Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15175 del 20/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 15175 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso 12795-2012 proposto da:
BINDA DOMENICO BNDDNC45S16F205G, VITELLI
ELLI
VINCENZO VTLVCN45A05F839S, GAETA CINZIA
GTACNZ60P64H501F in proprio e in qualità di legale rappresentante
pro tempore della PROCTER & GAMBLE HOLDING SRL
05269321005, HENKEL ITALIA SPA 001009602608, in persona del
legale rappresentante pro tempore ARCHI GIACOMO, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso
lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e difende
unitamente agli avvocati EMANUELE COGLITORE, PAOLO
CENTORE giuste procure in calce al ricorso;

Data pubblicazione: 20/07/2015

- ricorrenti contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

resistente

avverso la sentenza n. 148/2011 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA del 6/07/2011, depositata il
22/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/06/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
udito l’Avvocato Paolo Centore difensore dei ricorrenti che si riporta
agli scritti;
udito l’Avvocato Gianni De Bellis difensore della resistente che si
riporta agli scritti.

Ric. 2012 n. 12795 sez. MT – ud. 10-06-2015
-2-

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Svolgimento del processo

Il 24.5.2012 è stato notificato all’Agenzia delle Entrate un ricorso della Henkel Italia
spa ed altri per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il
22.09.2011), che ha accolto l’appello dell’Agenzia contro la sentenza della
Commissione tributaria provinciale di Roma n.713/38/2004, che aveva integralmente
accolto i ricorsi delle parti contribuenti (separatamente proposti e poi riuniti in corso
di causa) contro avviso di rettifica e liquidazione di maggiore imposta di registro con
cui è stato rideterminato il valore imponibile dichiarato in atto a proposito di una
cessione, stipulata in data 29.9.2000, di ramo d’azienda dalla “Procter & Gamble
spa” alla “Henkel spa” stipulata in data 29.9.2000. Con l’avviso menzionato
l’Agenzia —ritenuto che le parti non avevano indicato il valore dell’avviamento
commerciale- lo accertava ai sensi dell’art.51 del DPR n.131/1986 e lo rideterminava
in £ 24.741.851.680 in termini di “capitalizzazione della capacità reddituale
soggettiva dell’impresa”, secondo quanto si riferisce nella sentenza impugnata.
La società contribuente ha affidato a tre motivi il ricorso per cassazione in tal modo
proposto.
L’Agenzia non si è difesa se non con atto finalizzato a conservare la facoltà di
partecipazione all’udienza di discussione, alla quale ha poi effettivamente preso
parte.
La controversia —inizialmente proposta per la definizione camerale dal relatore
designato ai sensi dell’art.380 bis cpc, e poi da quella sede rimessa alla pubblica
udienza sulla premessa che fossero carenti i presupposti per la decisione con il rito
camerale- è stata discussa alla pubblica udienza del 10.06.2015.
2. La motivazione della sentenza impugnata.
La predetta CTR ha motivato la decisione di accoglimento dell’appello dell’Agenzia
evidenziando —preliminarmente- che la vicenda nasceva dalla cessione del “ramo
d’azienda inerente l’attività di commercializzazione del detergente liquido recante il
Marchio Nelsen” e dall’evasione all’invito che —in relazione a detta cessione- la
Agenzia aveva rivolto alle parti,. di fornire la documentazione concernente la
cessione, atteso che quella “parzialmente fornita” risultava mancante dello stato
patrimoniale e priva dell’indicazione di alcuna valutazione “atta ad esprimere un
valore del complesso aziendale ceduto” e comunque mancante “del relativo
ammortamento commerciale”, salvo l’insufficiente riferimento a quello evidenziato
nel contratto di cessione di azienda,:nell’articolo 2.
E perciò, “trattandosi di avviamento commerciale, lo stesso è regolato dall’art.68 del
TUIR (nel testo vigente), richiamato dall’art.2426 c.c., il quale consente la iscrizione

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Tanto premesso, la CTR considerava che l’Agenzia —alla luce delle omesse
produzioni e siccome la determinazione dell’avviamento commerciale avviene con un
calcolo empirico e non scientificd- avesse legittimamente accertato (in difetto di
denuncia agli effetti degli art.35 e 19 del DPR n.131/1986) il predetto avviamento
nell’importo di £ 25.625.477.640, alla luce della giacenza di merci in magazzino al
momento della cessione nonché in rapporto ad un necessario indice di rotazione
annuo di magazzino pari a 7 (trattandosi di detersivo liquido), ciò che avrebbe
consentito “una produzione di affari non inferiore a £ 24.741.851.680”. Detta
procedura dovevasi considerare “attendibile, trattandosi di cessione di ramo
d’azienda ove nella determinazione del reddito deve essere necessariamente indicato
il valore dell’avviamento commerciale”.
3. Il ricorso per cassazione
Il ricorso per cassazione è sostenuto con tre distinti motivi d’impugnazione e,
dichiarato il valore della causa nella misura di circa Euro 383.343,00, si conclude
con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con la consequenziale
regolazione delle spese di lite.
Motivi della decisione
4. Il primo motivo di impugnazione
Con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art.19, 20 e 51
del DPR n.131/1986) la ricorrente —dopo avere premesso che il menzionato art.51
identifica, per gli atti che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse, il criterio
di valutazione del valore venale in comune commercio senza contemplare alcuno
specifico criterio per la valutazione dell’avviamento, inteso come “collegamento dei
fattori produttivi”- si duole del fatto che la CTR abbia ritenuto di fare applicazione
alla specie di causa di una disciplina (l’art.86 del DPR n.917/1986) del tutto
incongruente con la materia considerata, siccome specificamente dedicata alle
plusvalenze patrimoniali oggetto di cessione a titolo oneroso e valorizzabili (ai fini
della tassazione dei redditi) con il criterio della differenza tra corrispettivo pattuito
per la cessione ed il costo non ammortizzato del bene, tutt’altro ambito rispetto
all’imposta indiretta sui trasferimenti in cui si assoggetta a prelievo il valore della
transazione oggettivamente considerato.
Il motivo non può essere accolto e va disatteso.

dell’avviamento cd. derivato all’attivo dello stato patrimoniale della società
acquirente dell’azienda o del ramo di azienda a titolo oneroso, pertanto il valore
dell’avviamento da iscrivere in bilancio deve individuarsi nella differenza tra il
prezzo di acquisto pagato dalla cessionaria ed il valore del patrimonio netto contabile
dell’azienda acquistata”.

I

.

Ed invero, pur avendo il giudicante premesso, nel suo argomentare, la definizione di
avviamento commerciale che si trae dagli art.68 TUIR e 2426 cod civ (siccome
differenza tra il prezzo di acquisto pagato dal cessionario ed il valore del patrimonio
netto contabile dell’azienda acquistata) non ne ha fatto però concreta utilizzazione ai
fini della soluzione delle questioni di causa, essendosi limitato a convalidare il
metodo (sostenuto da un “calcolo empirico”) prescelto dall’Ufficio accertatore,
metodo che ha ritenuto attendibile e legittimo sul solo presupposto che le parti
contribuenti —non avendo indicato in atto il valore specifico dell’avviamento e non
avendo fornito ex post la documentazione necessaria ai fini dell’utilizzo di un diverso
criterio di valutazione e computo- ne avevano perciò stesso giustificato l’utilizzo.
Siffatta ricostruzione della logica all’interno della quale si situa l’accertamento del
collegio giudicante è convalidata proprio dall’esplicito riferimento -che nella
pronuncia è contenuto- alla disciplina dell’art.51 del DPR n.131/1986 (oltre che alla
“denuncia” resa necessaria dal combinato disposto degli art. 35 e 19 del medesimo
DPR), la menzione delle quali norme serve al giudicante proprio per enunciare la
legittimità del criterio “empirico” ‘del quale l’Ufficio accertatore si è avvalso, in
difetto di più tranquillanti elementi di fatto utili a consentire l’utilizzo di diversi
criteri. Il richiamo di detti riferimenti normativi sarebbe stato del tutto vano ed inutile
se il giudicante avesse supposto .—fraintendendo l’oggetto del contendere, come
prospetta la parte ricorrente- di ‘dover operare ai fini della liquidazione della
plusvalenza, come base impositiva per l’applicazione della disciplina dell’imposta
diretta, e perciò secondo il criterió della “differenza tra il prezzo di acquisto ed il
prezzo di cessione”.
Orbene, secondo il pregresso insegnamento di questa Suprema Corte:”In tema di
determinazione della base imponibile dell’imposta di registro, l’avviamento,
costituente qualità dell’azienda, si atteggia quale bene di essa, ricompreso nel
trasferimento, e quindi da assoggettare all’imposta, ai sensi dell’art. 51, quarto
comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n.131; il valore di esso, in presenza di metodi
tecnici diversi di valutazione, costituisce l’oggetto di un giudizio di fatto rimesso al
prudente apprezzamento del giudice di merito ed immune da sindacato di legittimità
se adeguatamente motivato” (Cass: Sez. 5, Sentenza n. 2204 del 01/02/2006 e, in
termini analoghi anche Cass. 2702/2002 e Cass. 11354/2001), e perciò stesso la scelta
fatta dal giudicante di convalidare il criterio utilizzato in concreto dall’Ufficio
accertatore non può considerarsi in termini di principio contrario alla disciplina dianzi
menzionata, salvo che non se ne censuri l’applicazione nel caso concreto, alla luce
della reale utilizzazione fattane ai fihi del raggiungimento del giudizio di stima.
i
Ed è stata ancora questa Suprema Corte ad avere evidenziato che: “….. La congruità
di tale valutazione può essere desunta anche dall’adozione di criteri indicati dal
legislatore per la valutazione dello stesso bene, sia pure nell’ambito di disposizioni
non direttamente applicabili all’imposta in questione (nella specie, l’art. 2, comma
quarto, del d.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, riguardante l’accertamento con adesione in

-t

;

Non vi è perciò ragione di supporre che il giudicante abbia utilizzato ai fini di
determinare la base imponibile dell’imposta di registro criteri a questo fine
assolutamente inconciliabili ed estranei perché inibiti dalla norma in questa sede
applicabile.
E perciò, il primo motivo di impugnazione —che su questo assunto si fonda- appare
non condivisibile.
5. Il secondo ed il terzo motivo di irnpugnazione
Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla illogica ed insufficiente
motivazione della sentenza) e con: il terzo motivo di impugnazione (centrato sulla
violazione dell’art.112 e 115 cpc, ma il cui contenuto effettivo va riferito
all’archetipo delineato dal n.5 del ‘comma 1 dell’art.360 cpc siccome censura delle
inadeguate modalità con le quali laldecisione è stata motivata) —motivi da esaminarsi
congiuntamente per la loro stretta coerenza- la parte ricorrente si duole del fatto che il
giudicante abbia assunto a base del criterio di valutazione “dati comunque
erronei”…”disattendendo la specifica eccezione sollevata sul punto dai contribuenti”.
Da un canto, era del tutto illogico l’argomentare della C’TR che muoveva dal
riconoscimento che oggetto della cessione era stato il “Marchio Nelsen” ma s
concludeva con l’assunto che il valore dell’avviamento non poteva considerarsi
dichiarato in atto, sicchè le parti contribuenti avevano violato l’onere di denuncia
conclamato negli articoli 19 e 35 del DPR n.131 del 1986, benché dall’art.3 del
contratto di cessione si intendesse chiaramente che del complessivo prezzo di
cessione ben 5.000.000 di USS erano riferiti a beni di cui al n.1 e al n.2 dell’art.2 del
patto di cessione (e cioè la registrazione italiana del marchio e la lista dei clienti della
società venditrice, e cioè beni che integrano elementi costitutivi dell’avviamento).
D’altro canto il giudicante non aveva dato alcun rilievo al fatto che l’Agenzia aveva
assunto come valore di magazzino Cluello indicato in atto, senza tenere conto del fatto
che esso era stato indicato in via puramente approssimativa (come precisato nell’art.2
punto 6 dell’atto di cessione, e poi ancora negli articoli 4 e 5 dello stesso atto) e che il
medesimo avrebbe dovuto essere oggetto di successiva rettifica o integrazione per
effetto dell’inventario che le parti si erano riservate di redigere (come di fatto era poi

‘,.

materia di imposte dirette), trattando’ si di criteri che, in quanto avallati dal legislatore,
confermano la validità del ragionamento seguito dal giudice di merito. Non può
quindi considerarsi illogica la sentenza di merito che abbia riconosciuto l’esistenza di
un valore di avviamento in base alla media dei redditi dichiarati negli ultimi tre anni,
nonostante il progressivo e costante calo dei ricavi fatto registrare dall’impresa:
l’avviamento costituisce infatti una ‘qualità dell’azienda stessa, che si somma al valore
degli altri beni che la compongono in un’operazione che logicamente precede la
detrazione delle passività, sicché non è aprioristicamente escluso né dall’esistenza né
dall’ammontare di queste” (Cass. Séz. 5, Sentenza n. 613 del 13/0112006).

f
avvenuto, tanto che la rettifica era stata determinata con atto pubblico di data
17.9.2002, nel quale era stato adeguato il conseguente valore di magazzino),
elemento che avrebbe dovuto indurre il giudicante —quanto meno- a valutare
diversamente ed in cifra più ridotta il valore dell’avviamento considerato omesso e
perciò in ammontare più ridotta l’imposta evasa.

Invero, alla luce delle autosufficienti ricostruzione degli elementi addotti in giudizio
(direttamente desumibili dal contenuto oggettivo dell’atto tassato), emerge dalla
stessa considerazione della scarna motivazione della sentenza impugnata che il
giudice del merito —negligentemente- non ha tenuto conto alcuno delle inferenze
logiche che possono essere desunte dalle circostanze messe in luce dalla parte qui
ricorrente (inferenze che senz’altro possono considerarsi determinanti ai fini della
corretta applicazione del criterio di stima convalidato e valorizzato dalla stesso
giudicante), essendosi invece limitato a pronunciarsi in astratto e genericamente sulla
legittimità ed “attendibilità” del criterio medesimo.
E ciò si dice non già come valutazione della giustezza o meno della decisione,
valutazione che non compete alla Corte, ma come indice della presenza di difetti
sintomatici di una possibile decisione ingiusta, che tali possono ritenersi allorquando
sussiste un’adeguata incidenza causale (come nella specie esiste) della manifesta
negligenza di dati istruttori qualificanti, oggetto di possibile rilievo in cassazione,
esigenza a cui la legge allude con il riferimento al “punto decisivo” (in termini Cass.
Sez. 3, Sentenza n. 7635 del 16/05/2003).
Nella specie, parte ricorrente ha evidenziato sia la negligenza di elementi di fatto
rilevanti ai fini di considerare se oggettivamente sia integrata l’omissione di
declaratoria del necessario valore di avviamento dell’azienda ceduta, sia la
negligenza di ulteriori elementi di fatto incidenti sull’esito dell’operazione
matematica attraverso la quale il giudicante è pervenuto (convalidando il criterio
dell’Ufficio procedente) a determinare l’ammontare della base imponibile e poi anche
dell’imposta evasa. Si tratta di una pluralità di elementi di fatto non adeguatamente e
specificamente considerati dal giudice del merito, elementi che costituiscono
senz’altro idonei indici sintomatici di una possibile decisione ingiusta, siccome
capaci di generare una difettosa ricostruzione del fatto dedotto in giudizio.
i
Consegue da ciò che la censura avente ad oggetto il vizio motivazionale può essere
accolta e che, per conseguenza, la controversia debba essere rimessa al medesimo
giudice di secondo grado che —in diversa composizione- tornerà a pronunciarsi sulle
questioni oggetto dell’atto di appello proposto dall’Agenzia e regolerà anche le spese
del presente grado di giudizio.
• P.Q.M.

I motivi appaiono fondati e possono essere accolti.

la Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, disatteso il primo.
Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione,
provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.
Coin Roma, nella camera di consiglio del 10 giugno 2015.

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