Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15174 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017, (ud. 11/04/2017, dep.20/06/2017),  n. 15174

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7954/2015 proposto da:

S.E., L.G.B., B.A., considerati

domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO AMATO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE SINAGRA, in persona del sindaco, avv. M.V.,

considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

DI PIETRO unitamente all’avvocato MAURIZIO RADICI giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 21/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato GIORGIO M. POMPEI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.E., L.G.B. e B.A. convennero in giudizio il Comune di Sinagra, davanti al Tribunale di Patti, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al diniego di rilascio della concessione edilizia da loro richiesta per un intervento edificatorio.

Si costituì in giudizio il Comune convenuto, eccependo in rito il difetto di giurisdizione e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

Il Tribunale pronunciò una sentenza non definitiva con la quale dichiarò la propria giurisdizione e dispose l’espletamento di una c.t.u.; indi, con sentenza definitiva, accolse la domanda e condannò il convenuto al pagamento della somma di Euro 112.000 per la mancata realizzazione dei fabbricati e di Euro 18.000 per il rimborso del piano di lottizzazione inutilmente realizzato dagli attori, oltre che al pagamento delle spese di lite.

2. Dopo aver riservato l’appello contro la sentenza non definitiva, il Comune ha impugnato entrambe le pronunce e gli originari attori hanno proposto appello incidentale in ordine al quantum del risarcimento.

La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 21 gennaio 2014, in parziale riforma di quella del Tribunale, ha ridotto il risarcimento del danno alla sola somma di Euro 18.000 suindicata, ha rigettato l’appello incidentale ed ha integralmente compensato tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

La Corte territoriale – dopo aver ribadito la giurisdizione del giudice ordinario ed aver chiarito che non aveva alcun rilievo la circostanza che i privati avessero proposto ricorso davanti al giudice amministrativo, stante l’insussistenza della pregiudiziale amministrativa – ha osservato che il Tribunale aveva riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni sul rilievo che nella zona interessata, sebbene agricola, fosse consentito un intervento edificatorio, sia pure col limite massimo di 0,03 metri cubi per metro quadrato. Nel caso di specie, però, il progetto per il quale era stata richiesta la concessione prevedeva la costruzione di tre fabbricati di civile abitazione e magazzini; si trattava, cioè, di un vero e proprio insediamento abitativo residenziale, nè gli appellati avevano contestato detta circostanza. La destinazione di un’area a zona verde agricola, com’era nel caso in questione, impediva di realizzare insediamenti residenziali, e ciò “senza necessità di alcuna specifica regolamentazione locale”, come da pacifica giurisprudenza amministrativa. Ne conseguiva, secondo la Corte messinese, che la concessione richiesta era priva di possibilità di essere accolta, anche volendo ammettere “la creazione di insediamenti non direttamente strumentali o correlati all’utilizzo agricolo”.

La condanna al risarcimento dei danni per il mancato rilascio della concessione e per la perdita della possibilità di edificare era, dunque, da respingere. Doveva viceversa essere confermata la condanna al pagamento della somma di Euro 18.000 pari al costo del piano di lottizzazione presentato dai privati e poi respinto; ed infatti costoro si erano determinati a presentare quel piano solo perchè l’amministrazione comunale aveva espresso un primo parere valutando negativamente il progetto per mancanza di un piano di lottizzazione. Ha rilevato la Corte che tale atteggiamento aveva ingenerato nei privati un indebito affidamento, posto che l’amministrazione comunale aveva a disposizione fin dall’inizio elementi sufficienti per rigettare la richiesta; per cui andava posto a suo carico l’onere di rimborso di un’attività inutilmente fatta svolgere ai richiedenti.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Messina propongono ricorso S.E., L.G.B. e B.A. con unico atto affidato a due motivi ed affiancato da memoria.

Resiste con controricorso il Comune di Sinagra.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre innanzitutto rilevare che i ricorrenti, con la memoria depositata per l’udienza di discussione, hanno eccepito l’inammissibilità del controricorso del Comune di Sinagra rilevando che, nonostante il mandato sia stato conferito congiuntamente agli avvocati Radici e Di Pietro, come da delibera del Comune, la procura speciale è stata autenticata solo dall’avv. Di Pietro, mentre il ricorso è stato poi sottoscritto da entrambi i difensori. L’inammissibilità deriverebbe dalla circostanza secondo cui l’avv. Radici non era iscritto all’albo degli ammessi al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori nel momento in cui il controricorso fu firmato e che l’incarico conferito congiuntamente renderebbe il medesimo in concreto non esercitabile, stante la mancanza dei requisiti in uno dei due difensori.

1.1. L’eccezione non è fondata.

Si rileva, innanzitutto, che essa è genericamente formulata, perchè si richiama ad “informazioni reperibili dal sito dell’Ordine degli avvocati di Patti”, non meglio specificate, secondo le quali l’avv. Radici risulterebbe iscritto all’albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori solo in una data successiva a quella di affidamento dell’incarico da parte del Comune (non risulta prodotta alcuna specifica documentazione sul punto).

A prescindere da tale rilievo formale, la Corte osserva che il mandato conferito ai due professionisti con la Delib. Comunale indicata nella memoria è cosa diversa dalla procura alle liti redatta in relazione allo specifico atto giudiziario. Nella specie, il Sindaco del Comune di Sinagra ha conferito, in calce al controricorso, un incarico difensivo agli avv. Di Pietro e Radici senza alcuna previsione del carattere congiunto del medesimo e la sua firma è stata autenticata dal solo avv. Di Pietro.

Trova applicazione, quindi, il principio già enunciato da questa Corte secondo cui, qualora il mandato alle liti venga conferito a più difensori, ciascuno di essi, in difetto di un’espressa e non equivoca volontà della parte circa il carattere congiuntivo, e non disgiuntivo, del mandato medesimo, ha pieni poteri di rappresentanza processuale, con la conseguenza che, in caso di procura speciale per ricorrere per cassazione, il ricorso è validamente proposto se sottoscritto anche da uno solo di essi, mentre, per quanto attiene all’autenticazione della sottoscrizione, poichè l’art. 1712 c.c., comma 1, esige l’accettazione di tutti i mandanti soltanto nel caso di mandato congiuntivo, essa deve ritenersi possibile anche soltanto da uno dei difensori. Il carattere disgiuntivo del mandato comporta, poi, che gli atti processuali possano essere posti in essere anche da uno solo dei legali (sentenza 6 giugno 2006, n. 13252).

E’ appena il caso di aggiungere, ad abundantiam, che la giurisprudenza di questa Corte ha pure affermato che, anche in caso di mandato congiunto conferito a due difensori uno dei quali non sia iscritto all’albo speciale, il ricorso per cassazione è valido anche se sottoscritto dal solo avvocato cassazionista, in ossequio al principio di conservazione dell’atto per raggiungimento dello scopo e delle regole sul mandato con rappresentanza (sentenza 11 giugno 2008, n. 15478).

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L.R. Siciliana 27 dicembre 1978, n. 71, art. 2 e dell’art. 12 norme tecniche di attuazione del Piano regolatore del Comune di Sinagra, in relazione all’art. 2043 c.c..

Osservano i ricorrenti che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in considerazione che, in base alle norme richiamate, nelle zone destinate a verde agricolo è consentita l’edificazione purchè con un indice di densità fondiaria non superiore a 0,03 metri cubi per metro quadrato. Nella specie, si trattava della costruzione di sette unità residenziali per una volumetria complessiva pari a 6.492,22 metri cubi, a fronte di una edificabilità massima consentita pari a 6.558,12 metri cubi; sicchè l’edificazione richiesta era concedibile. La sentenza, poi, avrebbe introdotto un riferimento complessivo alle dimensioni dell’edificazione che non trova riscontro nelle norme, perchè sembra voler dire che la possibilità edificatoria sussiste solo in fondi di estensione limitata, risultando invece preclusa in quelli di dimensione più ampia.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Rileva questo Collegio che la doglianza ivi formulata non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte messinese, infatti, non ha negato che nelle aree di proprietà dei ricorrenti si potesse ritenere consentita una limitata edificazione, in misura di 0,03 metri cubi per metro quadrato (come effettivamente ammesso dalla disposizione di legge regionale invocata). Essa è pervenuta al rigetto di quella parte della domanda richiamando l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in base al quale “la prescrizione e la qualificazione a zona verde agricola impedisce certamente, e senza necessità di alcuna specifica regolamentazione locale, la realizzazione di insediamenti residenziali”. La sentenza ha poi anche aggiunto che lo strumento urbanistico locale, in armonia con siffatta regola generale, prevedeva nella zona di proprietà dei ricorrenti la “incompatibilità di insediamenti pluriabitativi e commerciali”.

A fronte di simile argomentata motivazione, la censura in esame si rivela del tutto inconferente, perchè continua ad insistere sul dato, peraltro pacifico, per cui la zona interessata consentiva una sia pur limitata edificazione; ma non affronta il complesso delle argomentazioni poste dalla Corte di merito a sostegno del rigetto della domanda. Ed è appena il caso di aggiungere, inoltre, che i dati numerici riportati in ricorso e relativi alla volumetria complessiva del progetto in rapporto all’estensione del terreno vengono soltanto genericamente indicati, senza che sul punto sia stata raggiunta in sede di merito alcuna certezza.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore del Comune di Sinagra, del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e della L.R. della Regione Siciliana 31 marzo 1972, n. 19, oltre ad omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Osservano i ricorrenti, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado, che la Corte d’appello non avrebbe dato conto delle ragioni per le quali ha riformato la decisione del Tribunale di Patti, risultando la sentenza impugnata apodittica.

3.1. Il motivo è palesemente inammissibile.

Esso si risolve nel riportare ampi stralci della motivazione delle due sentenze di merito, sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe dato conto delle ragioni per cui ha riformato la sentenza del Tribunale.

Ora, a parte il fatto che, come si è detto a proposito del primo motivo, la sentenza d’appello ha spiegato con argomenti più che sufficienti le ragioni della propria decisione, è evidente che il motivo in esame non illustra alcuna effettiva censura di violazione di legge e pone il preteso vizio di motivazione con modalità del tutto esorbitanti rispetto ai limiti fissati dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). La censura, in definitiva, si risolve nel tentativo di ribaltare in questa sede il giudizio di merito esperito dalla Corte d’appello per ottenere il ripristino della più favorevole decisione emessa dal Tribunale.

4. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità al D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 8.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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