Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15172 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11226/2018 proposto da:

FORTORE ENERGIA S.P.A., con sede legale in Lucera (FG) alla S.S. 17,

km 327 – Loc. Perazzo (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore Dott. S.A., nato a (OMISSIS)

(C.F.: (OMISSIS)), e FORTORE WIND S.P.A. (già Fortore Wind s.r.l.),

con sede legale in Lucera (FG) alla S.S. 17, km 327 -Loc. Perazzo

(C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore

F.M., nato a (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente

domiciliati in Roma, alla Via Panaro n. 25, presso lo studio

dell’Avv. Visco Francesco, rappresentate e difese dall’Avv. De

Michele Vincenzo del Foro di Foggia (C.F.: (OMISSIS)), giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE ROCCHETTA SANT’ANTONIO (FG; C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Sindaco pro tempore Dott. P.G.V.F.,

rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv.

Trovato Sergio Alvaro del Foro di Velletri (C.F.: (OMISSIS)) e

dall’Avv. Cannas Luciana (C.F.: (OMISSIS)), presso il cui studio in

Roma, alla Via Sestio Calvino n. 33, è elettivamente domiciliato,

in virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2935/2017 emessa dalla CTR Puglia in data

03/10/2017 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. Penta Andrea;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott. Salzano

Francesco nel senso del rigetto del ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dai difensore della ricorrente, Avv.

Visco Francesco, per delega dell’Avv. De Michele Vincenzo, e del

resistente, Avv. Cannas Luciana.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Ufficio Tributi del Comune di Rocchetta Sant’Antonio (FG) notificava nei confronti delle società Fortore Energia” s.p.a. (quale cedente dell’azienda) e Fortore Wind s.r.l. (quale cessionaria) avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, relativamente all’anno 2007, chiedeva il pagamento dell’imposta ICI non versata, facendo riferimento al criterio del c.d. valore contabile (giacchè le società, nell’annualità d’imposta interessata dall’azione accertatrice, non avevano presentato domanda di classamento catastale), avendo ricavato tale valore dagli importi esposti nei bilanci societari depositati presso la c.c.I.A.A. di Foggia.

Avverso tali atti proponevano distinti e separati ricorsi le società innanzi citate, le quali concludevano chiedendo, in via preliminare, dell’annullamento dell’atto impugnato, perchè ritenuto infondato e illegittimo; in via del tutto subordinata, la rideterminazione della base, imponibile ai fini dell’attribuzione della rendita catastale, ad esclusione delle sanzioni, stante le obiettive condizioni di incertezza dell’intero comparto normativo in tema di imponibilità I.C.I. degli impianti eolici. Si costituivano in giudizio l’ente locale impositore e l’Agenzia del Territorio, i quali chiedevano, il primo, dichiararsi la legittimità della pretesa fiscale e, la seconda, la inammissibilità del ricorso proposto nei suoi confronti dalla società “Fortore Energia” s.p.a. per non aver emesso alcun atto relativo alle operazioni catastali di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 3.

La Commissione Tributaria Provinciale di Foggia, previa unione dei ricorsi per connessione oggettiva, con sentenza n. 627 del 27 febbraio 2014, determinava in Euro 16.146,00 l’imposta I.C.I. da pagare, oltre sanzioni ed interessi, e compensava le spese di giudizio.

Avverso tale sentenza proponeva appello principale l’ente locale impositore, il quale chiedeva la riforma dell’operato del primo giudice per aver determinato l’imposta da pagare utilizzando un criterio inesistente e, quindi, di riconoscere come legittimo quello utilizzato dallo stesso per la determinazione della rendita catastale.

Resistevano con controdeduzioni e contestuale appello incidentale le società “Fortore Energia” s.p.a. e “Fortore Wind” s.r.l.. In particolare, mentre la prima insisteva in via preliminare nel volersi dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento oggetto di contestazione e, in via subordinata, per la rideterminazione del quantum della maggiore imposta presuntivamente evasa senza l’applicazione di nessuna sanzione, la seconda insisteva principalmente sulla mancanza del presupposto soggettivo della stessa (dal momento che, nell’anno 2007, non aveva posseduto alcun immobile, essendosi costituita in data 3/6/2009) e, in subordine, invocava l’attribuzione della rendita catastale all’intero parco eolico nella misura come determinata da perizia.

Con sentenza del 3.10.2017 la CTR Puglia accoglieva l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) trattandosi di immobili non ancora accatastati, il criterio da adottare per la determinazione della rendita catastale era quello espressamente previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, il quale disponeva, per le società locatarie possessori di immobili non iscritti in catasto, che il valore per la determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta comunale era determinato sulla base delle scritture contabile del locatore, il quale, a sua volta, era obbligato a fornire tempestivamente al locatario tutti i dati necessari per il calcolo della rendita catastale;

2) non avendo la società locataria Fortore Energia s.p.a., al momento della realizzazione del parco eolico nel territorio del Comune di Rocchetta Sant’Antonio, proceduto all’accatastamento dello stesso, in conformità con quanto previsto dal citato D.Lgs., art. 5, comma 3, , legittimamente l’Ufficio Tributi dell’Ente locale impositore aveva determinato la base imponibile ai fini della rendita catastale facendo riferimento al c.d. “criterio contabile”;

3) in base al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, commi 1 e 2, in tema di cessione di azienda, il cessionario era responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo di azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui era avvenuta la cessione e nei due precedenti;

4) pertanto, la società “Fortore Wind” s.r.l. era tenuta alla corresponsione dell’imposta tenuto conto della nota n. 5326 del 21/5/2010 inviata alla stessa con la quale il Comune di Rocchetta Sant’Antonio l’aveva invitata alla regolarizzazione della situazione catastale essendo divenuta titolare della centrale eolica di n. 13 aerogeneratori realizzata dalla società “La Fortore Energia” s.p.a.;

5) quanto alle sanzioni, non era ravvisabile alcuna impossibilità di individuare la norma giuridica applicabile al caso concreto, la quale di contro era facilmente rinvenibile nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso la Fortore Wind s.p.a. e la Fortore Energia s.p.a., sulla base di cinque motivi.

Il Comune di Rocchetta Sant’Antonio ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza pubblica, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa con la quale, oltre a prendere posizione sulle eccezioni preliminari sollevate da controparte, ha sollecitato questa Corte ad operare rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, sospendendo nel frattempo il presente giudizio.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 31 e 61 e art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR omesso di rilevare che la Fortore Energia s.p.a. non era stata posta nelle condizioni di prendere parte all’udienza di merito dinanzi alla CTR a causa della omessa notifica dell’avviso di trattazione, con conseguente nullità della sentenza di secondo grado per violazione del diritto di difesa.

1.1. Il motivo è fondato.

Nel processo tributario, la comunicazione della data di udienza, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31, applicabile anche ai giudizi di appello in relazione al richiamo operato dall’art. 61 del medesimo decreto, adempie ad un’essenziale funzione di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, sicchè l’omessa comunicazione alle parti, almeno trenta giorni prima, dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione, determina la nullità della decisione (nel caso di specie, peraltro, limitatamente alla posizione della Fortore Energia s.p.a.) comunque pronunciata (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18279 del 11/07/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1786 del 29/01/2016).

Tuttavia, alla cassazione della detta decisione può seguire la decisione della causa nel merito da parte della Suprema Corte, ove non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto e debba essere risolta una questione di mero diritto (Sez. 5, Ordinanza n. 27837 del 31/10/2018). Pertanto, vanno analizzati i restanti motivi del gravame.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, della direttiva 2001/77/CE e artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR escluso che l’impianto eolico fosse accatastabile nella categoria E, anzichè in quella D/1, e che gli stessi avessero un carattere di pubblico interesse e di pubblica utilità.

2.1. Il motivo, anche a voler prescindere dalla sua inammissibilità, per essere state indicate in rubrica disposizioni normative, asseritamente violate, non pertinenti rispetto al profilo censurato (concernente il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1), è infondato.

L’orientamento di questa Corte, dal quale non vi è ragione per discostarsi, è consolidato (Sez. 5, Sentenza n. 4028 del 14/03/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 24815 del 21/11/2014) nel senso che i parchi eolici, in quanto costituiscono centrali elettriche, rispetto alle quali il sistema normativo non offre indicazioni che ne giustifichino un trattamento differenziato, sono accatastabili nella categoria “D/1-Opificio” e le pale eoliche debbono essere computate ai fini della determinazione della rendita.

Ai soli fini del riparto di giurisdizione, Sez. U, Ordinanza n. 18165 del 24/07/2017 hanno statuito che, in tema di energia, la realizzazione di un parco eolico, che attiene alla produzione di energia elettrica ed al suo trasporto nella rete nazionale, costituisce un intervento di interesse pubblico, sicchè ricadono nella giurisdizione esclusiva amministrativa gli atti del gestore di tale servizio funzionali alla sua costituzione ed alla determinazione delle sue modalità di esercizio e, conseguentemente, le domande del proprietario confinante, aventi ad oggetto la collocazione delle pale eoliche e le immissioni da esse provocate.

In base alla circolare n. 14 emessa dall’agenzia del Territorio in data 22 novembre 2007, non è revocabile in dubbio che un impianto eolico sia sottoposto all’obbligo della dichiarazione catastale, in quanto trova piena applicazione il D.M. 2 gennaio 1998, n. 28l, art. 2 – Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale.

In particolare, tale decreto, nel delineare i criteri utili per l’individuazione delle unità immobiliari urbane, all’art. 2, comma 3, ha evidenziato come siano da considerare tali “… anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonchè gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purchè risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorchè semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale”.

Orbene, la categoria catastale, in base alle disposizioni di settore, va individuata tenendo in considerazione la destinazione d’uso e la compatibilità con le caratteristiche intrinseche dell’immobile di cui si discute. L’impianto eolico è indubbiamente un opificio, in quanto è destinato alla produzione di energia, e come tale, allo stesso deve essere attribuita la categoria D/1 – Opifici.

Irrilevanti, sotto il profilo catastale, appaiono le considerazioni sulla finalità dei manufatti in esame e sulla circostanza che lo Stato, le Regioni e perfino l’Unione Europea ne incentivino la costruzione.

Nelle circolari n. 4 del 16 maggio 2006 e n. 4 del 13 aprile 2007, cui si rimanda, è ampiamente documentata l’autonomia dell’ordinamento catastale, rispetto a quelli di altri settori. Pare opportuno, sotto tale profilo, richiamare, a mero titolo esemplificativo, la sentenza di questa Corte n. 11369 del 22 luglio 2003, in tema di classamento di beni immobili sottoposti al vincolo storico-culturale, nella quale è ribadita l’indipendenza del classamento da ogni vincolo amministrativo o legislativo non dettante disposizioni in materia di catasto.

2.2. Del resto, già in passato è stato chiarito (Sez. 5, Sentenza n. 12741 del 23/05/2018) che, in tema di classamento di immobili, un impianto (nella specie si trattava di una discarica pubblica oggetto di sfruttamento economico per la gestione di rifiuti solidi urbani e la captazione di biogas) connotato da autonomia funzionale e reddituale costituisce un’unità immobiliare urbana soggetta ad accatastamento e rientra nella categoria D/7 – non in quella residuale E, concernente gli immobili a particolare destinazione pubblica -, in quanto svolge attività industriale secondo parametri economico-imprenditoriali, senza che assuma rilevanza l’eventuale destinazione dell’immobile anche ad attività di pubblico interesse.

Applicando lo stesso criterio, si è affermato (Sez. 5, Ordinanza n. 5070 del 21/02/2019) che gli impianti di risalita al servizio di piste sciistiche, come le sciovie, le funivie e le seggiovie, possono essere classificati come “mezzi pubblici di trasporto”, con il conseguente accatastamento nella categoria catastale E, ove, pur soddisfacendo un interesse commerciale, siano destinati prevalentemente, sul piano funzionale, alle esigenze di mobilità generale della collettività.

Ugualmente, è stato escluso che gli immobili costituenti un terminal portuale adibito al deposito e alla movimentazione di merce, oggetto di concessione demaniale marittima, fossero compresi in categoria E/1 e fossero perciò soggetti all’esenzione ICI di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. b, evidenziandosi che l’imposizione ICI sulle aree portuali è fondata sul criterio della funzione (attività libero-imprenditoriale) e non sul criterio di ubicazione, con la conseguenza che il censimento catastale delle stesse impone l’accertamento non già della loro localizzazione, bensì dell’esercizio dell’attività secondo parametri imprenditoriali, restando invece irrilevante l’interesse pubblico al suo svolgimento (Sez. 5, Sentenza n. 23067 del 17/09/2019).

Queste pronunce si pongono in linea con l’indirizzo consolidato di questa Corte in tema di esenzione (Sez. 5, Sentenza n. 8450 del 22/04/2005; conf. Sez. 5, Sentenza n. 24593 del 03/12/2010), secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. a), ne stabilisce l’esenzione per gli immobili posseduti dallo Stato e da altri enti pubblici ivi elencati, purchè “destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”, condizione il cui onere della prova incombe, secondo i principi generali, al contribuente che richieda il beneficio. E’, peraltro, errato identificare il concetto di “finalità istituzionali”, che sono proprie dell’ente locale e che costituiscono la ragion d’essere dello stesso, con quello di “servizio pubblico”, che può essere svolto anche per tramite di altri soggetti di natura privata, quali le aziende municipalizzate o altri enti o società che (come nel caso di specie) forniscono energia elettrica. Dette forniture, sia pure costituenti servizi per il pubblico, non possono essere ricomprese tra i compiti istituzionali che hanno una propria differenziata connotazione e le imprese che le assicurano, quali esercenti attività commerciali, non hanno ragione di godere esenzioni.

D’altra parte, come chiarito da Sez. 5, Sentenza n. 2621 del 11/02/2015, nel quadro normativo delineato dalla Direttiva Comunitaria 2001/77/CE del 27 settembre 2001, attuata con D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, ed abrogata dalla Direttiva Comunitaria 2009/28/CE del 23 aprile 2009, a sua volta attuata con D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, il quale prevede un regime di sostegno per lo sviluppo di energia elettrica da fonti rinnovabili, non emerge alcuna specificità dell’accatastamento degli impianti ovvero di esenzioni o riduzioni in materia di imposta comunale sugli immobili (ICI). 3. Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR erroneamente, a loro dire, applicato, al fine di determinare la rendita catastale dell’impianto eolico, il metodo contabile, in luogo del criterio reddituale.

3.1. Il motivo è infondato.

Avuto riguardo alla questione concernente l’applicabilità del cd. valore contabile (o “valore di libro”) all’impianto eolico, va evidenziato che alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 244, (secondo cui “Nelle more dell’attuazione delle disposizioni relative alla revisione della disciplina del sistema estimativo del catasto dei fabbricati, di cui alla L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 2, ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni, si applica secondo le istruzioni di cui alla circolare dell’Agenzia del territorio n. 6/2012 del 30 novembre 2012, concernente la “Determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare: profili tecnico-estimativi””), in assenza di una inequivoca disposizione che le attribuisca portata meramente interpretativa, può riconoscersi non un’efficacia retroattiva (avuto riguardo ad accertamenti compiuti, come quello in esame – che risale al 2007 -, in epoca anteriore), ma, a tutto concedere, una valenza di mero parametro di riferimento. L’entrata in vigore del provvedimento (legge di stabilità per l’anno 2015) era, infatti, prevista con decorrenza dall’1/1/2015, ad eccezione della disposizione di cui al comma 16 che è entrato in vigore l’1/7/2015, delle disposizioni di cui ai commi 281, 282, 283, 396, 408, 409, 410, 411, 412, 413, 487, 513, 514, 515, 516, 517, 518, 519, 520, 521, 522, 523 che sono entrate in vigore il 29/12/2014, del comma 503 che è entrato in vigore il 29/12/2014 e dei commi 692, 693, 694, 695, 696, 697, 698, 699 e 700 che sono entrati in vigore il 30/12/2014.

In quest’ottica, alla fattispecie in oggetto (riferentesi all’annualità 2007) è applicabile il principio (Sez. 5, Sentenza n. 4028 del 14/03/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 24815 del 21/11/2014) secondo cui i parchi eolici, in quanto costituiscono centrali elettriche, rispetto alle quali il sistema normativo non offre indicazioni che ne giustifichino un trattamento differenziato, sono accatastabili nella categoria “D/1-Opificio” e le pale eoliche debbono essere computate ai fini della determinazione della rendita, come lo sono le turbine di una centrale idroelettrica, poichè anch’esse costituiscono una componente strutturale ed essenziale della centrale stessa, sicchè questa senza quelle non potrebbe più essere qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione complessiva ed unitaria ed incompleta nella sua struttura. E quello in base al quale, in tema di attribuzione della rendita catastale ad una centrale elettrica eolica (assegnata, nella specie, alla categoria D/1), il D.Lgs. 3 marzo 2001, n. 28, attuativo della Direttiva Comunitaria 2009/28/CE, pur delineando un quadro normativo di sostegno alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, non prevede regole specifiche per l’accatastamento degli impianti, nè esenzioni o riduzioni in materia di ICI, senza che l’assenza di una simile previsione possa ritenersi in contrasto con i principi comunitari, in quanto la determinazione della rendita catastale non costituisce un’imposta, nè un presupposto d’imposta (v. Sez. 6 – 5, Sentenza n. 3354 del 19/02/2015).

Da ciò consegue che anche l’impianto eolico complessivamente inteso era soggetto all’accatastamento, non potendo a tal fine reputarsi sufficiente l’accatastamento dei suoi vari elementi (in primis degli aerogeneratori), peraltro effettuato dalla società solo nel 2013 (cfr. nota a pag. 4 del ricorso).

3.2. In termini generali, in tema di ICI e con riferimento alla base imponibile dei fabbricati non iscritti in catasto, posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, ha previsto, fino alla attribuzione della rendita catastale, un metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili. Pertanto, fino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, il proprietario del fabbricato di categoria D è tenuto ad applicare il regime del valore contabile (Sez. 5, Sentenza n. 13077 del 17/06/2005; Sez. U, Sentenza n. 3160 del 09/02/2011).

La pronuncia a Sezioni Unite del 2011, nel dirimere il contrasto che era insorto, ha aderito alla impostazione in precedenza propugnata da Sez. 5, Sentenza n. 24235 del 30/12/2004, secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI) relativa a fabbricato classificabile nel gruppo catastale D, non ancora iscritto in catasto, interamente posseduto da impresa e distintamente contabilizzato, la base imponibile fosse costituita dal valore determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, con l’applicazione dei coefficienti fissati per ogni anno, a partire dal 1993, mentre del tutto estranea a tale disciplina fosse la disposizione contenuta nel citato art. 5, comma 4; pertanto il provvedimento di attribuzione della rendita catastale all’immobile, che ha natura costitutiva e non dichiarativa, non ha efficacia retroattiva e non si applica per i periodi di imposta precedenti alla attribuzione della rendita, in relazione ai quali trova applicazione solo il criterio del “valore contabilizzato”, ossia fissato sulla base dei costi contabili.

Rappresenta, in particolare, ormai un principio acquisito quello per cui, in tema di ICI e con riferimento a fabbricati non iscritti in catasto, posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, ha previsto, fino alla attribuzione della rendita catastale, un metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili; pertanto, fino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, il proprietario del fabbricato di categoria D è tenuto ad applicare il regime del valore contabile, mentre dal momento in cui fa la richiesta egli, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova, derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può avere il dovere di pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tal senso) o il diritto di pagare una somma minore e chiedere il relativo rimborso nei termini di legge (Sez. 5, Sentenza n. 5933 del 11/03/2010; conf. Sez. 5, Sentenza n. 12753 del 06/06/2014).

Da ciò consegue che, se da un lato il legislatore, ai fini del pagamento dell’ICI, ha tendenzialmente inteso valorizzare le risultanze catastali per il calcolo dell’imposta sia per i fabbricati iscritti che per quelli non iscritti in catasto, per quelli appartenenti alla categoria “D”, se posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, ha previsto, fino all’attribuzione della rendita catastale, il metodo della determinazione della base imponibile collegato alle scritture contabili.

3.3. Per quanto concerne l’asserita violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, la ricorrente sostiene che a) non sussisterebbe un obbligo, a carico del locatario di una leasing di godimento, di richiedere ed acquisire i dati contabili dal locatore e b) nel caso di violazione di siffatto obbligo, non sorgerebbe quello sussidiario di determinare la base imponibile alla luce delle risultanze delle scritture contabili del locatario.

La doglianza è infondata, sebbene la sentenza, conforme al diritto quanto al dispositivo, debba essere corretta quanto alla motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Nel caso in cui, in relazione agli impianti e agli immobili serventi rispetto ad una centrale di produzione idroelettrica, non risulti proposta alcuna rendita catastale, il criterio utilizzabile per determinare la base imponibile è quello fondato sul valore di bilancio (del cosiddetto “valore di libro”), ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, e, solo in subordine, nel caso di omessa produzione della documentazione contabile richiesta dall’amministrazione comunale, il valore deve essere determinato con riferimento alla rendita di fabbricati similari già iscritti in catasto, ma sempre che l’annualità in contestazione sia anteriore al 2006, atteso che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 4 (che prevedeva questo criterio sussidiario) è stato abrogato dalla legge finanziaria n. 296 del 2006 (cfr., in tal senso, con riferimento agli impianti e agli immobili serventi rispetto ad una centrale di produzione idroelettrica, Sez. 5, Sentenza n. 10125 del 11/04/2019).

Pertanto, premesso che nel caso di specie l’annualità oggetto di accertamento è quella del 2007 (e, quindi, successiva all’abrogazione del menzionato comma 4), trovava applicazione in via esclusiva l’ultimo periodo del comma 3, a tenore del quale “in mancanza di rendita proposta il valore è determinato sulla base delle scritture contabili del locatore, il quale è obbligato a fornire tempestivamente al locatario tutti i dati necessari per il calcolo”.

Da ciò consegue che, per quanto la locataria non avesse l’obbligo di richiedere alla locatrice la documentazione contabile (peraltro, in ordine a tale specifico profilo, è a rimarcarsi che la CTR non ha posto a carico della locataria un vero e proprio obbligo, ma espressamente un mero “onere” di chiedere alla concedente le scritture contabili), non avendo quest’ultima riscontrato la richiesta del Comune, il calcolo della base imponibile doveva avvenire secondo il principio generale di cui al comma 3.

3.4. L’intervenuta abrogazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 4 porta con sè il superamento della connessa questione avente ad oggetto la distinta contabilizzazione dei costi, che in passato era stata risolta da questa Corte nei termini che seguono:

In tema di ICI e con riferimento alla determinazione della base imponibile, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 2, fornisce un criterio generale relativo all’ipotesi ordinaria di fabbricati iscritti in catasto e forniti di rendita catastale. Per le ipotesi in cui tali condizioni non si realizzano, il comma 3 dello stesso articolo fornisce un criterio specifico per i soli fabbricati classificabili nella categoria D, non iscritti in catasto, subordinandone però l’applicabilità alla presenza di due ulteriori requisiti, e cioè che essi: a) siano interamente posseduti da imprese; b) siano “distintamente contabilizzati”. Per tutte le altre ipotesi il successivo comma 4 fissa un criterio sussidiario, di carattere generale, fondato sulla rendita dei fabbricati similari, che, proprio in virtù della sua generalità, è applicabile anche ai fabbricati classificabili in cat. D “diversi da quelli indicati nel comma 3”, dovendosi intendere per tali quelli che non presentino gli ulteriori requisiti suindicati (Sez. 5, Sentenza n. 16916 del 16/08/2005; conf. Sez. 5, Sentenza n. 9385 del 21/04/2009).

3.5. Avuto riguardo al profilo dei costi (pagg. 15-17 del ricorso), il motivo difetta di autosufficienza, atteso che la ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi essenziali, l’avviso di accertamento impugnato.

Ciò va ribadito anche con riferimento alla censura concernente la relazione di stima (commissionata, peraltro, dalla stessa società contribuente), sulla cui base, applicando il criterio contabile, il Comune ha determinato la base imponibile. Invero, in mancanza della trascrizione, almeno nei suoi passaggi maggiormente significativi, della perizia giurata, questa Corte si trova nell’impossibilità di verificare la fondatezza della doglianza, vale a dire se il costo annovera anche oneri e spese che non hanno pertinenza con l’entità materiale (aerogeneratore) da assoggettare a tassazione e se la metodologia induttiva di accertamento applicata si fonda su una presumptio de presumpto.

A ben vedere, il motivo, piuttosto che denunciare un vizio di violazione di legge, sollecita una rivalutazione complessiva delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede.

La ricorrente avrebbe potuto, semmai, censurare la sentenza sul piano motivazionale,, fermo restando che nella specie dovrebbe escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, figure – queste – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830), mentre non risulta dedotto il vizio di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo), non avendo parte ricorrente indicato – come era suo onere – il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” (testuale o extratestuale) da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti nonchè la sua “decisività”. Senza tralasciare che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

4. Con il quarto motivo le ricorrenti si dolgono della la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ravvisato l’esistenza di un vincolo di solidarietà tributaria tra le società conferente e la società conferitaria del campo eolico, nonostante il Comune non avesse notificato alcun atto di accertamento e/o di irrogazione di sanzioni prima dell’atto di conferimento di ramo d’azienda del 30.6.2009.

4.1. Il motivo è infondato.

Il motivo è infondato.

In tema di riscossione dei tributi, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, commi 1, 2 e 3, relativo alla cessione di azienda conforme a legge, è norma speciale rispetto all’art. 2560 c.c., comma 2, che, per evitare che sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico, estende la responsabilità solidale e sussidiaria del concessionario anche alle imposte ed alle sanzioni riferibili alle violazioni commesse dal cedente nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonchè alle imposte ed alle sanzioni già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore, sempre che risultino dagli atti dell’Ufficio (Sez. 5, Sentenza n. 17264 del 13/07/2017).

In particolare, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, introducendo misure antielusive a tutela dei crediti tributari, è norma speciale rispetto all’art. 2560 c.c., comma 2, diretta ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico. Ne consegue che, nell’ipotesi di cessione conforme a legge (commi 1, 2 e 3) ed in base ad un criterio incentivante volto a premiare la diligenza nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, la responsabilità ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata nel quantum (entro il valore della cessione) e nell’oggetto, con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9219 del 10/04/2017; Sez. 5, Sentenza n. 5979 del 14/03/2014).

Orbene, premesso che è incontestato che la cessione del ramo d’azienda sia avvenuta, nel caso di specie, il 30.6.2009 e che il Comune abbia inviato in data 21.5.2010 alla cessionaria d’azienda la nota con la quale la invitava a regolarizzare la situazione contabile (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), in base al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 2, “L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza”.

La tesi difensiva delle ricorrenti, secondo cui il Comune avrebbe dovuto notificare, “prima dell’atto di conferimento” d’azienda, appositi atti di contestazione e/o di irrogazione di sanzioni per omessa dichiarazione ed omesso versamento per gli anni antecedenti la data di conferimento, è errata, atteso che, ai fini della solidarietà del debito tributario, è sufficiente, come visto, che il debito, alla data di cessione dell’azienda, fosse risultante dagli atti in possesso dell’ufficio impositore. Del resto, in base al citato art. 14, comma 3, “Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta”. Pertanto, le contribuenti ben avrebbero potuto, e dovuto, richiedere la detta attestazione al Comune, al fine di comprovare che, alla data del conferimento, nessuno debito risultasse dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.

5. Con il quarto motivo le ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto legittima l’applicazione delle sanzioni, nonostante sussistessero elementi positivi di confusione della normativa.

5.1. Il motivo è infondato.

Va premesso che ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, la conferitaria d’azienda, al pari del cessionario, è responsabile in solido con la conferente per il pagamento delle sanzioni per gli omessi versamenti dell’imposta riferibili all’anno della cessione e dei due precedenti, salvo il beneficium excussionis, anche in caso di conferimento di azienda in società avvenuto prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 16, comma 1, lett. g, siccome avente effetti meramente ricognitivi, determinandosi con lo stesso un fenomeno traslativo soggetto alle disposizioni di cui artt. 2558 e ss. c.c. e non alla disciplina di cui all’art. 2498 c.c. (Sez. 5, Sentenza n. 28057 del 31/10/2019).

Ciò debitamente premesso, preliminarmente va evidenziato che le ricorrenti hanno del tutto omesso di indicare quale fossero le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni.

In ogni caso, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto (Sez. 5, Sentenza n. 4031 del 14/03/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 440 del 14/01/2015 e Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17195 del 26/06/2019).

Ebbene non è desumibile la sussistenza di incertezze interpretative nella normativa applicabile alla fattispecie in esame per il solo fatto che i Comuni della Provincia di Foggia sarebbero pervenuti, per le annualità successive a quelle in oggetto, alla stipula di appositi atti transattivi con società detentrici di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o che le società odierne ricorrenti non abbiano mai ritenuto classificabile nella categoria “D” l’impianto eolico condotto in leasing.

D’altra parte, sul punto, fermo restando che nessuna censura è stata sollevata sul piano motivazionale, la CTR ha condivisibilmente evidenziato che non si ravvisa alcuna impossibilità di individuare la norma giuridica applicabile al caso concreto, la quale, di contro, è facilmente rinvenibile nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3.

Senza tralasciare che, se è vero che l’orientamento di questa Corte si è consolidato con le sentenze nn. 4029, 4030, 4031 e 4032 del 2012, è altrettanto vero che l’avviso di accertamento impugnato nella presente sede è stato notificato il 2-12.1.2013 e, quindi, successivamente.

6. Da ultimo, destituita di fondamento è la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea per l’asserito contrasto dell’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, formatosi a partire da Cass. n. 4082/2012, con la direttiva 2009/28/CE, che promuove l’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

La ricorrente, in particolare, chiede di sottoporre alla CGUE la seguente questione:

“se osta alla direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, nonchè all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, una normativa – quale il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, (convertito con L. n. 286 del 2006) -, come interpretata dalla giurisprudenza nazionale, che esclude dalla classificazione nella categoria E di immobili di destinazione speciale o di pubblica utilità, ai fini fiscali, impianti di pale eoliche per la produzione di energie rinnovabili, quando appartengono alla stessa categoria E le stazioni di servizio per il rifornimento di carburante”.

Orbene, nel richiamare le considerazioni già formulate nell’analisi del secondo motivo, va qui aggiunto che non è appropriato il confronto tra gli impianti di produzione di energia elettrica e quelli di rifornimento di carburante, giacchè la funzione di pubblico servizio riconosciuta a questi ultimi (ed il conseguente accatastamento in cat. E) dipende dalla loro diretta fruibilità da parte degli utenti della rete viaria, circostanza che, invece, non si realizza con riferimento alla produzione elettrica.

6.1. Peraltro, la vigente classificazione, prevista nel quadro delle categorie per quanto attiene i punti di vendita dei carburanti, non tiene conto delle loro possibili ed attuali utilizzazioni economiche, che in molti casi hanno reso tali unità immobiliari notevolmente diverse da quelle esistenti all’epoca dell’istituzione del quadro originario di classificazione catastale. Infatti, frequentemente, la vendita del carburante costituisce un aspetto dell’intera attività economica esercitata in tali impianti. In particolare, specialmente nelle autostrade, ma spesso anche lungo le importanti e trafficate direttrici viarie, ai distributori di carburanti sono annesse ulteriori e distinte attività, sia a carattere artigianale, come punti di autolavaggio ed officine meccaniche complete della necessaria attrezzatura, e sia a carattere commerciale, come i punti di ristoro (bar, tavole calde o ristoranti), nonchè i magazzini per la vendita di autoricambi o articoli diversi (giornali e riviste, alimentari, articoli da regalo, ecc.), attività che spesso operano in orari diversi.

Alla luce di quanto sopra esposto, un corretto accatastamento catastale non può prescindere da una obiettiva valutazione dell’azienda in oggetto, in quanto debbono essere necessariamente individuate le sue varie componenti produttive, con le rispettive autonome porzioni immobiliari, idonee ad assicurare distinte utilità economiche. In particolare, in presenza di siffatte unità immobiliari, solo il settore della stazione di servizio adibita a vendita di carburanti rientra nella categoria E/3. la cui attività principale e prevalente è costituita dal commercio dei carburanti e lubrificanti.

7. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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