Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15172 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. I, 31/05/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 31/05/2021), n.15172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11267/2015 proposto da:

Tecnimont s.p.a., nella persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

rilasciata in calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. Roberto

Santucci ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma,

via Tacito, n. 10;

– ricorrente –

contro

Società Immobiliare Novoli s.p.a., nella persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura a

margine del controricorso, dal Prof. Avv. Duccio M. Traina, ed

elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv. Francesco Paoletti,

in Roma, via Maresciallo Pilsudski, n. 118.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di FIRENZE n. 1775/2014,

depositata in data 30 ottobre 2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2021 dal consigliere CARADONNA Lunella.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con lodo arbitrale del 27 febbraio 2012, avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori previsti dal Piano di recupero dell’ex stabilimento Fiat di Novoli, Firenze, la società Immobiliare Novoli era stata condannata, in seguito alla compensazione tra il credito della Immobiliare Novoli con quello di maggior importo riconosciuto alla società Tecnimont, al pagamento della differenza pari ad Euro 10.004.419,97, oltre interessi D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5, comma 1.

2. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 30 ottobre 2014, pronunciando sull’impugnazione proposta dalla Immobiliare Novoli s.p.a., ha dichiarato la parziale nullità del lodo nella parte in cui aveva condannato la Immobiliare Novoli al pagamento della somma di Euro 6.441.248,24 relativa a penali asseritamente dalla stessa trattenute e da restituire e ha accertato che nulla era dovuto per tale titolo; ha dichiarato la parziale nullità del lodo nella parte in cui aveva applicato gli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231 del 2002 e ha disposto che l’applicazione sui crediti oggetto di condanna fosse esclusa con riferimento al contratto “infrastrutture” stipulato in data 14 luglio 1999; ha disposto la correzione dell’errore materiale contenuto nel lodo, alla pag. 46, nel senso che il credito complessivo di Tecnimont per le lavorazioni indicato in Euro 13.395.318,41, andava corretto in Euro 13.365.318,41 e ha compensato tra le parti le spese processuali.

3. La Corte di appello di Firenze, valutando la questione dell’applicabilità al lodo dell’art. 829 c.p.c., come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, nella parte relativa alla impugnabilità del lodo per violazione di norme di diritto sostanziale, ha condiviso i principi dettati in tema di interpretazione costituzionalmente orientata della norma transitoria da questa Corte nelle sentenze 19 aprile 2012, n. 6148 e 3 giugno 2014, n. 12379, rispettivamente in tema di arbitrato internazionale e nazionale, e ha, dunque, affermato che, nella fattispecie in esame, non trovava applicazione l’attuale previsione dell’art. 829 c.p.c., perchè la clausola arbitrale era stata adottata nella vigenza del regime ante riforma, che disponeva l’impugnabilità del lodo per violazione di legge sostanziale da parte degli arbitri, a meno di indicazione contraria.

4. I giudici di secondo grado, esaminando, poi, i motivi dell’impugnazione principale del lodo, per quel che rileva in questa sede, hanno motivato che: non si rinveniva traccia alcuna, negli accertamenti tecnico-contabili esperiti nel corso dell’istruttoria arbitrale e nelle domande e conclusioni formulate da Tecnimont (che non aveva mai sostenuto di avere pagato penali e di pretenderne la restituzione), dell’importo di Euro 6.441.248,24 relativo a penali asseritamente corrisposte dalla società appaltatrice Tecnimont e da restituire; era evidente, che, nella prospettazione delle parti, le penali non costituivano un credito autonomo di Tecnimont che, avendole pagate, aveva diritto alla restituzione, ma una partita contabile, in quanto opposte in compensazione dall’Immobiliare Novoli (che se ne riteneva creditrice) al complessivo importo dovuto a Tecnimont quale corrispettivo dei lavori; l’entità delle penali non era, quindi, da restituire, ma eventualmente da portare in compensazione rispetto al credito da corrispettivo vantato da Tecnimont; gli arbitri avevano, quindi, pronunciato sulla debenza delle penali in assenza di domanda e senza adottare alcuna motivazione in ordine ai criteri utilizzati per determinare ran e il quantum di un credito restitutorio autonomamente riconosciuto, in violazione dell’art. 829 c.p.c., nn. 4, 5 e 9.

5. Ancora sull’esame dell’impugnazione incidentale del lodo proposta da Tecnimont, la Corte di appello rilevava un difetto di motivazione e che la stessa esclusione dell’applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., non costituiva un errore di diritto, ma una valutazione discrezionale degli arbitri che avevano ritenuto non sussistenti i presupposti attraverso un articolato percorso motivazionale che aveva visto nel paragrafo 4) del lodo solo la sintesi, ma che era rinvenibile nel paragrafo 6) in cui venivano riportate tutti i riscontri in tema di ritardi ed inadempienze evidenziati dai consulenti tecnici d’ufficio; in definitiva non era fondato quanto affermato dalla Tecnimont secondo cui il Collegio non si era avveduto dell’inadempimento, in quanto in realtà non lo aveva ritenuto sussistente e che, in ogni caso, eventuali errori nell’accertamento dei fatti o delle risultanze tecniche non potevano essere dedotti come vizio ex art. 829 c.p.c., nè potevano legittimare una rinnovata valutazione delle risultanze istruttorie, atteso lo specifico e analitico ambito di operatività della fase di impugnazione; che nessun difetto di motivazione sussisteva anche con riferimento al motivo formulato dalla Tecnimont sul fatto che il Collegio avesse ritenuto sussistenti vizi che i consulenti tecnici d’ufficio avevano qualificato come non identificabili e non riconducibili a difetti o all’edificio appartenente all’UMI C, perchè anche in questo caso il Collegio aveva analiticamente esaminato la questione, al paragrafo 7), riportando e commentando le risultanze peritali.

6. La Tecnimont s.p.a. ricorre per la cassazione dell’ordinanza con atto affidato a sette motivi.

7. La società ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. In via preliminare va osservato che la società ricorrente ha presentato memoria, con la quale ha dichiarato di rinunciare espressamente al primo motivo di ricorso preso atto di quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenze 9 maggio 2016, nn. 9284, 9285 e 9341.

Questa Corte, invero, ha statuito che, al fine di stabilire l’ammissibilità dell’impugnazione per violazione di diritto, la legge, cui l’art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, deve essere identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicchè, in caso di procedimento arbitrale attivato dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina (2 marzo 2006) – ma in forza di convenzione stipulata anteriormente – nel silenzio delle parti è applicabile l’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, che ammette l’impugnazione del lodo per violazione delle norme inerenti al merito, salvo che le parti stesse abbiano autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o abbiano dichiarato il lodo non impugnabile (Cass., 23 marzo 2021; n. 8090; Cass., 5 giugno 2018, n. 14352; Cass., 13 luglio 2017, n. 17339; Cass., Sez. U., 9 maggio 2016, n. 9284; Cass., 28 ottobre 2015, n. 22007; Cass., 19 gennaio 2015, n. 745; Cass., 18 giugno 2014, n. 13898; Cass., 3 giugno 2014, n. 12379 e Cass., 19 aprile 2012, n. 6148, richiamate anche dalla Corte di appello di Firenze; nonchè per la diversa ipotesi dell’arbitrato societario Cass., Sez. U., 9 maggio 2016, n. 9285).

2. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 112 c.p.c. e art. 829 c.p.c., nn. 4, 5 e 9, avendo errato la Corte di appello nel dare per scontato, e senza alcuna giustificazione o argomentazione, che l’importo dei crediti maturati da essa società fino alla data del 27 marzo 2007, di Euro 14.136.118,79, era comprensivo di Euro 6.633.626,68 per opere eseguite successivamente all’attivazione della clausola risolutiva espressa, mentre il riferimento del lodo alle penali era stato limitato alla compensazione, e ciò anche se il Collegio arbitrale aveva dimenticato che la somma opposta in compensazione da IN era inferiore alla somma dovuta per i lavori successivi all’attivazione delle clausole risolutive.

2.1 Il motivo è infondato perchè la denuncia di nullità del lodo arbitrale, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, per inosservanza delle regole di diritto in iudicando, è ammissibile solo se circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass., 23 marzo 2021, n. 8090, citata; Cass., 31 luglio 2020, n. 16559; Cass., 11 ottobre 2006, n. 21802).

In particolare, la denuncia di nullità del lodo arbitrale postula, in quanto ancorata agli elementi accertati dagli arbitri, l’esplicita allegazione dell’erroneità del canone di diritto applicato rispetto a detti elementi, e non è, pertanto, proponibile in collegamento con la mera deduzione di lacune d’indagine e di motivazione, che potrebbero evidenziare l’inosservanza di legge solo all’esito del riscontro dell’omesso o inadeguato esame di circostanze di carattere decisivo (Cass., 12 novembre 2018, n. 28997; Cass., 12 settembre 2014, n. 19324).

2.2 Inoltre, il motivo, così costruito, è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza, perchè la confutazione della statuizione della Corte di appello avrebbe preteso anche l’esposizione del contenuto del lodo arbitrale, oltre che delle risultanze della consulenza tecnica a cui il lodo stesso sembra fare riferimento, ma la società si è limitata a farne un generico richiamo del tutto del tutto insufficiente a far comprendere portata e obiettivo delle sue censure.

2.3 Mette conto rilevare, inoltre, che il difetto di motivazione (quale vizio riconducibile al vecchio art. 829 c.p.c., n. 4, ora art. 829 c.p.c., n. 5, per carenza del requisito di cui all’art. 823 c.p.c., n. 5, esposizione sommaria dei motivi), è stato ravvisato soltanto nell’ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l’individuazione della “ratio” della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un “iter” argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, sì da risolversi in una non motivazione (Cass., 18 maggio 2018, n. 12321/2018; Cass., 22 marzo 2007, n. 6986).

2.4 Ciò posto, la Corte distrettuale, in applicazione coerente dei principi espressi da questa Corte, ha esaminato la doglianza avente ad oggetto le penali, con le quali era stata denunciata la contraddittorietà della motivazione, escludendone la fondatezza all’esito di un richiamo, nemmeno sintetico, alle argomentazioni svolte dagli arbitri (pagg.13-16 della sentenza impugnata).

Più specificamente, i giudici di secondo grado, hanno affermato che non si rinveniva traccia alcuna, negli accertamenti tecnico-contabili esperiti nel corso dell’istruttoria arbitrale e nelle domande e conclusioni formulate da Tecnimont (che non aveva mai sostenuto di avere pagato penali e di pretenderne la restituzione), dell’importo di Euro 6.441.248,24 relativo a penali asseritamente corrisposte dalla società appaltatrice Tecnimont e da restituire; era evidente, che, nella prospettazione delle parti, le penali non costituivano un credito autonomo di Tecnimont che, avendole pagate, aveva diritto alla restituzione, ma una partita contabile, in quanto opposte in compensazione dall’Immobiliare Novoli (che se ne riteneva creditrice) al complessivo importo dovuto a Tecnimont quale corrispettivo dei lavori; l’entità delle penali non era, quindi, da restituire, ma eventualmente da portare in compensazione rispetto al credito da corrispettivo vantato da Tecnimont; gli arbitri avevano, quindi, pronunciato sulla debenza delle penali in assenza di domanda e senza adottare alcuna motivazione in ordine ai criteri utilizzati per determinare l’an e il quantum di un credito restitutorio autonomamente riconosciuto, in violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 4, 5 e 9.

3. Con il terzo e il quarto motivo la società ricorrente deduce l’omesso esame decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., dell’art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo la Corte di appello errato nell’affermare sufficientemente motivato il rigetto della domanda di risarcimento da parte del Collegio arbitrale richiamando i paragrafi 4 e 6 del lodo, paragrafi tuttavia dove era stato affrontato il problema della responsabilità dei ritardi, ma solo nella prospettiva delle pretese di IN, mentre la effettiva motivazione sulla domanda di risarcimento danni da essa società avanzata era contenuta a pag. 106 del lodo, dove il Collegio arbitrale aveva affermato, con motivazione in realtà assente, che non aveva ravvisato nella condotta della committente alcun genere di inadempimento ulteriore rispetto al riardo nel pagamento dei crediti spettanti a TM.

3.1 I motivi, che sono stati formulati unitariamente dalla stessa società ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, sono inammissibili sotto plurimi profili.

3.2 Ed infatti, premessa l’inammissibilità dei motivi, così come formulati mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), deve evidenziarsi la sussistenza di un ulteriore duplice rilievo di inammissibilità sia in relazione al vizio motivazionale dedotto, sia avuto riguardo al principio di autosufficienza.

3.3 Si legge, nella sentenza impugnata, alle pagine 16 e 17, che la società Tecnimont, con il quesito n. 5, denunciando il vizio del lodo ex art. 829 c.p.c., n. 5, e art. 823 c.p.c., comma 1, n. 5, aveva chiesto il risarcimento del danno contrattuale indicato in Euro 20.080.151,04, per effetto di molteplici comportamenti inadempienti dell’Immobiliare Novoli e che su tale domanda il Collegio arbitrale avrebbe risposto solamente di non avere ravvisato inadempimento e aveva accolto parzialmente la domanda riconvenzionale dell’Immobiliare Novoli in relazione agli asseriti vizi dell’UMIC in totale assenza di motivazione.

3.4 La società ricorrente, quindi, già in sede di impugnazione del lodo, non aveva denunciato specifiche violazioni e/o false applicazioni di legge, ma un difetto di motivazione in cui sarebbero incorsi gli arbitri nel decidere sulla domanda formulata di risarcimento del danno contrattuale, contrariamente al principio richiamato, secondo cui il difetto di motivazione sussiste soltanto nell’ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l’individuazione della “ratio” della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un “iter” argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, sì da risolversi in una non motivazione (Cass., 18 maggio 2018, n. 12321/2018; Cass., 22marzo 2007, n. 6986).

Mentre, leggendo il quesito n. 5, oggetto dell’impugnazione incidentale proposta dalla società Tecnimont in sede di appello, sembra evidente la correttezza della motivazione della Corte territoriale sulla esclusione del difetto di motivazione e dell’applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., riconducibile ad una valutazione discrezionale degli arbitri che avevano ritenuto insussistenti i presupporti attraverso un articolato percorso motivazionale che aveva visto nel paragrafo 4) del lodo riportata la sintesi, ma che era rinvenibile nel paragrafo 6) in cui erano stati indicati i riscontri in tema di ritardi ed inadempienze evidenziati dal consulente tecnico d’ufficio e che, in conclusione, non era vero che il Collegio non si era avveduto dell’inadempimento, ma che in realtà lo aveva ritenuto insussistente (pag. 17 del provvedimento impugnato).

3.5 Il motivo, poi, è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza, perchè la confutazione della statuizione della Corte di appello, ancora una volta, avrebbe preteso l’esposizione del contenuto del lodo arbitrale avverso il quale le censure erano dirette.

4. Con il quinto motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., poichè la Corte di appello non si era pronunciato sulla questione della legittimità ex fide bona della attivazione delle penali, pur essendone stata investita, e l’unico riferimento alla violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., operato dalla Corte territoriale, era contenuto a pag. 17 della sentenza, ma riferito al tema della violazione della buona fede rispetto al risarcimento dei danni ed era, comunque, del tutto insufficiente, posto che si era limitata a rinviare al paragrafo 6 del lodo che non aveva minimamente accennato al tema del venire contra factum proprium di IN.

5. Con il sesto motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., avendo la Corte di appello affermato che il lodo fosse adeguatamente motivato, mentre il Collegio arbitrale non aveva minimamente discusso le obiezioni della difesa sulla violazione da parte di IN del dovere di collaborazione gravante sul committente e fondato sugli artt. 1175 e 1375 c.c. e sulla funzione “limitativa” della buona fede, limitandosi a richiamare il principio dell’art. 1668 c.c..

5.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono inammissibili.

5.2 La società ricorrente assume di avere richiesto l’annullamento parziale del lodo anche in relazione al “problema della scorrettezza di IN rispetto all’attivazione delle clausole penali” (pag. 26 del ricorso) e che la Corte di appello era stata investita della “questione”, che aveva determinato una precisa richiesta di Tecnimont di annullare il lodo nella parte relativa e di condannare IN al pagamento di Euro 15.958.702,21, a titolo di corrispettivo (pag. 27 del ricorso), ma la Corte di appello nulla aveva argomentato sul comportamento di IN che costituiva a parere della Tecnimont un venire contra factum proprium, ovvero la violazione della buona fede contrattuale.

Inoltre, la società ricorrente si lamenta del fatto che il Collegio arbitrale non aveva discusso le obiezioni sulla violazione del principio generale della buona fede che vieta alla parte di un contratto di comportarsi in modo tale da aggravare in modo ingiustificato la prestazione dell’altra, e che anche la Corte di appello si era limitata ad affermare che il lodo fosse adeguatamente motivato.

5.3 Tanto premesso, senza prescindere dalla motivazione espressa a pag. 17 della sentenza impugnata, laddove la Corte, peraltro con una ratio decidendi che non è stata minimamente censurata dalla società ricorrente, ha affermato che l’esclusione dell’applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. non costituiva un errore di diritto, ma piuttosto una valutazione discrezionale degli arbitri per le motivazioni spiegate al paragrafo 6) del lodo, va rilevato il difetto di specificità dei motivi di impugnazione del lodo.

5.4 Nel giudizio, a critica vincolata e proponibile entro i limiti stabiliti dall’art. 829 c.p.c., di impugnazione per nullità del lodo arbitrale vige la regola della specificità della formulazione dei motivi, attesa la sua natura rescindente e la necessità di consentire al giudice, ed alla controparte, di verificare se le contestazioni proposte corrispondano esattamente a quelle formulabili alla stregua della suddetta norma (Cass., 30 novembre 2020, n. 27321).

Va ribadito, infatti, che in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, questa Corte non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e, ove ancora ammessi, alla congruità della motivazione della sentenza resa sul gravame, non potendo peraltro sostituire il suo giudizio a quello espresso dalla Corte di merito sulla correttezza della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (Cass., 7 febbraio 2018, n. 2985).

Nel caso in esame, la società ricorrente non illustra in modo compiuto se e dove abbia posto alla Corte di appello la questione della violazione della buona fede contrattuale, avuto riguardo alla specifica prospettazione della stessa come “venire contra factum proprium”, o “come violazione alla parte di un contratto di non comportarsi in modo da aggravare la prestazione dell’altra in modo ingiustificato”, al fine di consentire a questa Corte di verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi di impugnabilità stabiliti dalla norma di cui all’art. 829 c.p.c..

5.5 Nè rileva un difetto di motivazione, perchè, per quanto già detto, il difetto di motivazione sussiste soltanto nell’ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l’individuazione della “ratio” della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un “iter” argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, sì da risolversi in una non motivazione (Cass., 18 maggio 2018, n. 12321/2018; Cass., 22marzo 2007, n. 6986).

6. Con il settimo motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in presenza di un errore di interpretazione del testo della perizia da parte del Collegio arbitrale, che aveva fatto riferimento ad un’asserzione dei CTU inesistente, con la conseguenza che nel lodo non vi era motivazione sul punto e la Corte di appello, richiamando il paragrafo 7 del lodo, invece di ricercare la motivazione della decisione, si era limitata a verificare l’esistenza di un accenno al problema.

La società ricorrente afferma che il Collegio arbitrale aveva ritenuto legittime le ritenute in garanzia non solo rispetto ai vizi sub a) e sub b1), ma anche rispetto a quelli sub2) e che la Corte di appello aveva rilevato che la motivazione della decisione era contenuta nel paragrafo 7) del lodo (pp. 87-104), mentre nel paragrafo 7) del lodo l’unico riferimento era presente a pag. 93 del lodo, dove il Collegio aveva ritenuto di riconoscere il diritto di IN di trattenere in garanzia sia le somme “per interventi “collegati” agli appartamenti cui tale fatture si riferiscono (sub a e b1), sia quelle per “interventi non chiaramente “collegati” agli appartamento cui tali fatture si riferiscono, ma in ogni caso riferibili, pur se genericamente, a carenze o difetti dell’intero edificio sub2″.

In particolare, il Collegio aveva inteso in modo errato la distinzione operata dai CTU rispetto alle fatture sub b2), ricomprendendo dentro questa categoria le fatture riconducibili agli appartamenti o agli edifici, ma non ai vizi.

6.1 Il motivo è inammissibile, poichè viene in rilievo una critica attinente al merito della controversia, come tale inammissibile.

6.2 Si osserva anzitutto che la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Cassazione, 28 febbraio 2018, n. 4699; Cass., 11 ottobre 2016, n. 20382).

Tanto premesso, nel caso di specie, la Corte distrettuale ha escluso che rispetto a una simile statuizione sussisteva un vizio di mancanza della motivazione, poichè il Collegio al paragrafo 7) del lodo e per molte pagine aveva esaminato analiticamente la questione, riportando e commentando le risultanze peritali (neanche in questa sede trascritte dalla società ricorrente) e che non vi era alcun difetto di motivazione, ma scelte discrezionali immuni da evidenti vizi logici.

La censura della società ricorrente, dunque, lungi dal denunciare il difetto di motivazione, investe invece il merito della lite e risulta di conseguenza inammissibile, non potendo essere ricondotta alle ipotesi di impugnazione per nullità del lodo prevista dall’art. 829 c.p.c..

7. Per quanto esposto, il ricorso va rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n.30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, del 2002, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

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