Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15174 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26831-2009 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SPROVIERI FRANCESCO SAVERIO 6, presso lo studio dell’avvocato AGNINI

ELISABETTA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M., G.T., G.R.M.P.,

G.R., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato ANTONINI MARIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANDRONICO FRANCESCO, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

ROMAGNOLA SHOES S.A.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1080/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 06/12/2008 R.G.N. 130/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato AGNINI ELISABETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 16.10/6.12.2008 la Corte di appello di Catania, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, condannava la Romagnola Shoes sas nonchè S.M., G.T., G.R.M.P. e G.R., nella qualità di eredi di G.F., al pagamento in favore di P.G. della somma di Euro 9.880,39 oltre ad accessori di legge, a titolo di differenze retributive.

Osservava in sintesi la corte territoriale che gli accertamenti contabili esperiti nel giudizio di appello avevano escluso la corrispondenza dei compensi riportati sulle buste paga ad alcun livello retributivo, sicchè le differenze retributive rivendicate andavano determinate non facendo riferimento alla contrattazione collettiva nella sua interezza, in quanto di fatto non applicata dal datore di lavoro, ma tenendo conto in via esclusiva degli elementi retributivi di paga base e contingenza.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso P. G. con cinque motivi, illustrati con memoria.

Resistono con controricorso S.M., G.T., G.R.M.P. e G.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 384, 392 e 394 c.p.c., si duole che la corte territoriale, omettendo di attenersi al principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, aveva escluso l’applicabilità al rapporto controverso del contratto collettivo di settore.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., il ricorrente prospetta che, sebbene fosse stato accertato, con statuizione ormai passata in giudicato, che, nei mesi da gennaio ad aprile, nonchè nel mese di settembre di ogni anno, l’orario di lavoro fosse corrispondente a quaranta ore settimanali, i giorni lavorati erano stati computati, ai fini della determinazione del credito accertato, non in misura fissa, ma variabile.

Con il terzo motivo denuncia, con riferimento a queste stesse censure, vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 112 e 155 c.p.c., che la corte territoriale non aveva recepito le conclusioni del consulente di ufficio in ordine alle ore lavorate, e che erano state dallo stesso rideterminate, anche se per lievi differenze, sulla base dei rilievi svolti dall’appellante.

Con l’ultimo motivo, infine, viene denunciato, con riferimento a queste stesse censure, vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

2. Il primo motivo, ancorchè ammissibile, ai sensi dell’art 366 bis c.p.c. (consentendo il relativo quesito di individuare con certezza la soluzione della questione controversa che si prospetta come giurìdicamente corretta, a fronte di quella in concreto adottata, che si assume contraria al diritto), è nel merito infondato.

Ha osservato la sentenza rescindente che il giudice di appello “dopo aver evidenziato che il lavoratore … doveva essere inquadrato nel quarto livello retributivo, di cui all’art. 25 ccnl per i lavoratori addetti all’industria delle calzature e non già nel terzo, come sostenuto da parte datoriale … ha, però, ritenuto che per determinare le differenze retributive dovute al P. non si poteva fare riferimento al ccnl invocato, in quanto non era provata l’iscrizione delle parti alle organizzazioni sindacali stipulanti e che neppure si poteva ritenere un’adesione (implicita) alla medesima contrattazione collettiva, non valendo a tanto il richiamo ad essa contenuto nella lettera di licenziamento … a fronte di una costante e generale in applicazione di quel contratto, risultante dalle buste paga in atti”.

Ha, quindi, statuito la Suprema Corte, ritenendo non condivisibile tale motivazione, che “l’attribuzione da parte del datore di lavoro di un inquadramento professionale con esplicito riferimento alla disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, ma di livello inferiore rispetto alle mansioni in concreto espletate dal lavoratore, le quali secondo il medesimo contratto collettivo avrebbero dato al prestatore di lavoro diritto ad un inquadramento superiore, integra una erronea applicazione di quella disciplina contrattuale e non una manifestazione di volontà di segno contrario all’applicazione di detta disciplina convenzionale”.

Ed ha, in tal contesto, rilevato il Collegio “l’insufficienza dell’argomentazione in ordine alla costante e generale in applicazione del contratto collettivo soltanto in base all’esame delle buste paga, essendosi la sentenza impugnata limitata ad una generica enunciazione sul punto, senza spiegare se i compensi là riportati fossero o meno corrispondenti ai livelli retributivi contrattuali inerenti alla qualificazione professionale, a cui il datore di lavoro aveva pure fatto riferimento, secondo quanto specificato dal giudice del gravame”.

Così individuati i vizi ascritti alla decisione impugnata, che non attengono all’affermazione del diritto alla integrale applicazione della disciplina collettiva, quanto alla corretta ricostruzione delle risultanze probatorie a tal fine funzionali e necessarie, deve ritenersi che il giudice del rinvio si è del tutto attenuto al decisum della Suprema Corte.

La corte territoriale, infatti, provvedendo ad accertare, in conformità ai criteri indicati nella sentenza rescindente, se, pur in difetto della iscrizione delle parti alle associazioni sindacali stipulanti, dagli atti emergessero, tuttavia, elementi idonei a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della disciplina collettiva, in conseguenza della sua spontanea applicazione di fatto, ha evidenziato come le indagini tecniche al riguardo espletate escludessero la corrispondenza dei compensi riportati sulle buste paga ad alcun livello retributivo.

E, quindi, avendo escluso che i compensi riportati nelle buste paga fossero corrispondenti ai livelli retributivi contrattuali inerenti alla qualificazione professionale del personale, ha ritenuto, in buona sostanza, come il mancato riferimento, in concreto, ad alcun livello contrattuale fosse manifestazione di volontà di segno contrario all’applicazione della disciplina convenzionale, e non anche sintomo di erronea applicazione della stessa.

Le censure mosse dal ricorrente non appaiono, pertanto, idonee a contrastare l’accertamento, correttamente, anche se sinteticamente, operato dal giudice di rinvio, per fondarsi le stesse sull’assunto che la Corte di cassazione avrebbe affermato la piena vincolatività della disciplina convenzionale, laddove, invece, la stessa aveva solo evidenziato la complessiva “insufficienza dell’argomentazione in ordine alla costante inapplicazione del contratto collettivo”.

3.Ammissibili (per le ragioni, già evidenziate, di adeguatezza dei relativi quesiti alla questione controversa che si prospetta come giuridicamente corretta, a fronte di quella in concreto adottata, che si assume contraria al diritto, così come al punto controverso rispetto al quale si assume una omessa ed inadeguata ricostruzione del materiale probatorio), ma anche meritevoli di accoglimento appaiono, invece, il secondo ed il terzo motivo che, in considerazione della loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente.

Il ricorrente ha, infatti, puntualmente documentato, con la trascrizione delle difese svolte nella precedente fase del giudizio, come, in ordine all’orario di lavoro osservato nel corso del rapporto, avesse dedotto che fosse passata in giudicato la statuizione della sentenza di primo grado che lo fissava per i mesi da gennaio ad aprile, oltre che per il mese di settembre, in 40 ore settimanali, sicchè a ragione lamenta che il giudice di rinvio, senza alcuna motivazione, abbia determinato le differenze retributive dovute tenendo conto dell’orario risultante dalle buste paga, anche se inferiore alle 40 ore settimanali.

Fondate appaiono, pertanto, le censure prospettate, che assumono anche carattere di decisività, dal momento che, per come emerge dai prospetti prodotti, l’orario di lavoro settimanale non risulta determinato, con riferimento ai mesi indicati, come pari, in modo costante, a 40 ore settimanali.

4. Meritevoli di accoglimento (oltre che ammissibili, per quanto già indicato) sono, infine, anche gli ultimi due motivi, da trattarsi congiuntamente, stante l’evidente connessione.

La corte territoriale ha, infatti, determinato le differenze retributive richieste assumendo quale base del computo la somma di Euro 9.905,82, quantificata dal ctu, avuto riguardo agli elementi di paga base e contingenza e al quarto livello del contratto collettivo di settore, ma non considerando che, in sede di relazione integrativa del 28.2.2006, tale somma, alla luce degli stessi parametri, era stata rideterminata in Euro 9.944,22, e non fornendo sul punto motivazione alcuna del diverso proprio convincimento.

Con la conseguente mancata osservanza della regola, acquisita nella giurisprudenza di legittimità, per cui ove il giudice non condivida gli accertamenti del consulente d’ufficio, deve fornire una adeguata motivazione delle ragioni del proprio dissenso (cfr. ad es. Cass. n. 12930/2007; Cass. n. 15590/2001), si da rendere evidente il percorso logico posto a base della decisione, con la esplicitazione, in termini precisi e logicamente plausibili, dei diversi criteri presi in considerazione.

5. In accoglimento per quanto di ragione del ricorso, la sentenza va, pertanto, cassata e la causa rinviata ad altro giudice di pari grado, il quale la deciderà uniformandosi ai criteri di interpretazione indicati e statuirà anche in ordine al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Messina.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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