esito del ricorso.

La prima sezione civile, rilevando che alcune pronunzie di questa Corte – Cass. n. 17717/2018 e Cass. n. 29251/2020 – avevano escluso profili di incostituzionalità della legge, nella parte in cui erano state ritenute rientrare nelle scelte discrezionali del legislatore le modalità di rilascio della procura speciale in materia di protezione internazionale, ha quindi ritenuto opportuno, nelle ricordate ordinanze nn. 5213 e 5214 del 2021, rinviare gli atti al Primo Presidente per l’eventuale esame delle Sezioni Unite della “questione di massima di particolare importanza circa l’interpretazione conforme ai parametri costituzionali e unionali del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, avuto riguardo alle concrete modalità di certificazione da parte del difensore, a pena di inammissibilità, della data di rilascio della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione”.

Il perimetro delle questioni rimesse alle Sezioni Unite.

11. Le ordinanze interlocutorie, sopra riassunte, sollecitano un intervento in funzione nomofilattica da parte di queste Sezioni Unite su due questioni tra loro direttamente collegate. La prima questione, sollevata dalla seconda Sezione, attiene alla rilevanza ed agli effetti della previsione normativa, introdotta in sede di conversione del D.L. n. 13 del 2017, da parte della L. n. 46 del 2017, nella parte in cui è stato previsto che la procura speciale alla proposizione del ricorso per cassazione in materia di protezione internazionale sia conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, imponendo a tal fine la certificazione da parte del difensore della data di rilascio in suo favore della procura, chiedendosi altresì un intervento chiarificatorie in ordine alle concrete modalità con le quali dovrebbe eventualmente esprimersi, da parte del difensore, la funzione certificatoria innovativamente introdotta dal legislatore del 2017 e, in particolare, se la stessa debba essere espressa in modo autonomo rispetto a quella concernente l’autentica della firma del conferente la procura.

12. La seconda questione, sollevata dalla prima Sezione, mira a risolvere la questione di massima di particolare importanza circa l’interpretazione conforme ai parametri costituzionali e dell’Unione Europea del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, avuto riguardo alle concrete modalità di certificazione da parte del difensore, a pena di inammissibilità della data di rilascio della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione.

Il quadro normativo di riferimento e la sua evoluzione rispetto al D.L. n. 13 del 2017.

13. Va premesso che ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, si intende per “domanda di protezione internazionale o domanda di asilo o domanda” la domanda presentata secondo le procedure previste dal presente decreto, diretta ad ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria. L’art. 35, comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 25/2008 prevede, poi, che avverso la decisione della Commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria è ammesso ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, precisando che il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l’interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e sia stato ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Ora, il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, ha introdotto alcune modifiche al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25.

13.1. In particolare, l’art. 6, comma 1, lett. g), dopo l’art. 35, del D.Lgs. ult. cit. , ha aggiunto l’art. 35 bis. Ora, il comma 2 di tale ultima disposizione ha previsto che “Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana. I n tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare”.

13.2. Inoltre, lo stesso art. 35 bis, comma 13, come introdotto dal D.L. ult. cit. , ha disposto che “Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con decreto che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. Il decreto non è reclamabile. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, di cui al comma 3, viene meno se con decreto, anche non definitivo, il ricorso è rigettato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche relativamente agli effetti del provvedimento cautelare pronunciato a norma del comma 4. Il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere apposta in calce o a margine del medesimo ricorso e, qualora sia stata conferita al momento della proposizione del ricorso innanzi al tribuna-le, deve essere rinnovata, a pena di inammissibilità, nelle forme di cui al presente periodo. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull’impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione della Commissione. La sospensione di cui al periodo precedente è disposta su istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. La controparte può depositare una propria nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell’istanza di sospensione. Il giudice decide entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile”.

13.3. Il D.L. n. 13 del 2017, è stato convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, e per quanto riguarda l’art. 35 bis, ult. cit. , rimasto invariato il comma 2, risulta parzialmente sostituito, rispetto al sopra riportato testo il comma 13, nel senso che “La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima.

14. Va ancora aggiunto che la specificità del ricorso per cassazione in parte qua rispetto a quello ordinariamente regolato dal codice di procedura civile riguarda anche il termine concesso per ricorrere – decorrente dalla comunicazione del provvedimento a tutte le parti del procedimenti di primo grado, anche se non costituite- ridotto a 30 giorni a fronte del termine di sessanta giorni previsto ordinariamente dal c.p.c.Si tratta di una previsione già ritenuta costituzionalmente immune da vizi – Cass. n. 17717/2018- non tanto e solo per il fatto che altri settori dell’ordinamento la ammettono in diverse circostanze, quanto per la prioritaria ragione che è stato proprio il legislatore dell’UE a prevedere che i procedimenti interni volti a tutelare i diritti in gioco all’interno della protezione internazionale siano ispirati al canone dell’urgenza, come emerge in modo diffuso dalla dir. 2013/UE.

15. Nè in questa sede viene in discussione la questione relativa all’eliminazione del doppio grado di giudizio di merito operata dal D.L. n. 13 del 2017, avendo già questa Corte ritenuto che la stessa non impinge con i canoni costituzionali in ragione della mancanza di copertura costituzionale del sistema di doppio grado di giudizio e della ampia facoltà riconosciuta al richiedente di rappresentare nel corso della fase amministrativa, improntata al rispetto del contraddittorio, le ragioni poste a fondamento del diritto fondamentale che si intende affermare in giudizio – Cass. n. 27700/2018 -. Principio, peraltro, che ha trovato piena conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia che, nell’ambito di sua competenza, ha escluso che il sistema interno, come quello di altro Paese dell’UE che ha escluso il sistema di doppio grado di giudizio in materia di protezione internazionale incide sul canone dell’effettività della tutela giurisdizionale protetto dall’art. 47 della Carta UE e dall’art. 19 Tr. Unione Europea, per come si avrà modo di precisare nel prosieguo.

16. Va ricordato che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, ai commi 1 e 2, individua nei provvedimenti delle Commissioni territoriali relativi al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria quelli da assoggettare al nuovo regime processuale stabilito nell’art. 35 bis, e, per quel che qui interessa, alle regole connesse al rilascio della procura speciale per il ricorso per cassazione.

17. Occorre solo rammentare che le modifiche relative al procedimento giurisdizionale concernente la protezione internazionale apportate dal D.L. n. 13 del 2017, convertito nella L. n. 46 del 2017, sono entrate in vigore, per ciò che riguarda la modifica del modello processuale proprio dei giudizi in oggetto, dal 17 agosto 2017, giusto l’art. 21, del D.L. cit. , convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017: Disposizioni transitorie – 1. Le disposizioni di cui agli artt. 3 e 4, 6, comma 1, lett. a), d), f) e g), art. 7, comma 1, lett. a), b), d) ed e), art. 8, comma 1, lett. a), b), nn. 2), 3) e 4), e c), e art. 10 si applicano alle cause e ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Alle cause e ai procedimenti giudiziari introdotti anteriormente alla scadenza del termine di cui al periodo precedente si continuano ad applicare le disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore del presente decreto.

Le questioni devolute all’esame delle Sezioni Unite.

18. Ciò posto, queste Sezioni Unite sono chiamate a fare chiarezza sulla portata del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, tanto sotto il profilo della portata precettiva della nuova disposizione, quanto sulla sua compatibilità con il quadro del diritto dell’Unione Europea e costituzionale, a seconda dell’opzione ermeneutica ritenuta prevalente.

19. Per comodità espositiva, queste Sezioni Unite intendono affrontare le questioni sottoposte sulla base dei seguenti passaggi argomentativi:

1) individuare il quadro del diritto vivente in ordine alla procura speciale per il ricorso per cassazione;

2) esaminare l’iter dei lavori preparatori;

3) determinare la portata precettiva del dato normativo e le possibili opzioni ermeneutiche;

4) verificare la tenuta della norma così individuata rispetto ai principi del diritto dell’Unione Europea e, successivamente, di quelli costituzionali e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Il quadro del diritto vivente a proposito della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione.

20. In termini generali, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la procura per il ricorso in cassazione deve avere, ai sensi dell’art. 365 c.p.c., carattere speciale, dovendo riguardare il particolare giudizio di legittimità sulla base di una specifica valutazione della sentenza da impugnare. Essa è, dunque, invalida se rilasciata in data anteriore alla suddetta sentenza, con conseguente inammissibilità del proposto ricorso (Cass. , 16/12/2005, n. 27724). A maggior ragione è inammissibile il ricorso proposto in forza di procura di carattere generale conferita con atto notarile anteriormente alla sentenza impugnata e priva di ogni riferimento alla sentenza impugnata e all’impugnazione da proporsi in cassazione (Cass. , 14/08/1997, n. 7611; conf. 07/12/2005, n. 27012). Trattasi di principi di diritto consolidati (conf. Cass. , 04/08/2000, n. 10235; 28/03/2006, n. 7084; 06/04/2010, n. 8200; 11/09/2014, n. 19226; 07/01/2016, n. 58).

21. Nella procura, quel che giustifica la specialità ai fini del ricorso per cassazione è la posteriorità della stessa o anche solo la contestualità rispetto al deposito della sentenza impugnata, potendosi la data non espressamente indicata desumersi dall’incorporazione del mandato difensivo con il ricorso per cassazione – cfr. Cass. n. 14437/2019 -, la contestualità ma non già la esplicita previsione della data – cfr. Cass. n. 24422/2016, Cass. n. 18834/2017, Cass. n. 7014/2017, Cass. n. 5577/2019 -.

22. Queste Sezioni Unite hanno già riconosciuto, fin da tempo risalente, che il difensore non assume su di sè, all’atto della autenticazione della firma, l’obbligo di identificazione del soggetto che rilascia il negozio unilaterale di procura – Cass. , S. U. , n. 1167/1994, Cass. , S. U. , 17/05/1995, n. 5398, Cass. , S. U. , n. 25036 del 7/11/2013; v. anche, nella giurisprudenza delle sezioni semplici (Cass. , Sez. 2, n. 144 del 19/1/1985; Cass. , Sez. 2, n. 14190 del 27/6/2011; Cass. , Sez. 6 – 5, Ord. n. 16634 del 5/7/2017) – pur non dubitandosi che l’autenticazione della firma, in relazione alla sua natura essenzialmente pubblicistica, può essere contestata in via esclusiva con querela di falso.

23. Quanto al potere di autenticazione della firma, questa Corte ha ritenuto che il difensore compie un negozio di diritto pubblico e riveste la qualità di pubblico ufficiale, la cui certificazione può essere contestata soltanto con la querela di falso – cfr. Cass. 2 settembre 2015, n. 17473; Cass. , 25 luglio 2018, n. 19785; Cass. , 20 ottobre 2017, n. 24939 -.

24. La giurisprudenza è poi ferma nel ritenere che, di norma, al cittadino straniero che agisca davanti al giudice italiano è consentito il rilascio del mandato ad litem nella forma prevista dall’art. 83 c.p.c., dovendosi presumere la presenza di esso nello stato italiano, che costituisce il presupposto per la validità della procura medesima, dall’attestazione del procuratore che ne autentica la sottoscrizione (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 665 del 13/1/2011, Rv. 616217-01; si veda anche Cass. Sez. 6-1, Senten-za, n. 17301 del 12/7/2013).

L’iter dei lavori preparatori.

25. L’esame dell’iter parlamentare che ha accolto il D.L. n. 13 del 2017, si può compendiare nello stralcio delle dichiarazioni del re-latore al Senato rese in occasione della discussione in aula del provvedimento di conversione, avvenuta il 28. 3. 2017, da parte di uno dei relatori del testo (sen. Cuccia) e dell’emendamento che è poi stato trasfuso nel provvedimento finale – emendamento n. 6. 2000 -, che di seguito si riporta in stralcio:

“Si tratta di un tema di cui ho già parlato in discussione generale, che è tornato prepotentemente nel dibattito in Commissione e nel corso della discussione in Aula. La Commissione ha optato per affidare la scelta sui ricorsi avverso le decisioni delle commissioni territoriali alle sezioni specializzate dei tribunali. Taluno avrebbe voluto che la competenza spettasse alle corti d’appello. Credo sia opportuno ribadire ancora una volta che la scelta fatta risponde ad una presa d’atto della situazione esistente presso le corti d’appello in Italia, che attualmente presentano una carenza importante di organico, sono oberate da un numero imponente di fascicoli pendenti, presentano carenza di personale amministrativo oltre che di giudici e, quindi, la conseguenza è che, se avessimo operato una scelta differente, certamente avremmo paralizzato l’attività delle corti d’appello e la nuova normativa non avrebbe certamente trovato una facile applicazione. Lo stesso si può dire per ciò che riguarda l’obiezione, formulata da più parti, per quanto riguarda la possibilità di ricorrere in Cassazione avverso i provvedimenti delle sezioni specializzate dei tribunali, ricordando peraltro che è stato approvato un emendamento che, in qualche maniera, ha una funzione deflativa rispetto alla proposizione gratuita – mi si passi questo termine – dei ricorsi in Cassazione. Con tale emendamento si prevede infatti che la procura debba essere rilasciata successivamente alla conoscenza dell’esito della decisione del tribunale e il difensore deve darne certificazione, attraverso l’autentica della firma e la certificazione della data. In questo modo, certamente, considerata la situazione che si verrà a creare, si otterrà quello scopo deflativo per cui l’emendamento è stato proposto ed approvato.

Anche per il procedimento relativo all’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale che, nel nostro ordinamento – c. d. Unità Dublino del Ministero dell’Interno -, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, ha precisato che la procura alle liti per la presentazione del ricorso in Cassazione deve essere conferita in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, utilizzando una formula lessicale sovrapponibile a quella introdotta nell’art. 35 bis, comma 13.

In particolare, il comma 3 septies, specifica che la procura alle liti per la presentazione del ricorso in Cassazione deve essere conferita in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, pena l’inammissibilità del ricorso. – Il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni e decorre dalla comunicazione del decreto, da effettuare a cura della cancelleria anche nei confronti della parte non costituita. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima”.

26. Orbene, dall’esame dei lavori preparatori è dato evincere che il legislatore, nel modificare in sede di conversione l’art. 35 bis, comma 13, come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, ha inteso creare uno sbarramento alle ipotesi di rilascio della procura per la proposizione del ricorso per cassazione in epoca anteriore all’emissione del decreto reso dal giudice specializzato di primo grado.

27. In questa direzione militano inequivocabilmente sia l’originaria previsione contenuta nel D.L. n. 13 del 2017, che la successiva modifica varata in sede di discussione innanzi al Senato, per come hanno chiarito anche gli interventi del relatore del provvedimento al Senato e di altri senatori.

28. Finalità che, stando sempre ai lavori preparatori, emergerebbe altresì dalla necessità di trovare un corretto bilanciamento all’interno del provvedimento che, nel modificare il grado di accesso alla giustizia per i ricorsi in materia di protezione internazionale (nell’accezione lata fatta propria dal D.L. n. 13 del 2017, art. 3, ed ulteriormente ampliata, in epoca successiva, per effetto del D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 5, conv. dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, che dopo il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 bis), ha per l’un verso eliminato il grado di appello, ed ha però inteso porre un freno ai ricorsi per cassazione attraverso la specifica previsione della procura rilasciata in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato e la sanzione dell’inammissibilità.

29. In questa direzione, del resto, si è rilevato in dottrina che la modifica legislativa di cui si discute “tende ad arginare il malcostume, talvolta tristemente accertato, di proporre impugnazioni sempre e comunque, magari palesemente infondate o redatte con seriale superficialità nell’aspettativa di lucrare la liquidazione della parcella conseguente all’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato”, e si è, inoltre, evidenziato che siffatta previsione, non riproducendo, per il ricorso per cassazione, la norma che consente il rilascio di procura consolare per giudizio di merito, avrebbe impedito l’accesso a tale grado di giudizio al soggetto espulso o che si era medio tempore allontanato dall’Italia.

La portata precettiva del dato normativo e le possibili opzioni ermeneutiche.

30. Sul tema si sono fronteggiate diverse opzioni interpretati.

31. Da un lato si è sostenuto che la lettura complessiva della disposizione consente di individuare lo scopo della disposizione, appunto costituito dalla necessità che la procura sia conferita in epoca successiva alla comunicazione del provvedimento impugna to, sicchè in presenza di elementi testuali inequivoci in ordine alla dimostrazione della posteriorità della procura rispetto al provvedimento del giudice di merito, la mancanza di certificazione costituisce una mera irregolarità, una volta che sia stato raggiunto lo scopo voluto dal legislatore, testualmente rappresentato dall’esigenza che lo straniero possa attivare il giudizio di cassazione solo in base ad una volontà espressa in modo formale in epoca successiva alla comunicazione del provvedimento in tutto o in parte sfavorevole. Secondo questa tesi, è dunque sufficiente, per l’ammissibilità del ricorso, che, all’interno della procura, sussista un esplicito riferimento al provvedimento impugnato ed alla data della sua comunicazione tale da dimostrare che la procura è successiva alla comunicazione.

31.1. Questa prima angolazione prospettica intende muoversi sui binari di quell’orientamento volto a valorizzare i principi della strumentalità delle forme e del raggiungimento dello scopo, a più riprese affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 22871 del 10 novembre 2015, Cass. n. 9772 del 12 maggio 2016, anche a Sezioni Unite – Cass. , S. U. , 5 maggio 2017, 10937, Cass. , S. U. , 24 settembre 2018, n. 22438, Cass. , S. U. , 25 marzo 2019, n. 8312, – a proposito di questioni collegate alla forma digitale di atti processuali, ma anche in ambito fallimentare – Cass. n. 18535 del 2019, Cass. n. 12171 del 2020; Cass. n. 24990 del 2021-). La tesi muove dal convincimento che le forme degli atti processuali non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sè o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste per la realizzazione di un certo risultato, con la conseguenza che l’eventuale inosservanza della prescrizione formale risulta irrilevante se l’atto viziato ha egualmente raggiunto lo scopo cui è destinato – così, testualmente, Cass. n. 24990/2021, cit. -.

31.2. Tale esegesi intende contemperare gli effetti prodotti dalla nuova disciplina in tema di certificazione della data della procura, con l’esigenza di consentire l’accesso al giudizio di legittimità alla parte che abbia comunque manifestato l’intenzione di promuovere il ricorso posteriormente al provvedimento sfavorevole del giudice di merito, nel rispetto del dato normativo, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, volta ad impedire che la mancanza della certificazione della data riferibile al difensore possa ridondare sul diritto del richiedente a ricorrere in Cassazione.

32. In un’ottica non dissimile rispetto a quella appena ricordata si è profilata un’ulteriore ipotesi ricostruttiva del dato normativo, agganciata ad una sua lettura al contempo di sistema ed evolutiva, improntata al rispetto del metaprincipio di effettività, declinato come intimamente incompatibile con letture discriminatorie ed irrazionali del sistema.

32.1. Tale risultato, che si inscrive nell’ambito della giurisprudenza di legittimità che ha insistito sulla centralità del canone dell’effettività (Cass. , S. U. , 24 settembre 2018, n. 22438; Cass. , S. U. , 11 luglio 2011, n. 15144), interpreta le formule utilizzate per l’autenticazione della firma, necessarie per l’accesso al giudizio di legittimità, in coerenza con il complessivo contenuto testuale del comma 13, così da salvaguardare lo scopo ultimo perseguito dal legislatore, e cioè che il contenuto di data e firma provengano da chi ha conferito il mandato a rappresentare gli interessi in giudizio al difensore.

32. 2. Senza mettere in discussione l’essenzialità della data successiva alla comunicazione del provvedimento all’interno della procura, la tesi sostiene che è necessario interpretare la parte fina-le della disposizione del comma 13 nel senso che l’autentica della firma da parte del difensore, che segue il contenuto della procura e la data stessa posteriore alla comunicazione, è idonea a garantire la posteriorità della procura alla comunicazione del provvedimento, pur in assenza di specifica asseverazione del difensore in ordine alla data pure risultante dalla procura. Seguendo questa prospettiva, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, ha, in effetti, introdotto, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito del-la data successiva a quella del provvedimento impugnato, non previsto dalla normativa generale, prevedendo una speciale ipotesi di “inammissibilità del ricorso”, idonea a riverberare i suoi effetti sull’accesso al giudizio di legittimità. Tuttavia, al fine di salvaguardare la ratio della disposizione ed il suo scopo primario, è sufficiente che l’esistenza del requisito della data risultante dalla procura possa essere certificato dal difensore senza l’uso di formule sacramentali, potendosi l’attestazione della data desumere anche dalla autentica della firma che segue l’indicazione della data. Il difensore, apponendo la firma in calce alla procura, ha dunque assolto integralmente la funzione pubblicistica allo stesso demandata, non potendo l’asseverazione compiuta non riguardare gli elementi che allo stesso l’ordinamento attribuisce di verificare e certificare – v. Cass. n. 25032/2005-.

32. 3. Tale opzione ermeneutica, che coglie il senso della norma dal complesso degli elementi linguistici che la compongono, e che, come la precedente, intende riportare il sistema a razionalità, è frutto di uno sforzo volto a conseguire un risultato costituzionalmente adeguato (Cass. , S. U. pen. , 22 febbraio 2018, n. 8770), fugando interpretazioni formalistiche (cfr. Cass. , S. U. 26 marzo 2017, n. 26338) che, altrimenti, si porrebbero come ostative all’accesso ad una decisione piena sul merito del ricorso da parte della Cassazione e ciò senza che la controparte possa subire alcun pregiudizio dalla ritenuta ammissibilità di un ricorso contenente comunque al suo interno proprio i requisiti voluti dal legislatore per eliminare pratiche poco ortodosse, id est: firma e data posteriore. Secondo tale orientamento, l’esigenza avvertita dal legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, di porre per tale materia regole di accesso al giudizio di legittimità più stringenti di quelle ordinariamente previste, si bilancia con quella di un equo processo comunque improntato al canone dell’effettività.

33. Una terza ipotesi interpretativa caldeggiata, in definitiva, da buona parte delle ordinanze interlocutorie delle sezioni remittenti e dai numerosi precedenti di questa Corte, è stata quella che ha preso le mosse dal dato testuale rappresentato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, rilevando che la sua interpretazione, anche in ragione dei lavori preparatori, non poteva che essere quella di “aggiungere” ai requisiti ordinariamente previsti in termini di specialità della procura necessaria per accedere alla Corte di Cassazione già disciplinati dall’art. 365 c.p.c., quello, ulteriore, della data successiva alla comunicazione del provvedimento. Secondo questa prospettiva il dato qualificante ed indefettibile dell’innovazione legislativa andrebbe individuato tanto nella previsione della data successiva alla comunicazione del provvedimento sfavorevole, quanto nella sua certificazione specifica da parte del difensore, al punto che l’assenza di data posteriore certificata dal difensore non può che determinare l’inammissibilità del ricorso, in piena coerenza con la lettera della norma.

33.1. La funzione certificatoria attribuita al difensore quanto alla posteriorità della data della procura rispetto alla comunicazione del provvedimento sfavorevole, in aggiunta a quella concernente l’autentica della firma allo stesso attribuita ordinariamente, rende indefettibile il dato della sua specifica asseverazione da parte del difensore, al fine di evitare l’inammissibilità del ricorso. Pertanto, la mancata espressa attestazione della data successiva alla comunica-zione del provvedimento da parte del difensore ridonda negativa-mente sul ricorrente, determinando l’inammissibilità del ricorso. Secondo tale tesi, milita in modo inequivoco in questa direzione, non soltanto lo scopo perseguito dal legislatore ma il dato letterale, nettamente rivolto a distinguere il potere di autentica conferito al difensore da quello, ulteriore, certificativo che il legislatore avrebbe assegnato al difensore quanto alla data della procura successiva alla comunicazione. Siffatto potere non può, dunque, desumersi da formule ambigue tese innaturalmente ad ampliare ad altri fini il potere di autenticazione della firma, già preesistente in capo al difensore, senza stravolgere la portata semantica dell’enunciato normativo e giungere ad un risultato non consentito, nè voluto dalla legge. Tale opzione interpretativa, si sostiene, non solo si muove nei binari voluti dalla Costituzione, dal diritto dell’UE e convenzionale, rientrando nelle prerogative riservata al legislatore in materia, ma non perviene neppure a risultati discriminatori o contrari ai canoni di effettività e ragionevolezza.

34. Le Sezioni ritengono preferibile la terza opzione sopra sinteticamente ricordata, per le ragioni di seguito espresse.

35. Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, ha inteso modificare l’accesso al giudizio di legittimità rispetto alle ordinarie ipotesi contemplate dalla disciplina processuale ordinaria, prevedendo, per le controversie disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, e da quelle che allo stesso hanno successivamente rinviato, che la procura speciale debba necessariamente ed indefettibilmente essere rilasciata dal ricorrente in epoca successiva alla comunicazione del provvedimento sfavorevole.

36. La data del rilascio, che, alla stregua della disciplina generale, non costituisce un elemento di forma-contenuto dell’atto di procura, nè una condizione di efficacia della certificazione del difensore, nella nuova disposizione assurge a requisito condizionante l’ammissibilità stessa del ricorso per cassazione.

37. Tale potere certificatorio, conferito ex lege al difensore, non può dunque ritenersi mera declinazione del sistema di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, e art. 125 c.p.c., comma 3, essendosi demandato al difensore un atto ben distinto ed ulteriore di fidefacienza circa il conferimento della procura posteriore alla comunicazione del decreto impugnato, che si aggiunge all’autonomo potere asseverativo demandato al difensore quanto all’autenticità della firma.

38. Nessuna altra opzione esegetica è possibile sperimentare rispetto ad un dato normativo introdotto con il D.L. n. 13 del 2017, per il quale era stata prevista, come già ricordato in premessa, una vacatio legis di sei mesi dall’entrata in vigore della legge Minniti, proprio per consentire ai professionisti di adeguare ed organizzare al meglio l’attività defensionale. L’adempimento risulta di chiaro contenuto e di semplicissima attuazione: il difensore, in aggiunta ai poteri certificatori connessi all’autentica della firma della procura, è stato espressamente investito del compito di certificare l’esistenza della data successiva al provvedimento.

39. Tale autonoma forma di certificazione affidata al difensore non è in alcun modo surrogabile aliunde dal mero contenuto complessivo della procura, anche se essa rechi al suo interno l’indicazione della data del conferimento (laddove priva di sua specifica certificazione) o quella del provvedimento sfavorevole e della sua comunicazione, a pena di svilire il dato testuale ed approdare ad interpretazione volta a realizzare una disapplicazione del testo normativo, così approdando ad un’ermeneusi contra legem, non consentita dal sistema – cfr. Cass. , S. U. , 30 marzo 2021, n. 8776 -.

40. Peraltro, la previsione di siffatto potere certificativo espressamente attribuito all’avvocato – a differenza che in altre ipotesi, nelle quali al potere certificatorio delle firme riconosciuto all’avvocato si affianca necessariamente l’intervento di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (cfr. Cass. n. 1202/2020) – si muove all’interno di un trend ben consolidato che ha visto nel tempo attribuire al difensore notevoli e significativi poteri di portata simile a quelli espressi dall’art. 35 bis, comma 13, cit. , bastando all’uopo ricordare quelli pregnanti introdotti dalla disciplina in tema di negoziazione assistita e quelli ancora più significativi in materia di esecuzioni (art. 528 bis c.p.c., artt. 543 e 557 c.p.c.) e di notifiche telematiche (D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis, conv. nella L. n. 221 del 2012, artt. 16 decies e undecies L. ult. cit. – in materia di notifiche compiute direttamente dall’avvocato – L. n. 53 del 1994, artt. 3 bis, 9, 19 ter -). Tendenza, quest’ultima, che scoraggia decisamente il tentativo di interpretare dversamente il dato testuale di cui all’art. 35 bis, comma 13, a pena di svilirne la portata, il senso fatto palese dalle espressioni utilizzate dal legislatore e lo scopo ultimo, apertamente rivolto a contenere l’uso di pratiche anomale di rilascio della procura e, dunque, il numero di ricorsi in Cassazione per effetto dell’eliminazione del grado di appello prevista dalla stessa “legge Minniti”, attribuendo, in definitiva, al difensore un compito che, proprio in relazione alla appena ricordata finalità, contribuisce a garantire la legalità.

41. Ne consegue che, in aggiunta all’ipotesi in cui manchi la indicazione della data del conferimento della procura successiva alla comunicazione del provvedimento, per la quale non può porsi alcun dubbio in ordine al vizio di inammissibilità inficiante il ricorso, malgrado l’autentica della firma della procura speciale effettuata dal difensore, anche la mera indicazione, nel testo della procura regolata dall’art. 35 bis ult. cit. , comma 13, del provvedimento da impugnare non consente, da sola, di ritenere valida la procura autografata dal difensore, se ad essa non è associata l’indicazione della data di conferimento.

42. A tale ipotesi di inammissibilità si aggiunge poi quella, ulteriore, nascente dai casi in cui la procura rechi sia la firma che la data postuma rispetto al provvedimento impugnato e comunicato, ma il difensore si sia limitato ad asseverare la firma senza compiere alcuna certificazione in ordine alla posteriorità della data.

43. Pertanto, risulta del tutto irrilevante, ai fini di considerare assolto l’onere di indicazione della data certificata dal difensore, la ricerca tanto di elementi concernenti la specialità della procura, quanto l’eventuale presenza di indici capaci di dimostrare la conte-stualità del rilascio della procura diversi dall’apposizione della data certificata non andando ad incidere, la certificazione della data, sui requisiti disciplinati dall’art. 365 c.p.c., ma riguardando un auto-nomo presupposto di ammissibilità del ricorso, introdotto specificamente dal legislatore, che attribuisce al difensore due distinti poteri e che, ordinariamente, richiederà la presenza fisica del ricorrente all’atto del rilascio della procura speciale. E ciò al precipuo fine, giova ribadire, di evitare eventuali prassi di rilascio della procura a ricorrere in Cassazione in un momento anteriore a quello della comunicazione del decreto oggetto di impugnazione e di contenere il carico di ricorso in ingresso presso la Corte di Cassazione.

44. In questa prospettiva, parimenti non produttiva di un risultato coerente con la lettera della legge, sarebbe la ricerca della data attraverso la lettura congiunta della procura con il ricorso nel quale fosse indicata la data del provvedimento impugnato. Ed infatti, di fronte al dato testuale di cui al comma 13 non è plausibile, per giungere ad un diverso risultato interpretativo, invocare gli effetti pregiudizievoli subiti dal ricorrente in termini di inammissibilità del ricorso in caso di omessa certificazione della data da parte del difensore in ipotesi in cui la procura contenesse i riferimenti espliciti al provvedimento impugnato e, altresì, la data successiva alla comunicazione del provvedimento priva, tuttavia, di specifica certificazione da parte del difensore. Giova ancora ribadire, infatti, che la lettera della norma costituisce il limite cui deve arrestarsi anche l’interpretazione costituzionalmente orientata dovendo, infatti, es-ser sollevato l’incidente di costituzionalità ogni qual volta l’opzione ermeneutica supposta conforme a Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa (v. Corte Cost. sentenze n. 78 del 2012; n. 49 del 2015; n. 36 del 2016 e n. 82 del 2017, ricordate da Cass. , S. U. , 22 marzo 2019, n. 8230).

45. Resta da aggiungere che rimane fuori dal perimetro dell’indagine demandata a queste Sezioni Unite la questione dell’assenza dei requisiti di specialità di cui all’art. 365 c.p.c., che pure ha indotto alcune delle pronunzie di inammissibilità dei ricorsi in tema di protezione internazionale rese da questa Corte – e richiamate nelle ordinanze interlocutoria della seconda Sezione civile -, per l’assenza di riferimenti precisi al provvedimento impugnato all’interno della procura speciale.

46. In conclusione, il pregiudizio patito dal ricorrente, vistosi privato dell’accesso alla Corte di Cassazione per effetto della mancata certificazione della data ridonda unicamente sul rapporto cliente – difensore e sugli obblighi ricadenti in capo al professionista, senza che l’inosservanza degli stessi possa comunque incidere sul risultato previsto e voluto dal legislatore – inamissibilità del ricorso – modificandone l’esito finale, ciò peraltro rappresentando un effetto coerente con le variegate ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione che il cliente subisce per condotte negligenti del difensore, perchè non osservanti delle previsioni normative. E senza che in tali ipotesi possano ipotizzarsi interpretazioni volte a modificare le scelte adottate dal legislatore.

47. Nè è senza significato che siffatta opzione sia già stata ritenuta coerente con le ipotesi di improcedibilità prevista dalla disciplina generale sull’ipotesi di improcedibilità del ricorso in caso di mancato deposito della procura speciale – art. 369 c.p.c.-, essendosi già affermato che la disposizione di cui all’art. 35 bis, comma 13, cit. , così interpretata sia immune da vizi di costituzionalità per disparità di trattamento rispetto all’ipotesi di improcedibilità codificata nell’art. 369 c.p.c., – cfr. Cass. n. 6962/2021 -.

48. Va ancora aggiunto che l’interpretazione qui espressa non può essere tacciata di formalismo alcuno, consentendo comunque di fare emergere il potere certificativo del difensore anche solo attraverso un’unica attestazione da parte del difensore, purchè quest’ultimo abbia manifestato la volontà di asseverare formalmente che la procura rechi una data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato.

49. Non occorre, infatti, che il difensore operi due autonome attestazioni, l’una relativa all’autentica della firma e l’altra alla certificazione della data, risultando sufficiente che anche solo attraverso un’unica asseverazione il difensore dia espressamente conto, anche senza l’uso di formule sacramentali, del fatto che la procura indichi una data successiva alla comunicazione, occorrendo soltanto che risulti in modo esplicito che detto difensore abbia asseverato l’esistenza di una data di rilascio in epoca successiva alla comunicazione del provvedimento.

50. Ne consegue che la procura speciale per il ricorso per cassazione per le materie regolate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, e dalle disposizioni di legge successive che ad esse rimandano richiede che il difensore certifichi espressamente, anche solo con una unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione che l’autenticità della firma del ricorrente.

La tenuta della norma di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, con i diritti fondamentali in gioco.

51. Così inquadrata la portata della disposizione, occorre verificare se, come sollecitato da alcune delle ordinanze interlocutorie emesse dalla prima Sezione civile, l’esposto risultato ermeneutico si ponga o meno in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, o con alcuni principi fondamentali di matrice convenzionale – recte, previsti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – o costituzionale o sia comunque idonea a creare una discriminazione fra la modalità di accesso al giudizio di legittimità nei giudizio di protezio-ne internazionale e quelli ad essi parificati e quella garantita in via ordinaria ed ai cittadini, e cioè costituisca una previsione intrinsecamente irragionevole e sproporzionata.

Il piano dell’Unione Europea.

52. La dir. 2013/32/UE, concernente le procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, alla quale occorre in questa sede guardare con particolare attenzione, non fissa regole specifiche quanto alle modalità di tutela giurisdizionale dei diritti che sono presi in considerazione dal quadro UE, se non nell’art. 46 della stessa direttiva. Tale disposizione si limita a disciplinare il “Diritto a un ricorso effettivo”.

53. Orbene, per comprendere la portata della regolamentazione di tale disposizione occorre necessariamente muovere dal significato che alla stessa ha offerto la Corte di giustizia, al fine di comprendere se il carattere di specialità previsto per l’accesso alla Corte di Cassazione nelle materie disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008 – e successive – crei una frizione con il piano Eurounitario.

54. La Corte di giustizia ha preso posizione sulla portata del ricordato art. 46, dopo aver chiarito che nè tale ultima disposizione, nè l’art. 13 della direttiva 2008/115, nè l’art. 47 della Carta UE dei diritti fondamentali, letto quest’ultimo alla luce delle garanzie sancite dall’art. 18 e dal successivo art. 19, paragrafo 2, di quest’ultima, impongono l’esistenza di un doppio grado di giudizio – Corte giust. C-180/17, p. 30 e Corte giust. 27 settembre 2018, causa C-422/18 PPU, p. 32 e 36 -. Ha in particolare evidenziato che l’obbligo di effettività del ricorso si riferisce espressamente, ai “procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado”, richiedendo l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, ritenendo peraltro tale soluzione pienamente compatibile anche con riguardo all’art. 13 CEDU, del quale l’art. 47 costituisce gemmazione.

55. E’ stato, per quanto qui rileva, aggiunto che “l’introduzione di un ricorso per cassazione contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale e la scelta di dotarlo, se del caso, di effetto sospensivo automatico rientra, in mancanza di norme fissate dal diritto dell’Unione, nell’ambito dell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di effettività e di equivalenza” – cfr. p. 38 sent. in causa C-422/18 PPU, cit. -.

56. In definitiva, la Corte di giustizia, anche nella materia relativa alla protezione internazionale, ha tenuto a precisare che le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, nella parte in cui non trovano specifica regolamentazione a livello UE, non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di diritto interno (principio di equivalenza), nè devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).

57. Giova in proposito rammentare che l’assenza di regole di natura processuale a livello UE rispetto ad un certo ambito non determina una assoluta libertà dei singoli Paesi nel disciplinare le norme processuali che riguardano materia regolata dall’UE. In forza del principio dell’autonomia procedurale, infatti, i Paesi UE godono di una certa discrezionalità nella determinazione del quadro processuale interno, che non trasmoda però mai nella incondizionata li-bertà di legiferare, costituendo pur sempre espressione, secondo autorevole dottrina, di una competenza delegata nell’ambito delle norme secondarie, che gli Stati membri esercitano nell’interesse dell’Unione.

58. L’indagine da svolgere è dunque quella rivolta a verificare se l’interpretazione del dato normativo al quale queste Sezioni Unite sono pervenute in tema di certificazione della data per i ricorsi concernenti le materie regolate la protezione internazionale determini, in ragione della restrizione all’accesso alla Corte di Cassazione che da essa deriva rispetto alla disciplina processuale ordinaria, un vulnus al principio di equivalenza e di effettività, non avendo il legislatore UE regimentato la fase delle impugnazioni della decisione del giudice di primo grado nella materia della quale qui discute.

59. Orbene, con specifico riferimento al principio di equivalenza, va detto che occorre, da un lato, identificare le procedure o i ricorsi comparabili e, dall’altro, determinare se essi siano trattati in modo più favorevole dei ricorsi aventi ad oggetto la tutela dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione – cfr. , Corte giust. 9 settembre 2020, C-651/19, JP, p. 37 -. Detto questo, l’obiettivo perseguito dal principio di equivalenza è quello di evitare alle norme interne uno status privilegiato rispetto a quello offerto al diritto dell’Unione – Corte giust. 6 ottobre 2015, C-69/14, Tarsia, punto 34-. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha ulteriormente specificato che il principio di equivalenza non può essere interpretato nel senso che obbliga uno Stato membro ad estendere il suo regime nazionale più favorevole a tutte le azioni proposte in un determina-to ambito del diritto – Corte giust. , 29 ottobre 2009, Pontin, C-63/08, punto 45; Corte gust. , 26 gennaio 2010, Transportes Urbanos y Servicios Generales, C-118/08, punto 34; Corte gust. , 8 luglio 2010, Bulicke, C-246/09, punto 27, nonchè Corte gust. 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, punto 31 – o, ancora, a tutti i ricorsi basati su di una violazione del diritto dell’Unione.

60. Il punto è di estrema importanza, consentendo di sgombrare facili fraintendimenti sul ruolo e la portata del principio di equivalenza per come delineato dal Giudice dell’Unione Europea, unicamente indirizzato ad evitare che le misure processuali domestiche possano offrire a materie “omogenee” regolate del diritto interno una protezione maggiore rispetto a quelle che trovano regolamentazione a livello UE.

60.1. In altri termini, il principio impone un pari trattamento dei ricorsi basati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, ana-loghi, fondati su una violazione del diritto dell’Unione, e non già l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi aventi diversa natura – Corte giust. , 2 dicembre 2014, X e Y c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, punto 37; 6 ottobre 2015, C-69/14, Dragos Constantin Tarsia, punto 34 – come quando, ad esempio, si tende a verificare una parità di disciplina fra contenzioso amministrativo e contenzioso civile. E sul medesimo tema la Corte di giustizia UE ha aggiunto che “…Per quanto riguarda la comparabilità dei ricorsi, spetta al giudice nazionale, che dispone di una conoscenza diretta delle modalità processuali applica bili, verificare le somiglianze tra i ricorsi di cui trattasi quanto a oggetto, causa ed elementi essenziali – Corte giust., 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C-93/12, punto 39; Corte giust. 9 novembre 2017, Dimos Zagoriou, C-217/16, punto 20; Corte giust. 9 settembre 2020, JP, C-651/19, p. 38 -. Giudice nazionale cui è dunque demandato, in via prioritaria e per ragioni non di sola prossimità con il quadro normativo interno, ma più direttamente di esclusività del potere di interpretare il diritto nazionale al medesimo riservato, il compito di valutare con completezza di esame l’esistenza di discipline domestiche che impongano una “parità di trattamento” a livello processuale su materie di diritto UE che presentino caratteri di “analogia” o “somiglianza” con le prime.

61. Alla luce dei principi sopra ricordati, la circostanza che per la materia disciplinata dall’art. 35 bis cit. comma 13, sia stato introdotto un meccanismo di accesso alla Cassazione diverso da quello ordinariamente previsto dal codice di procedura civile per materie non regolate dal diritto UE non integra ex se alcuna violazione del principio di equivalenza, per l’assorbente ragione che non vi è alcuna materia regolata dal diritto interno omogenea a quella della protezione internazionale e dell’asilo che qui viene precipuamente in discussione e che goda di una tutela maggiormente protettiva con riguardo alla proposizione del ricorso per cassazione.

61.1. Ciò perchè, come si è detto, l‘esigenza che l’ordinamento UE intende salvaguardare non è quella dell’armonizzazione tout court della tutela processuale apprestata a livello interno a quella garantita a livello UE, ma soltanto ed unicamente che la protezione rispetto a materie analoghe o omologhe rispetto a quella del diritto UE protette a livello interno non abbia una “protezione speciale”.

62. Per quanto riguarda il principio di effettività, la questione va esaminata tenendo conto del ruolo delle norme di cui si discute rispetto alla disciplina generale in materia di protezione internazionale, considerandole nell’insieme del procedimento regolato a livello UE, del suo svolgimento, e della peculiarità di tali disposizioni rispetto ai vari organi giurisdizionali nazionali – cfr. Corte giust. , 27 settembre 2018, C-422/18 PPU, p. 41-.

62.2. Orbene, proprio alla luce della già richiamata giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. Corte giust. , 27 settembre 2018, FR, C-422/18 PPU) va escluso che la disposizione di cui al c. 13 dell’art. 35 bis cit. determini una violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva garantita dalla Carta.

62. 2. Ed infatti, posto che, come è stato già chiarito, l’art. 47 della Carta, letto dalla Corte di giustizia UE alla luce delle garanzie contenute all’art. 18 e all’art. 19, paragrafo 2, della medesima, impone soltanto che un richiedente protezione internazionale, la cui domanda sia stata respinta, possa far valere i suoi diritti in maniera effettiva dinanzi a un organo giurisdizionale, il mero fatto dell’introduzione di modalità speciali di accesso alla Corte di Cassazione contemplate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, non consente di per sè solo, di ritenere che il principio di effettività sia stato violato, avuto riguardo alla specificità della disposizione, destinata ad operare unicamente nella fase di ultima istanza.

63. La ricostruzione della portata dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UE consente, altresì, di fornire risposta ad uno dei dubbi prospettati dalle ordinanze interlocutorie rese dalla prima Sezione civile in ordine alla compatibilità del quadro normativo di cui al c. 13 dell’art. 35 bis con il combinato disposto di cui agli art. 46, par. 11 e art. 28 dir. 2013/32/UE.

63.1. Sul punto, giova ricordare che l’art. 46, p. 11 della direttiva 2013/32/UE prevede che “Gli Stati membri possono altresì stabilire nel diritto nazionale le condizioni che devono sussistere affinchè si possa presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato o rinunciato al ricorso di cui al paragrafo 1, nonchè le norme procedurali applicabili”. L’art. 28 della stessa direttiva dispone, invece, che gli Stati membri possono presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato la domanda di protezione internazionale o rinunciato a essa, in particolare quando è accertato che il richiedente è fuggito o si è allontanato senza autorizzazione dal luogo in cui viveva o era trattenuto, senza contattare l’autorità competente in tempi ragionevoli.

63. 2. Ora se si conviene, come ritengono queste Sezioni Unite, che l’ambito di operatività della prima delle due disposizioni dell’Unione Europea sopra ricordata si riferisca unicamente al giudizio di primo grado, non può revocarsi in dubbio che va esclusa ogni possibile frizione del dato normativo interno con le previsioni della direttiva sopra rammentate.

Il piano della CEDU e del suo diritto vivente sulla materia del diritto all’accesso al giudizio di legittimità.

64. La compatibilità dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, con il piano convenzionale va valutata in riferimento alla garanzia convenzionale di cui all’art. 6 CEDU, nella parte in cui riconosce il diritto all’accesso alla giustizia.

65. I principi rilevanti in materia, espressi con specifico riferimento all’Italia in Corte EDU, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia e ribaditi dalla Corte edu nella recente sentenza, depositata il 31 marzo 2021, nel caso Oorzhak c. Russia – ric. 4830/2018 -, rendono chiaro che, fermo il potere della giurisdizione nazionale di interpretare il diritto interno alla stessa riservato, la regolamentazione relativa alle formalità da rispettare per formare un ricorso ha l’obiettivo di garantire tanto la buona amministrazione della giustizia che il principio della certezza del diritto.

66. La Corte EDU ha in particolare riaffermato che l’applicazione delle formalità previste dai singoli ordinamenti, che occorre osservare all’atto della proposizione del ricorso, entra in contrasto con il diritto di accesso ad un tribunale allorchè l’applicazione di tali regole da parte di una giurisdizione sia troppo formalista e perciò impedisca, di fatto, l’esame nel merito del ricorso proposto dall’interessato.

67. Tali principi sono stati più volte applicati, almeno nelle loro linee generali, da questa Corte, anche a Sezioni Unite, allorchè si è misurata sul tema della compatibilità delle forme processuali del giudizio di legittimità con le garanzie convenzionali espresse dall’art. 6 CEDU.

68. In questa prospettiva, si è ritenuto che l’imposizione di condizioni, forme e termini processuali per la proposizione del ricorso che dà accesso alla giurisdizione di ultima istanza, nel rispetto del principio di proporzionalità, risponde ad obiettive esigenze di buona amministrazione della giustizia, soprattutto se si tratta di regole prevedibili e di sanzioni prevenibili con l’ordinaria diligenza – Cass. 08/05/2019, n. 12134-. Di guisa che, in tanto le formalità prescritte sono da considerare legittime, in quanto perseguano tali scopi e garantiscano rispetto ad esso un rapporto ragionevole di proporzionalità con i mezzi impiegati – Cass. , S. U. , 7 novembre 2017, n. 26338-.

68. 1. Ciò presuppone, pertanto, che la formalità sia prevista dalla legge, possa essere prevista ex ante e sia chiara ed univoca – Cass. , 30 settembre 2019, n. 24224; Cass. , 28 giugno 2018, n. 17036-.

69. Per converso, questa Corte ha ricordato che, in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, il diritto di accesso ad un tribunale (e alla Corte di cassazione), pur prestandosi a limitazioni riferite alle condizioni di ammissibilità di un ricorso, viene leso, e tali condizioni sono perciò illegittime, quando la sua regolamenta-zione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e del-la buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall’autorità giudiziaria competente – Cass. , S. U. , 25 marzo 2019, n. 8312, Cass. , S. U. , 24 settembre 2018, n. 22438; Cass. , S. U. , 27 aprile 2018, n. 10266, Cass. , S. U. , 11 luglio 2011, n. 15144 -, individuando nell’art. 6 CEDU, art. 47 della Carta UE e art. 111 Cost. , il corpus di disposizioni capaci di garantire il massimo rilievo all’effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento del principale scopo del processo, tendente ad una decisione di merito.

70. Si è osservato, poi, le limitazioni previste dall’ordinamento interno al diritto di accesso al giudizio di legittimità si caratterizzano per tratti di peculiarità non marginale rispetto a quelle consentite per l’accesso ad un giudice non di ultima istanza, dipendendo dalle particolarità del primo, dal processo complessivamente condotto nell’ordinamento giuridico interno e dal ruolo che svolge la Corte di cassazione.

70.1. Si è affermato, pertanto, che le regole d’accesso al giudizio di cassazione possono essere più rigorose che per un appello – Cass. , S. U. , 13 dicembre 2016, n. 25513; Cass. , S. U. , 27 dicembre 2017, 30996 – e che il diritto di accedere al giudice di ultima istanza non è assoluto, visto che sulle condizioni di ricevibilità dei ricorsi gli Stati godono di un sicuro margine di apprezzamento, potendo prevedere restrizioni a seconda del ruolo svolto dai vari organi giurisdizionali e dell’insieme delle regole che governano il processo.

71. Non si è nemmeno omesso di considerare che le restrizioni all’accesso al giudice di ultima istanza devono pur sempre essere sorrette da uno scopo legittimo, richiedendo in ogni caso un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito – Cass. , S. U. , 7 novembre 2017, n. 26338-.

72. Si è infine ricordato l’indirizzo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in base al quale il diritto di accesso ad un tribunale (e alla Corte di cassazione), pur prestandosi a limitazioni implicitamente ammesse in particolare per quanto riguarda le con-dizioni di ammissibilità di un ricorso, viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall’autorità giudiziaria competente – Cass. , S. U. , 25 marzo 2019 8312; Cass. , S. U. , 24 settembre 2018, n. 22438; Cass. , S. U. , 27 aprile 2018, n. 10266; Cass. , S. U. , 11 luglio 2011, n. 15144 -.

73. Ora, seguendo la prospettiva appena indicata sotto il profilo della ipotizzabile violazione del diritto all’accesso al giudice di ultima istanza, deve sostenersi che la previsione normativa come qui interpretata, prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, risponda ai canoni di proporzionalità convenzionale, sia chiara nel suo contenuto dispositivo, quale qui interpretato, e non risulti improntata a rigidi formalisti nascenti dall’interpretazione operata dal diritto vivente, trovando piuttosto la sua genesi nel chiaro disposto normativo di cui all’art. 35 bis, cit. , comma 13.

73.1. Si tratta, come si è già detto, di una disposizione che persegue interessi centrali per il Paese, non ultimi quelli di un corretto e leale esercizio dell’amministrazione della giustizia, anche in relazione alle ripercussioni sul complessivo funzionamento della giurisdizione ordinaria di ultima istanza, espressamente considerata, come si è visto, dal legislatore. Interessi che lo Stato può legittimamente valorizzare per comprimere l’accesso al giudice di ultima istanza.

La tenuta della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, rispetto ai canoni di non discriminazione, ragionevolezza ed effettività.

74. Anche rispetto al tema in esame si sono fronteggiate innanzi a queste Sezioni Unite due possibili opzioni.

75. Secondo un primo orientamento, se dovesse muoversi dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare diritti fondamentali (Corte cost. n. 120 del 1967), non essendo consentito al legislatore di introdurre regimi differenziati circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, se non “in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria” (Corte cost. n. 432 del 2005, Corte cost. n. 186/2020), non sarebbe manifesta l’insussistenza di differenze di fatto fra gli stranieri richiedenti protezione internazionale, i cittadini e gli stranieri in diverse condizioni tali da giustificare un trattamento diversificato.

75.1. Inoltre, l’interpretazione dell’art. 35 bis, comma 13, di cui si è detto, nel riconoscere la tutela giurisdizionale innanzi alla Corte di Cassazione ai richiedenti protezione internazionale che abbiano precedentemente attivato il ricorso giurisdizionale in primo grado – anche se dimoranti all’estero potendo rilasciare procura consolare -, cagionerebbe un risultato irragionevole e lesivo del principio di effettività, operante in ogni grado di giudizio ritenuto necessario dal legislatore. Ciò sia con riguardo al sistema previsto in via generale per l’accesso in Cassazione dal diritto vivente – che presume la presenza dello straniero che abbia rilasciato procura nello stato italiano -, che in relazione alle ipotesi in cui lo stesso abbia conferito una procura contenente tutti gli elementi indicati e voluti dal legislatore del 2017, ivi compresa la data successiva alla comunicazione del provvedimento, tuttavia priva della certificazione del difensore.

75.2. L’introduzione di un meccanismo di accesso alla Corte di Cassazione particolarmente rigoroso e distonico rispetto al diritto legislativo e al diritto giurisprudenziale sullo stesso via via formatosi non sarebbe, allora, sorretto da adeguate e razionali giustificazioni se non quelle di ridurre il carico dei ricorsi innanzi al giudice di legittimità, con profili discriminatori tutt’altro che marginali, risultando in ogni caso sproporzionato – se messo in relazione al fatto che si farebbe discendere l’assenza del richiedente rispetto alla mancata indicazione della firma, senza che vi siano elementi dai quali inferire l’effettivo allontanamento dello stesso-.

76. A tale orientamento se ne è contrapposto un altro, invece pienamente convinto della insussistenza di ipotetici vizi di incostituzionalità del quadro normativo qui esaminato, ritenendolo piena-mente razionale in relazione agli interessi in gioco ed alla peculiare posizione dello straniero richiedente protezione rispetto a quella del cittadino, tale da escludere la irragionevolezza della disposizione che ne preveda un trattamento diversificato.

77. Queste Sezioni Unite ritengono che la disciplina in esame, nell’interpretazione sopra rassegnata, non presti il fianco a dubbi di costituzionalità – anche con riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, come integrato dagli artt. 6 e 14 CEDU – per le ragioni di seguito esposte.

78. Il collegio rileva che, con riguardo alla discriminazione, la giurisprudenza della Corte edu – Corte edu, 8 aprile 2014, Dhahbi c. Italia (ric. 17120/09)- ha chiarito che perchè si ponga una questione sotto il profilo dell’art. 14 deve esservi una disparità di trattamento tra persone poste in situazioni analoghe. Una tale disparità è, dunque, discriminatoria se non è basata su una giustificazione oggettiva e ragionevole, ossia se non persegue uno scopo legittimo o se non vi è un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.

79. Si è affermato che gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per determinare se e in quale misura delle differenze tra situazioni sotto altri punti di vista analoghe giustifichino delle disparità di trattamento. L’ampiezza di tale margine di apprezzamento varia, poi, a seconda delle circostanze, delle materie e del contesto.

80. In tale prospettiva, va escluso alcun vulnus in riferimento all’art. 14 CEDU in combinato disposto con l’art. 6 CEDU, trovando la disciplina introdotta dal comma 13 la sua collocazione all’interno, appunto, del significativo margine di apprezzamento riservato allo Stato. Nella specie, viene, infatti, introdotto uno specifico adempimento formale relativo al ricorso per cassazione per i soggetti che si trovano in una delle condizioni disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, e cioè per coloro i quali, trovandosi in una posizione di incerto collegamento con il territorio nazionale, costituiscono un gruppo nettamente distinto rispetto a quello di chi ha invece con il territorio italiano una stabile relazione territoriale. Il che giustifica la misura e la rende proporzionata laddove dalla procura non dovesse emergere tale situazione di effettivo collegamento con il territorio al momento della proposizione del ricorso per cassazione, restando, in conseguenza, esclusa la stessa disparità di trattamento, in tesi fondata esclusivamente sulla nazionalità e sulla mera condizione giuridica di straniero.

80.1. Deve per l’effetto escludersi ogni dubbio di violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost. ): non è, infatti, la condizione di straniero del richiedente protezione internazionale ad essere l’elemento giustificativo delle forme di accesso alla cassazione codificate in maniera restrittiva dal comma 13, quanto la specificità del ricorso per cassazione rispetto alle materie disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008. Deve quindi ritenersi che la discriminazione può sussistere in presenza di situazioni uguali trattate in modo diverso e non già quando, come nella specie, ci si trovi al cospetto di situazioni diseguali che trovano, all’interno di un quadro normativo adottato dal legislatore una diversa regolamentazione.

80.2. Non può dunque escludersi la ragionevolezza di una disposizione che preveda un trattamento diversificato con le forme qui individuate, ben potendosi presentare, con riferimento alla modulazione delle forme e dei requisiti processuali che condizionano il diritto di impugnazione, espressione del diritto di agire in giudizio, differenze di fatto tra soggetti uguali, che il legislatore può valorizzare avvalendosi della sua discrezionalità, “la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento” – Corte cost. , n. 104 del 1969, Corte cost. , n. 186 del 2020, Corte cost. n. 144 del 1970; Corte cost. , n. 177 e n. 244 del 1974; Corte cost. , n. 62 del 1994; Corte cost. , n. 245 del 2011; Corte cost. , n. 503 del 1987; Corte cost. , n. 490 del 1988.

81. Le Sezioni Unite ritengono, infatti, che la diversità di posizione dei richiedenti protezione internazionale rispetto ai cittadini (ed agli stranieri non coinvolti in contenziosi omologhi a quelli lato sensu riconducibili alla protezione internazionale) possa giustificare, con riferimento alla modulazione delle forme e dei requisiti processuali che condizionano il diritto di impugnazione (espressione del diritto di agire in giudizio), differenze di fatto tra soggetti uguali, che il legislatore può valorizzare avvalendosi della sua discrezionalità, “la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento” – Corte cost. , n. 104 del 1969, richiamata da Corte cost. , n. 186 del 2020, cit. , insieme a Corte cost. n. 144 del 1970; Corte cost. , n. 177 e n. 244 del 1974; Corte cost. , n. 62 del 1994; Corte cost. , n. 245 del 2011; Corte cost. , n. 503 del 1987; Corte cost. , n. 490 del 1988-.

81.1. Nel caso di specie la diversità di situazioni di fatto deriva dalla precarietà della condizione del richiedente protezione – ricorrente in sede di legittimità- per i giudizi definiti in modo a lui sfavorevole in primo grado e che il legislatore ha pienamente con-siderato richiedendo le modalità di rilascio della procura speciale sopra descritte.

82. Non si può dunque porre un problema di discriminazione fra cittadini e stranieri residenti solo temporaneamente in Italia per effetto dell’attivazione della richiesta di protezione internazionale, sussidiaria o umanitaria, senza che vengano in gioco bisogni primari indifferenziabili e indilazionabili delle persone.

82.1. In questa direzione militano, del resto, gli interventi della Consulta, a tenore dei quali la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione, e tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli (Corte cost. n. 104 del 1969, n. 144 del 1970, n. 62 del 1994, n. 206 del 2006 e, da ultimo, Corte costituzionale, 16 maggio 2008, n. 148).

82. 2. E sempre il giudice costituzionale (Corte cost. n. 250/2010) non ha mancato di sottolineare che “… il potere di disciplinare l’immigrazione rappresent(a) un profilo essenziale della sovranità dello Stato, in quanto espressione del controllo del territorio” … ; ragion per cui lo Stato non può “… abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere: le regole stabilite in funzione d’un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno dunque rispettate, e non eluse … , essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate e che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali” (sentenza n. 353 del 1997)”.

82.3. Secondo la Corte costituzionale, infatti, “tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli (v. sentt. nn. 144 del 1970 e 104 del 1969)” – Corte cost. n. 62/1994, cons. dir. p. to 4-. Vincoli e politica che, sempre secondo la Corte costituzionale, “a loro volta, rappresentano il frutto di valutazioni afferenti alla “sostenibilità” socio-economica del fenomeno. Il controllo giuridico dell’immigrazione – che allo Stato, dunque, indubbiamente compete (sentenza n. 5 del 2004), a presidio di valori di rango costituzionale e per l’adempimento di obblighi internazionali” – Corte cost. n. 250/2010 -.

83. Il Collegio ritiene quindi persuasivo l’argomento speso dai giudici delle sezioni remittenti in ordine alla piena legittimità costituzionale dell’art. 35 bis cit. , comma 13, in punto di modalità di rilascio della procura speciale, facendo leva sui parametri costituzionali che conferiscono al legislatore ampia discrezionalità in ordine all’accesso degli stranieri nel territorio dello stato – interesse di ordine pubblico sotteso alla disciplina, peso economico rappresentato dal patrocino a spese dello Stato-.

84. Peraltro, l’innovazione di cui si è qui detto si è visto essere correlata al perseguimento di obiettivi e finalità di ordine pubblico, che il legislatore ha ritenuto di bilanciare in modo non palesemente irrazionale, andando ad incidere sì sull’accesso alla Corte di Cassazione, ma attraverso un meccanismo di agevole e piana comprensione ed utilizzazione da parte del difensore.

85. Se, dunque, non è in discussione l’effetto espansivo derivante dal riconoscimento dei diritti inviolabili ad opera dell’art. 2 Cost. , – Corte cost. n. 199 del 1986; Corte cost. n. 10 del 1993-, dal quale deriva che anche lo straniero è titolare “di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona” – Corte cost. n. 148 del 2008, n. 203 del 1997, n. 252 del 2001, n. 432 del 2005 e n. 324 del 2006-, soprattutto con riferimento all'”ambito inviolabile della dignità umana” riferibile in ogni caso agli stranieri, benchè irregolari – Corte cost. n. 269 del 2010-, non può, tuttavia, disconoscersi che la disciplina di cui al c. 13 dell’art. 35 bis si inserisce in un sistema speciale, qual è quello della “politica nazionale in tema di immigrazione”, nel quale il legislatore ordinario, come detto, ha “un’ampia discrezionalità” (Corte cost. n. 172/2012, n. 250/2010, n. 148/2008, n. 353/1997), vieppiù ac-centuata nella disciplina degli istituti processuali, dove vi è l’esigenza di celere definizione delle decisioni giurisdizionali -cfr. Cass. n. 4928/2018-.

86. Nè può ritenersi esistente alcuna sproporzionata compressione al diritto alla difesa -sub specie di ridotto accesso al ricorso per cassazione e conseguente vulnus al canone previsto dall’art. 24 Cost. .

86.1. Pur rientrando tale diritto “tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio” (Corte. cost. n. 238/2014; Corte cost. n. 18 del 1982, nonchè n. 82 del 1996), essendo “l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti (… ) … essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli artt. 24 e 113 Cost. , e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto” (Corte cost. n. 26 del 1999, nonchè n. 120 del 2014, n. 386 del 2004 e n. 29 del 2003), tale diritto fondamentale non è in assoluto incomprimibile, dovendo essere bilanciato con altri valori concorrenti secondo i principi noti ed espressi in modo chiaro da Corte cost. n. 85/2013.

86. 2. Orbene, in parte qua il bilanciamento con riguardo al limitato accesso alla Corte di Cassazione va valutato prendendo in considerazione le plurime esigenze considerate dal legislatore, al cui interno sono state valorizzate non soltanto la sostenibilità socio-economica delle attività connesse alla presentazione del ricorso per cassazione ove correlate al patrocinio a spese dello Stato, ma soprattutto l’esigenza di un efficace sistema di tutela giurisdizionale, improntato nel suo complesso al canone della ragionevole durata dei processi che il legislatore ha, come si è visto, preso compiutamente in considerazione nell’adottare la disciplina in esame.

86.3. In altri termini, il legislatore del 2017 ha inteso considerare il peso rappresentato dal contenzioso in materia migratoria che si sarebbe prevedibilmente abbattuto sulla Corte di cassazione per effetto della eliminazione del secondo grado di giudizio di merito e nell’opera di congruo e proporzionato bilanciamento degli interessi contrapposti il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, non ha fatto altro che adottare un meccanismo rivolto per l’un verso a scongiurare ipotesi di utilizzo in bianco della procura in epoca anteriore all’attualità dell’interesse a ricorrere e, per altro verso a salvaguardare interessi di rilevanza nazionale, essendo palese l’esigenza di garantire l’efficienza complessiva del sistema di tutela giurisdizionale innanzi all’organo della giurisdizione ordinaria di ultima istanza.

87. A non dissimili conclusioni deve giungersi quanto alla razionalità intrinseca della disposizione anzidetta ed alla conseguente valutazione in termine di ragionevolezza intrinseca.

87.1. Ed invero, la disciplina in esame deve ritenersi ragionevole laddove ha tenuto in considerazione una pluralità di interessi di rilevanza generale, che rendono giustificabile ed accettabile la compressione del diritto alla tutela giurisdizione effettiva che si declina nell’accesso alla giurisdizione di ultima istanza ordinariamente previsto dalle forme del codice di procedura civile quanto al rilascio della procura speciale secondo le modalità di rilascio regolate dall’art. 35 bis, comma 13, cit. . Il che rende necessaria la limitazione di un diritto fondamentale in vista della protezione di interessi pubblici essenziali.

88. L’art. 35 bis, comma 13, non produce, dunque, alcun pregiudizio significativo al richiedente protezione destinatario di un provvedimento sfavorevole nel grado di merito, offrendo uno strumento che in modo chiaro evita la proposizione di ricorsi per cassazione attraverso la pratica del rilascio di procure in bianco e che, nell’attribuire al difensore un ulteriore potere certificativo relativo alla data, non rappresenta nemmeno uno strumento particolarmente gravoso per il ricorrente.

89. D’altra parte, come già ricordato, il comma 13 – nell’interpretazioni qui offerta – integra una previsione chiara, lineare e affatto vaga, improntata sia al criterio della determinatezza, che a quello dell’idoneità, non risultando palesemente inadeguata rispetto al raggiungimento del fine perseguito in ragione della specificità dell’intervento normativo, destinato a regolare uno speciale settore preso in considerazione dall’ordinamento.

90. In conclusione, queste Sezioni Unite ritengono che la disposizione in esame, pur limitata ad una determinata categoria di stranieri – quella dei richiedenti protezione internazionale e delle categorie che ad esse assimila il legislatore quanto all’applicazione del regime di cui all’art. 35 bis, comma 13, di un regime processuale peggiorativo -, trovi una giustificazione razionale effettivamente proporzionata ed appagante, proprio nell’interpretazione offerta del dato testuale, da considerare pienamente compatibile con il quadro costituzionale sopra succintamente descritto.

91. Sulla base di quanto detto, sulla questione di massima demandata a queste Sezioni Unite vanno fissati i seguenti principi di diritto:

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui prevede che “La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima” ha richiesto, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una speciale ipotesi di “inammissibilità del ricorso”, nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore.

La procura speciale per il ricorso per cassazione per le materie regolate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, e dalle disposizioni di legge successive che ad esse rimandano deve contenere in modo esplicito l’indicazione della data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi, anche solo con una unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione che l’autenticità della firma del conferente.

92. Facendo applicazione dei principi di diritto qui rassegnati, il ricorso per cassazione proposto dal ricorrente è inammissibile.

93. Nel caso di specie, infatti, la procura speciale rilasciata al difensore in calce al ricorso per cassazione su foglio congiunto, pur dettagliata nel contenuto con indicazione del decreto di rigetto adottato dalla sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Salerno – e della sua data (proc. n. 8138/18, decreto emesso il 16. 4. 2019) – contro il quale si intendeva proporre ricorso per cassazione e pur recando, accanto alla firma del conferente la data di rilascio della procura successiva a quella del decreto impugnato – 21. 5. 2019 -, non contiene alcuna espressione dalla quale risulti che il difensore abbia inteso certificare che la data di conferimento della procura sia stata successiva alla comunicazione provvedimento impugnato – nemmeno risultante dalla procura speciale – recando unicamente l’autenticazione della firma con la seguente formula “Tale è”.

94. Non occorre provvedere sulle spese, non essendosi costituita la parte intimata.

95. Quanto al regime del c. d. doppio contributo, queste Sezioni Unite hanno riscontrato l’esistenza di orientamenti diversi, all’interno delle sezioni della Corte, circa il soggetto al quale va imposto il pagamento del doppio contributo previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

95.1. A fronte di un indirizzo – v. , fra le tante, Cass. n. 20932/2020, Cass. n. 26832/2020, Cass. n. 1043/2020 – che ha individuato nel ricorrente conferente la procura speciale priva della data il soggetto eventualmente tenuto al pagamento del doppio contributo, un diverso filone, risulta, invece, favorevole ad individuare la responsabilità in via esclusiva per detto pagamento del difensore, pur in fattispecie non tutte fra loro sovrapponibili, nelle quali l’inammissibilità del ricorso è derivata dall’assenza di elementi di specificità della procura speciale, a volte associati alla mancata indicazione della data della procura speciale – Cass. n. 29232/2020, Cass. n. 32008/2019, Cass. n. 27272/2020; Cass. n. 4621/2021, Cass. n. 9802/2021-, altre volte invece correlata in via esclusiva all’assenza di data, affermandosi in tale occasione che in caso di ricorso per cassazione dichiarato inammissibile per difetto di una valida procura rilasciata al difensore, deve provvedersi alla dichiara-zione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come novellato dalla L. n. 228 del 2012, ma, trattandosi di attività processuale della quale il legale assume esclusivamente la respon-sabilità, la pronuncia relativa alle spese del giudizio, compreso il raddoppio dell’importo dovuto a titolo di contributo unificato, grava sul difensore e non sulla parte -v. Cass. 3329/2021-.

96. Queste Sezioni Unite ritengono che il contrasto vada risolto nel senso di individuare nel ricorrente conferente la procura speciale priva di data o della certificazione del suo difensore il soggetto responsabile per il pagamento a titolo di ulteriore contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 202, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

97. Ai fini di sciogliere il segnalato contrasto interpretativo è necessario distinguere nettamente le ipotesi di inesistenza del potere di rappresentare la parte in giudizio – e nel caso di specie nel giudizio di legittimità – da quelle ben diverse ipotesi nelle quale si discute non di inesistenza del negozio unilaterale di conferimento del mandato, ma di mera invalidità dello stesso.

97.1. Solo nel primo caso, ricorrente nelle ipotesi in cui il negozio di conferimento non contiene elementi che consentono di ricollegare il mandato conferito alla proposizione del ricorso per cassazione può prospettarsi un’ipotesi di inesistenza della procura, non mancandosi di ricordare che queste Sezioni Unite hanno già provveduto, sia pure in diversa materia, ma esprimendo principi di portata generale a proposito del rapporto fra “categoria” di inesistenza di un atto processuale – pur non presa in considerazione dal codice di procedura civile – e nullità di un atto, a circoscrivere in modo preciso la “categoria” della inesistenza, affermando che “l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità – cfr. Cass. , S. U. , 20 luglio 2016, n. 14916 -.

97.2. Tale questione si collega, indirettamente, a quella relativa alla possibilità di condannare il difensore in proprio al paga-mento delle spese di lite, che è già stata oggetto di esame da parte di queste Sezioni Unite civili, appunto distinguendo i casi di procura viziata da quelli di più radicale procura inesistente.

97.3. In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato che in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura “ad litem” o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura “ad litem”, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l’attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benchè sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l’instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo – cfr. Cass. , S. U. , 10 maggio 2006, n. 10706-.

97. 4. Orbene, seguendo la linea di pensiero sottesa alla decisione appena indicata anche rispetto alla questione del soggetto tenuto al pagamento del doppio contributo in caso di inammissibilità del ricorso, deve concludersi che la mancata certificazione della data nella procura speciale conferita per la proposizione del ricorso per cassazione in materia di protezione internazionale disciplinata dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, non incide in alcun modo sull’esistenza del negozio di conferimento del mandato a resistere nel giudizio di legittimità da parte del conferente, che risulta completo in ogni sua parte, indicando gli estremi dell’atto impugnato e la data di conferimento, semmai determinando, come si è visto, l’inammissibilità del ricorso per assenza di un elemento che il legislatore ha ritenuto rilevante a fini della ammissibilità del ricorso per cassazione, per l’appunto costituito dalla certificazione della data da parte del difensore. Vizio che è il riflesso di un negozio di procura viziato in modo radicale ma non inesistente, provenendo dal soggetto conferente già destinatario del provvedimento sfavorevole ed espressivo della volontà di conferire al difensore il mandato alle liti quanto al giudizio di cassazione volto ad ottenere la riforma della decisione allo stesso sfavorevole.

98. Va quindi affermato il seguente principio di diritto:

Il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla mancata presenza, all’interno della procura speciale, della data o della certificazione del difensore della sua posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura affetta da nullità e non da inesistenza.

99. Nel caso di specie, pertanto, va disposto il pagamento del doppio contributo, se dovuto, a carico del ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nelle Sezioni Unite Civili, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2021

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