Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15175 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18685-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato UBERTI ANDREA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato POZZA MASSIMO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1078/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/06/2006 r.g.n. 2237/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega UBERTI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Torino accoglieva la domanda della L. diretta ad accertare la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con la società Poste Italiane il 18 giugno 1999, con conseguente declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parli, e condanna della società Poste al pagamento delle retribuzioni dal 24 giugno 2005, epoca della formale offerta delle prestazioni lavorative.

La sentenza veniva confermata dalla Corte d’appello di Torino, con pronuncia del 27 giugno 2006.

Propone ricorso per cassazione la società Poste, affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste la L. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e art. 1362 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ravvisato nella circostanza che le parti sociali erano libere di pattuire anche per il periodo successivo al 30 aprile 1998 ipotesi di assunzione a tempo determinato non connesse a specifici casi di occasioni di lavoro temporanee.

Lamentaci comunque che in caso contrario, e cioè di nullità del contratto, la datrice di lavoro può recedere liberamente da questo, non applicandosi il principio, contenuto nella L. n. 230 del 1962, art. 1 per cui il contratto di lavoro subordinato si intende a tempo indeterminato.

2. -Con il secondo motivo la società Poste denuncia violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al primo motivo, nonchè vizio di motivazione in ordine all’efficacia temporale degli accordi sindacali legittimanti, ex art. 23 L n. 56 del 1987, l’assunzione a tempo determinato.

Ad illustrazione dei motivi formula i prescritti quesiti di diritto.

3. – I motivi, stante la loro evidente connessione, possono essere congiuntamente trattati e risultano infondati.

Deve premettersi che il contratto a tempo determinato in questione, stipulato ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali in base alla L. n. 56 del 1987, art. 23 (“per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, e sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”), si inserisce nella cornice normativa di cui alla L. n. 230 del 1962, ove il principio della conversione del contratto era esplicitamente prevista (cfr. per tutte, Cass. 10 aprile 2006 n. 8294).

Il principio è stato del resto affermato anche con riferimento alla nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, che, com’è noto, non prevedeva (almeno sino alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39) analoga norma (Cass. 21 maggio 2008 n. 12985; C. Cost. 14 luglio 2009 n. 214). Quanto al limite temporale di efficacia degli accordi intervenuti in materia ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 successivamente al c.c.n.l. del 1984, questa Corte ha ripetutamente affermato (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603) che negando che le parti collettive, con l’accordo del 25 settembre 1997, avessero inteso introdurre limiti temporali al ricorso ai contratti a termine, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi sopra indicati non avrebbero avuto alcun senso, neppure se considerati come meramente ricognitivi.

In particolare, se il contratto del 25 settembre 1997 non prevedesse alcun termine di efficacia per la facoltà conferita all’Azienda di stipulare i contratti a termine – essendo questa consentita al definitivo compimento della ristrutturazione – non avrebbe avuto alcun senso stipulare gli accordi attuativi in cui invece un termine risulta indicato; una diversa interpretazione escluderebbe qualunque effetto sia all’accordo attuativo in pari data, in cui si dava atto che l’azienda si trovava in stato di ristrutturazione fino al 31 gennaio 1998, sia al successivo accordo “attuativo” del 16 gennaio 1998, giacchè nulla ci sarebbe stato da “attuare” e nulla da “riconoscere” dal punto di vista temporale. Ancora minore senso avrebbe avuto la pattuizione contenuta in quest’ultimo accordo per cui ai contratti a termine poteva procedersi fino al 30 aprile 1998, ovvero che la società sarebbe stata specificamente legittimata a ricorrere ai contratti a termine “oltre” la data fissata.

Ne consegue l’illegittimità dei contratti a termine stipulati, per la causale in questione e come nel caso oggetto del presente giudizio, oltre il 30 aprile 1998.

4. – Il ricorso va pertanto respinto, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 21,00 oltre Euro. 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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