Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15173 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18776-2009 proposto da:

“BN FINRETE S.P.A. IN LIQUIDAZIONE”, in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato APRILE GIUSEPPE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIZZOLLA PROSPERO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

A.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5368/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/05/2009 R.G.N. 9218/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Pretore, giudice del lavoro, di Roma, regolarmente notificato, A.M., premesso di aver intrattenuto con la BN Finrete un rapporto di agenzia conclusosi con recesso della preponente privo di giusta causa, chiedeva la condanna della società predetta al risarcimento del danno ed al pagamento della somma di L. 1.946.395 a titolo di indennità di preavviso ed indennità suppletiva di clientela.

Con sentenza n. 14319 del 21.10/25.10.1993 il giudice adito condannava la società convenuta pagamento delle indennità suddette nella misura indicata ed al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.

Avverso tale sentenza proponeva appello la BN Finrete lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo”.

Nelle more dell’espletamento del detto giudizio l’ A. inoltrava, in data 9.2.1994, al Pretore, giudice del lavoro, di Roma, nuovo ricorso per ottenere la liquidazione del danno conseguente all’illegittimo recesso, nella misura di L. 100.000.000.

Il giudice adito disponeva la sospensione di tale processo.

In relazione al precedente giudizio il Tribunale di Roma, giudicando in sede di appello, con sentenza n. 2573 del 19.3/21.12.1999, in parziale riforma della sentenza pretorile n. 14319/93, respingeva la domanda dell’ A. al risarcimento del danno, confermando gli altri capi della sentenza.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione l’ A., e proponeva a sua volta ricorso incidentale condizionato la società preponente.

Con sentenza n. 6190 del 17.4.2003 questa Corte di Cassazione accoglieva il ricorso principale, respingeva quello incidentale, cassava la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respingeva l’impugnazione proposta dalla BN Finrete avverso la sentenza del Pretore n. 14319/93.

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma inoltrato in data 16.10.2003 l’ A., richiamando il giudicato formatosi per effetto della predetta sentenza di questa Corte di Cassazione, chiedeva la condanna della BN Finrete al risarcimento del danno nella misura di Euro 51.500,00.

Istauratosi il contraddicono, la società predetta eccepiva la improcedibilità della domanda per mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, l’incompetenza territoriale del giudice adito, la nullità ed inammissibilità del ricorso perchè carente dei requisiti ex art. 414 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, e, per analoga ragione, la inammissibilità delle domande avanzate, che dovevano essere, in ogni caso, respinte in quanto infondate e, comunque, non provate.

Con sentenza n, 2204 del 19.10.2005 il Tribunale adito dichiarava la nullità del ricorso compensando le spese di giudizio.

A seguito di tale sentenza l’ A. inoltrava nuovo ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, in data 24.6.2006, riproponendo la domanda di condanna della società al risarcimento del danno nella misura di Euro 38.789,00.

A seguito di tale ulteriore ricorso la BN Finrete appellava la sentenza n. 2204/05 del 2005, chiedendo che venissero respinte nel merito le domande proposte dall’ A..

Con sentenza in data 26.6.2008/13.5.2009 la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello rilevando che in tale giudizio la società convenuta aveva chiesto che venisse dichiarata la nullità del ricorso introduttivo, e tale richiesta, che precedeva quella concernente il rigetto nel merito, era stata accolta.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la BN Finrete con tre motivi di impugnazione.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 100, 112, 132, 156, 164 e 276 c.p.c., art. 414 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, e art. 416 c.p.c.; insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

In particolare rileva la ricorrente che, sebbene il giudice di primo grado avesse dichiarato in dispositivo la nullità del ricorso, nella parte motiva aveva sostanzialmente rigettato nel merito la domanda proposta dall’interessato rilevando che le ragioni poste a fondamento di tale domanda erano rimaste prive di riscontro probatorio ed erano altresì irrilevanti.

Col secondo motivo di ricorso lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 91, 99, 100, 112, 132 e 156 c.p.c., art. 414 c.p.c., nn. 4 e 5, e art. 118 disp. att. c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

In particolare rileva che la sentenza della Corte d’appello si appalesava errata anche in considerazione del fatto che l’impugnazione della società avverso la sentenza di primo grado era stata effettuata successivamente alla proposizione da parte dell’ A. di altro giudizio con ricorso del 21.6.2006 con cui era stata richiesta la condanna della società al risarcimento del danno, donde l’interesse della società ad una pronuncia nel merito;

in relazione a tale motivo di impugnazione nessuna statuizione vi era stata da parte della Corte territoriale, la quale aveva altresì omesso di pronunciarsi sul rilievo concernente la compensazione delle spese di giudizio.

Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 99, 100, 112 e 113 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 157 e 159 c.p.c., art. 163 c.p.c., n. 4, art. 164 c.p.c., commi 1 e 5, art. 183, 414, 416, 420, 421 e 437 c.p.c. e art. 1362 e segg. c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia:

art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva erroneamente interpretato le conclusioni formulate dalla società appellata nel giudizio di primo grado, conclusioni che dovevano essere rettamente intese nel senso del conseguimento di una pronuncia di carattere decisorio e non meramente processuale, rilevando altresì che, non essendo stato assegnato dal Tribunale il prescritto termine per l’integrazione della domanda, doveva ritenersi intervenuta la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3, e pertanto la decisione del Tribunale non poteva che essere in termini di rigetto della domanda nel merito.

Il ricorso è inammissibile.

Osserva il Collegio che trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata il 13.5.2009, ad esso si applica, ratione temporis, l’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile, ex art. 27 del predetto decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006). Tale articolo, successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) ma applicabile nella fattispecie in esame, dispone che “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

Nell’interpretazione di tale norma questa Corte (ex plurimis: Cass. SS.UU., 5.1.2007 n. 36; Cass., SS.UU., 28.9.2007 n. 20360; Cass. SS.UU., 12.5.2008 n. 11650; Cass. SS.UU., 17.7.2007 n. 15959) ha stabilito che il rispetto formale del requisito imposto per legge risulta assicurato sempre che il ricorrente formuli, in maniera consapevole e diretta, rispetto a ciascuna censura, una conferente sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, sicchè dalla risposta (positiva o negativa), che al quesito medesimo deve essere data, possa derivare la soluzione della questione circa la corrispondenza delle ragioni dell’impugnazione ai canoni indefettibili della corretta applicazione della legge, restando, in tal modo, contemporaneamente soddisfatti l’interesse della parte alla decisione della lite e la funzione nomofilattica propria del giudizio di legittimità.

E’ stato, pertanto, precisato che il nuovo requisito processuale non può consistere nella mera illustrazione delle denunziate violazioni di legge, ovvero nella richiesta di declaratoria di una astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità, ma è per contro indispensabile che il quesito di diritto, inteso quale punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio di diritto generale, sia esplicitamente riferito alla lite in oggetto, anche attraverso concreti riferimenti al caso specifico, di talchè sia individuabile il carattere risolutivo rispetto alla controversia concreta, altrimenti risolvendosi nella richiesta di una astratta affermazione di principio.

Siffatta ipotesi si è verificata nel caso di specie ove si osservi che la formulazione dei quesiti relativi ai motivi di ricorso si appalesa assolutamente generica, priva di qualsivoglia riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, risolvendosi nella richiesta di una astratta affermazione di principio, assolutamente pacifica ed inidonea ad evidenziare il nesso tra la fattispecie concreta ed il principio di diritto che si chiede venga affermato.

La palese genericità dei quesiti rende inammissibili i motivi, allo stesso modo di quel che si verifica in tema di censura non attinente al decisum.

Ma nel caso di specie la inammissibilità del ricorso va ritenuta anche sotto un ulteriore profilo.

Osserva invero il Collegio che il proposto ricorso si basa sulla rilevata erroneità della sentenza della Corte territoriale che aveva rigettato il gravame argomentando dalla circostanza che la pronuncia del giudice di primo grado – con cui era stata dichiarata la nullità del ricorso introduttivo – era coerente alle eccezioni sul punto formulate dalla società convenuta: in tal modo peraltro la Corte di merito si era limitata al contenuto formale della decisione del primo giudice siccome emergente dal dispositivo, senza valutare il contenuto della motivazione dallo stesso adottata, con cui erano state sostanzialmente rigettate nel merito le domande proposte dall’interessato sotto il profilo che te ragioni poste a fondamento di tali domande erano rimaste prive di riscontro probatorio ed erano altresì irrilevanti.

Posto ciò, osserva il Collegio che il ricorso presenta una evidente violazione del principio di specificità e autosufficienza, in base al quale è necessario che nello stesso siano indicati con precisione tutti quegli elementi di fatto che consentano di controllare l’esistenza del denunciato vizio senza che il giudice di legittimità debba far ricorso all’esame degli atti. Ciò in quanto, pregiudiziale ad ogni statuizione in ordine alla lamentata omessa o insufficiente motivazione da parte del giudice di appello su una specifica determinata questione, si appalesa l’accertamento della effettiva sottoposizione di tale questione al vaglio del suddetto giudice.

Orbene, nel caso di specie, dal ricorso non risulta, in violazione del suddetto principio di autosufficienza, se la questione suddetta fosse stata sollevata, nei termini sopra indicati, innanzi al giudice di appello, circostanza questa che, connotando la questione di novità, la rende inammissibile in questa sede.

Ed invero la ricorrente, avendo eccepito, in sede di giudizio di legittimità, l’erroneità della decisione della Corte di merito che aveva confermato la statuizione del primo giudice di nullità della sentenza, ed avendo rilevato la mancata valutazione da parte del giudice di appello del contenuto complessivo della sentenza del giudice di primo grado il quale aveva altresì esaminato il merito della domanda, aveva l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, di allegare l’avvenuta deduzione della specifica questione innanzi alla Corte di merito, ed anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di riscontrare la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa, senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.

Anche sotto questo profilo il ricorso va pertanto ritenuto inammissibile.

Nessuna statuizione va adottata in materia di spese, non avendo l’intimato svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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